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La parola verso proviene dal verbo latino vertere, cioè «capovolgere», in particolare la terra con un aratro. Il verso è allora un solco, una linea dritta in cui l’uomo col proprio lavoro pone i suoi semi che germoglieranno: nel verso, così, convergono la linearità naturale degli eventi e l’impegno fruttifero del pensiero umano.

venerdì 24 febbraio 2012

questionario di poesia (34) Lorenzo Gattoni



 Mario Fresa
Questionario di poesia (34)


Lorenzo Gattoni






Qual è il segreto progetto a cui tende la tua scrittura?


Non c’è un progetto o una meta segreta, semplicemente la scrittura è un fattore di conoscenza (di sé e di quanto ci sta attorno) e in quanto tale accompagna l’esperienza, divenendo essa stessa esperienza. La scrittura di poesia è una domanda, una condizione interrogativa; un modo quindi di esprimere la naturale caducità propria e delle cose. Da parte mia, scrivere poesia è anche un modo per mantenere e rafforzare il rapporto con la memoria e allo stesso tempo attraverso il lavoro sul linguaggio e sulla parola cercare di salvaguardare l’elemento umano della propria esistenza.


Come nasce, in te, una poesia?

Dall’ascolto e dalla osservazione. Attenzione e ascolto anche interiore, osservazione di fatti, cose e persone. È l’urto che provoca l’emozione, il sussulto, che a sua volta cerca un’uscita, una modalità per dirsi. Dall’urgenza di questo pungolo viene poi il lavoro, e molto, affinché il nucleo emotivo acquisisca parole e forme capaci a loro volta di comunicare e suscitare emozione.


Il poeta parla di ciò che realmente vive o di ciò che vorrebbe ricevere, e che sempre gli sfugge?

Il poeta deve parlare di ciò che vive, ma non della sua personale esperienza o del suo personale vissuto bensì solo di quanto nella sua esperienza può esservi di comune alle altre persone e perciò di potenzialmente universale. In altre parole, il poeta deve mettere da parte la biografia.


La poesia è salvazione?

La poesia è un’arte, che ha per proprio strumento di lavoro il linguaggio. È quindi con il linguaggio, cioè con ciò che ci rende umani, che chi scrive deve confrontarsi. E il rapporto con la potenza del linguaggio non è mai facile, lineare o consueto, anzi dinanzi a essa occorre essere umili e persino deferenti. Può esservi “salvazione”, consapevolezza e conforto artistico ed esistenziale, quando con il linguaggio si instaura un rapporto proficuo, creativo, espansivo, ma quando ne deriva un rapporto di schiacciamento, di soffocamento, di progressiva contrazione il rischio, proprio perché a un certo livello è un rapporto totale e totalizzante, è quello di perdersi e il prezzo della ricerca della parola è la vita stessa. Anche in anni recenti, la morte scelta di alcuni poeti – vorrei qui ricordare Mariella Mischi e Simone Cattaneo – lo testimonia. 


A quale gioco della tua infanzia vorresti paragonare la tua poesia?

Non saprei cosa rispondere a questa domanda. In generale, se devo avvicinare la poesia ai giochi dell’infanzia, penso alla serietà, alla concentrazione, all’adesione totale quali caratteristiche vicine se non comuni tra il gioco dei bambini e il “gioco” con le parole.


Che cosa ti ha insegnato la frequentazione della scrittura poetica?

A poter conoscere meglio le sfumature, le stratificazioni, le ombrature, le ramificazioni, le velature della realtà e a comprendere che la ricerca poetica è inesausta e inesauribile. Come vi è in questa ricerca un punto di partenza, così non vi è un punto di arrivo, una meta; vi è piuttosto un processo continuo. La scrittura poetica è una forma di disciplina. E noi senza le parole, senza la parola saremmo nulla. Per questo occorrono ascolto, umiltà ed esercizio. 


Qual è il grado di finzione e di mascheramento di un poeta?

Un poeta se vuole essere tale non può, nei suoi versi, fingere o mascherarsi. Se lo facesse la sua poesia sarebbe fasulla e fallace. Il poeta scrive la sua versione del vero, la poesia è un aspetto della nudità. Pessoa, a questo riguardo, ha dato una risposta secondo me esauriente e completa: «Il poeta è un fingitore/ finge così completamente/ che arriva a fingere che è dolore/ il dolore che davvero sente.// E quanti leggono ciò che scrive,/ nel dolore letto sentono proprio/ non i due che egli ha provato,/ ma solo quello che essi non hanno (…)». 


Vorresti citare un poeta da ricordare e da rivalutare?

Il primo nome che mi viene in mente, dal Novecento italiano, è Bartolo Cattafi, autore di integra forza espressiva, la cui scrittura immaginifica e insieme concreta è ancora di grande modernità e attualità.


Qual è il dono che augureresti a un poeta, oggi?

Di rinvenire, in sé, una riserva di dolore, da custodire e da proteggere, e a cui attingere con misura secondo le necessità espressive e artistiche. E di coltivare l’ascolto e la lettura di poesia, di leggere tanto e bene, poesia ma anche letteratura. La lettura è una condizione necessaria per arrivare alla scrittura. La poesia, nel caso, verrà. Per trovare le proprie parole occorre conoscere le parole degli altri.


Puoi citare, spiegando perché, un verso che ti è particolarmente caro?

«Ogni molo è una nostalgia di pietra.» Ancora una volta Pessoa il quale magistralmente e con poche parole ha descritto, anzi scolpito, la nostra condizione di umani: protesi a un orizzonte, ma radicati alla terra, assistiamo all’incessante fluire del tempo e, lambiti da esso, avvertiamo il peso della nostra inamovibilità con inevitabile nostalgia.







In alto, il particolare di un’opera di Annibale Carracci [1560-1609]




1 commento:

  1. Condivido il sentire poetico di Lorenzo, fine critico e ottimo poeta... Luisa Pianzola

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