Libri di arte, poesia e filosofia

La parola verso proviene dal verbo latino vertere, cioè «capovolgere», in particolare la terra con un aratro. Il verso è allora un solco, una linea dritta in cui l’uomo col proprio lavoro pone i suoi semi che germoglieranno: nel verso, così, convergono la linearità naturale degli eventi e l’impegno fruttifero del pensiero umano.

sabato 11 febbraio 2012

Marco Furia


 
Marco Furia, Pentagrammi, con una nota critica di Mario Fresa e sette grafiche-collages di Bruno Conte (di cui una fuori testo), Edizioni L’Arca Felice, collana «Coincidenze», Salerno 2009, pp. 48.

pentagrammi
 

La poesia di Marco Furia presenta caratteri di estrema ed esplosiva mobilità interna, la cui debordante energia si mostra capace di trasformare lo strumento della parola in un evento fortemente creativo, divenendo, esso stesso, una forma autonoma di vita (poiché «immaginare un linguaggio significa immaginare una forma di vita», Wittgenstein, Ricerche filosofiche, 19). Si apre, così, un mondo nuovo e inaudito, parallelo e altro rispetto a quello “ordinario” che solitamente viviamo: un canto alto e scardinante, che sempre sa  plasmare e moltiplicare un’esistenza ulteriore, scompaginando e sovvertendo gli usati meccanismi della quotidiana comunicazione.

Marco Furia (Genova 1952), poeta e saggista, già collaboratore di Adriano Spatola, ha pubblicato questi libri di poesia: Effemeride (Tam Tam, 1984); Mappaluna (Tam Tam, 1985), Arrivano i nostri (in «Fermenti letterari 1988», Oceania Edizioni, 1988); Efelidi (Anterem, 1989); Bouquet (Anterem, 1992), Minime topografie (Anterem, 1997); Forma di vita (Anterem, 1998); Menzioni (Anterem, 2002), Impressi stili (Anterem, 2005). Svolge intensa attività critica. Ha partecipato a numerose manifestazioni con lettura di propri versi, per alcuni dei quali sono state composte partiture da Francesco Bellomi e  Roberto Gianotti. È redattore di «Anterem».


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    RASSEGNA STAMPA
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GRADIVA International Journal
 NUMBER 39/40  
  SPRING/FALL 2011

"RASSEGNA DI POESIA"
Recensione di PLINIO PERILLI
PP. 257/258


MARCO FURIA, Pentagrammi, Salerno, Edizioni L'Arca Felice, 2009, pp. 48.


Mario Fresa, che qui a Marco Furia dedica una specchiata e abbracciante prefazione, parla di istante infinito della parola: "il testo disegna un ansioso dialogo con una dimensione altra e sfuggente, che in ogni passo fa riverberare ulteriori infinibili dialoghi: e pare di trovarsi in una camera di specchi sovrapposti l'uno sull'altro"...Ma a parte gli effetti ottici e le cognitive o rifrangenti vie di fuga, questi Pentagrammi  hanno anzitutto il pregio di "duettare" con sette grafiche-collages di Bruno Conte, artista sempre malioso di lucentezza (concedendo a quest'ultimo termine l'accezione più metafisica possibile!). Ne esce un volumetto assai raffinato, dove Marco Furia - genovese del '52, già collaboratore di Adriano Spatola e che esordì nell'84 con Effemeride, proprio nelle edizioni di Tam Tam - propone a Conte come un echeggiamento parallelo, un trasvolo fragrante e per fortuna (cosa rara per la poesia, sempre più spesso plumbea o nebulosa deriva) come pantografato, inciso e rivissuto con la punta d'argento della felicità: "Trasparenze discordi / lustra bruma / fosche, terse fattezze / umida luce / pur pentagramma, taciti/ baleni / fluidi, acquei riflessi / melodiosa gemma, gioiello / tremito (colore/ mai udibile canto?)"...


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Marco Furia nella lettura di Rosa Pierno:


pentagrammiRosa Pierno – Nota critica su Pentagrammi di Marco Furia.
Per qual motivo ci sembra di sapere con precisione ciò di cui Marco Furia sta parlando nel suo “Pentagrammi” (Edizioni L’Arca Felice, tavole di Bruno Conte, nota introduttiva di Mario Fresa, Salerno, 2009)? “Qual ribelle silenzio / pur sonori / leggeri tratti, effimera / sì lieve / musica (subitanea / armonia muta / mai acustico cenno?”. Ancorché l’abbia indicato, non è infatti oggetto che esiste se non come unicorno esiste. Che sia la sonora armonia inudibile proveniente dalle celesti sfere non può che essere pretesto per un poeta aduso a sfidare i limiti del linguaggio e mostrarci che è possibile anche descrivere ciò che non si è mai visto o udito. Allora, l’oggetto, che si va formando durante la lettura nella nostra immaginazione, è appunto quello che il poeta sfidando le convenzioni assonnate e i meccanismi consolidati ci offre all’ascolto. Intendiamoci subito, gli artifici della retorica (chiasmi, sinestesia, ossimori) non possono nulla se non sono innervati da magnifica visionarietà: “sparse trame / né leggere, né grevi / d’incolori / ma cromatici tratti”. In uno scandaglio delle interiorità siderali, l’occhio tenta di acuire la vista, di vedere meglio ciò che è impossibile vedere. Come può l’universo risuonare? Lo si può evincere solo guardando? L’analisi della sostanza, nel senso presocratico dell’investigazione, ci offre una realtà di tutta evidenza: fulmini e cieli tersi, dense nubi e lucenti veli. E’ già una materia indivisibile (nel senso che se la si privasse di aggettivazione la si disosserebbe) dalla percezione e, dunque, dalle sue caratteristiche percepite sensorialmente e mentalmente, non essendo mai sopita nella coscienza del poeta la vera materia di tanto studio: il linguaggio: “Insolita, consueta / dolce frase / aspra, fattezze labili / caduche / pur tenaci, discorde”. Materia non si dà senza lingua attraverso la quale viene definita. Non è un partito preso delle parole, è sapere che possiamo esperire la materia solo attraverso i nostri limiti fisiologici e mentali.
Sono le ritmiche, martellanti accelerazioni di aggettivi: “sì solerte pigrizia / alacri, ignave / temerarie ma pavide / loquele / mimiche, lineamenti / gesti muti”, che strutturano la sintassi personalissima di Marco Furia, è essa che costituisce la vera rete di rimandi che abbaglia e lega, che distanzia e riavvicina entità apparentemente inaccostabili. E che in fondo, consente di “vedere” attraverso la mente il “suono” delle sfere. L’accelerazione dell’aggettivazione è anche ossessivo ritornare, ritmico anch’esso come il suono che si dovrebbe individuare. Potere degli aggettivi, della loro metamorfica capacità di adattarsi a materie diverse, di negare e di affermare una contraddittoria qualità per la medesima sostanza: “tersi, cupi / atmosferici tratti / (forse buia / nitida, lustra tenebra? / baleno / eterno sprazzo?), labili / tenaci / dissolti, umidi ritmi”. In questo tour de force, straordinario ed eroico, la poesia di Marco Furia mostra il suo più splendente risvolto. Al di là della questione di ciò che è reale e ciò che è mentale, qui il ruolo centrale viene assunto dalla meravigliosa plasmabilità della materia quando si trovi nelle mani dell’artefice poeta e venga sottoposta a una metamorfosi delle apparenze. L’elasticità delle sostanze è in realtà elasticità del linguaggio. La lingua del poeta è l’unica che sopporti tale arditezze, e in queste pagine si raggiunge la soglia miracolosa in cui pare assolutamente naturale al lettore tale contorsionismo. Chi oserebbe tanto nel nostro stringato e asfittico linguaggio quotidiano?
In fondo, persino il pentagramma su cui si trascriverebbe tale musica è un oggetto esistente e redatto secondo altro codice, ove, fra l’altro, gli strumenti della visione e della percezione umana fanno tutt’uno con la materia osservata: conosciamo, infatti, di Furia la sua profonda curiosità per i traguardi scientifici e la sua volontà di lavorare proprio sulle soglie di confine tra i due versanti, poiché anche la scienza utilizza il linguaggio e lo fa con modalità differenti da quelle poetiche, pur dovendo affrontare i medesimi problemi.
Se musicale si contrappone a tacito (“sonore / repliche (melodiosi / musicali / taciti contrappunti?)”) fino a coincidere, in un totale rovesciamento, è perché forse i limiti del linguaggio il poeta li travolge, li trasforma e li rovescia, ne allontana la raggiungibilità. Lavorando sul linguaggio ottiene di farcene dimenticare le limitazioni o di fatto le sposta realmente. La sensazione finale sarà che, al chiudere le pagine di questo incantevole libro, noi sapremo con certezza d’avere udito tale celestiale musica.

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Testi

Da Pentagrammi 1
Qual ribelle silenzio
pur sonori
leggeri tratti, effimera
sì lieve
musica (subitanea
armonia muta
mai acustico cenno?
Forse stile
forestiero, difforme?)
nulla voce
zitta, assorta sembianza
repentina
inerzia, solitarie
integre frasi
tacite, discontinue
linee opache
pentagrammi, riverberi
baleni
lustri, pallidi impulsi
(ignoto idioma
non sondabile indugio?)
incerte tregue
ritmi d’eco, barbagli
attimi fiochi
fulgidi, poi dissolte
gemme, gioie
caducità melodiche
improvvisi
statici dinamismi,
lampi bui.

*

Da Pentagrammi 2
Acquei attimi ritmici
baleni
lustri, fluidi sussulti
repentine
effimere cadenze
scie (di buio
rilucente riverbero?)
leggiadre
pur zitte filastrocche
(qual canzone
tacita?), sprazzi, lampi
cenni schivi
tratteggi, illesa, integra
sonora
mai acustica eco
scaglia, trama
brillio umido, secco
poi ostile
sì gravida minaccia
aerei, tetri
non flemmatici nembi
lesto, cupo
protervo d’ombra abbraccio
nullo lume
dissolta impronta fulgida
foriere
di turbinosi flutti
già folate
aromi di tempesta,
ovunque effusi.

*

Da Pentagrammi 3
Illese, tenui luci
delicate
forse musica, cenni
silenziosi
lustri, aerei barbagli
sciolte gioie
tremiti, tersi veli
zitti, schive
disperse, fluide perle
gemme mute
cromatico dissolversi
sonoro
tacito, persistente
non baleni
né turbini, leggiadra
brezza lieve
vaghi, incerti riverberi
sì aroma
effimero rimando
d’assopita
rosea ed azzurra volta
scaglie (frasi?)
atmosferici arpeggi
inconscia tregua
soave umida alba
(qual misura
sì nullo pentagramma?)
mattutino
desto sonno, risveglio,
canto quieto.

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Pentagrammi

Poesia

Marco Furia
Edizioni L’Arca Felice

Recensione di Franca Alaimo





Pubblicato il 19/10/2010 12.00.00
La poesia, per Marco Furia, è prima di tutto un luogo di sonorità: i lemmi più comuni, disseminati lungo i versi del poemetto dal titolo così palesemente offerto come chiave di lettura, sono infatti tutti inerenti al campo semantico della musica. Ritmo, melodia, musica e, appunto, pentagramma, danno luogo a delle iterazioni che non diventano formule topiche solo grazie alla varietà dell’aggettivazione, così che i versi sembrano costruiti, come certi brani musicali, intorno a minime variazioni sul tema, seguendo le sfumature dettate dal sentimento stesso della poesia, che costituisce l’unico soggetto d’ispirazione, e su tali variazioni si innesta, a volte, qualche dubbio inquietante, che genera altri movimenti ed esplorazioni e, come in un brano di musica dodecafonica, l’autore utilizza i suoni, puntando più che ad una logica tonale, ad un agglomerato sonoro imprevedibile che susciti, piuttosto, un’impressione di totalità cromatica.

Si aggiunge alla gioia acustica anche quella visiva: una vivida luce accompagna suoni e ritmi dispiegando anche in questo caso una serie di varianti legate all’intensità ed alla durata. Occhio ed orecchio diventano, dunque, i naturali alleati del poetare, proponendosi anche quali punti forti della poetica di Marco Furia, secondo il quale la poesia si offre al pubblico di lettori come una rielaborazione del mondo visibile attraverso un impasto linguistico che del primo trattenga la luce e ne ridica la forza dinamica attraverso la vibrazione melodiose del secondo.. Se, infatti, anche le tenebre e la notte sono evocate, esse diventano territori di ispirazione e perciò anche di conoscenza e di novità creative,

Il poemetto di Marco Furia mi fa venire alla mente la poesia barocca di un Marini, ed in particolare l’elogio della rosa presente nell’Adone, sia per l’abbondanza delle immagini e della metafore, sia per la particolare fluidità della pronunzia poetica; ma c’è da dire che, mentre là si ricercava soltanto la meraviglia ( lemma, comunque, più volte presente nei versi di Marco Furia ) ed il poeta sembrava non avere altro scopo che riprodurre come in uno specchio la sontuosa bellezza della natura e del mondo, in questo testo, invece, come si legge nella prefazione di Mario Fresa, questi strumenti hanno la funzione di disegnare “un dialogo con una dimensione altra e sfuggente”, come se essi fossero specchi da cui le cose si riverberino all’infinito, come in certe prose di Borges.

Ogni tanto, infatti, l’autore sembra perdere la rotta all’interno del suo stesso labirinto di specchi e di suoni ed allora si pone delle domande dalle quali sgorgano altri versi ed altre domande, come a dire che la poesia, posta di fronte alle più profonde problematiche esistenziali, non può dare una risposta definitiva, e tuttavia può offrirsi come strumento di consolazione e di stupore.

Le grafiche di Bruno Conte con i loro sobri e misteriosi ritmi geometrico-chiaroscurali, talvolta sorpresi da inaspettate spezzature, sembrano accompagnare senza alcuna forzatura il dinamismo di luce ed ombra, superficie e profondità, di questo testo a cui il lettore deve abbandonarsi, dimenticando, se vuole davvero goderlo, ogni solito schema di ascolto e di giudizio.

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su "Pentagrammi" di Marco Furia

di Monia Gaita 
Pubblicato su FARAPOESIA


Pentagrammi di Marco Furia colpisce per la salva d’artiglieria di parole depurate che si susseguono a ritmo incalzante come urgenzate da un invisibile cólto di tensioni e pulsioni, rimpinguato dal rapporto riparatore e sapidamente creativo con la policromìa di toni ed espansioni energizzanti del linguaggio: (v.pag.13) «...nulla voce/ zitta, assorta sembianza/ repentina/ inerzia, solitarie/ integre frasi/ tacite, discontinue/ linee opache/ pentagrammi, riverberi/ baleni/ lustri, pallidi impulsi/ (ignoto idioma/ non sondabile indugio?)/ incerte tregue/ ritmi d’eco, barbagli/ attimi fiochi/ fulgidi...» e ancora a pag.15: «..fulgida freccia, effimero/ fugace/ elettrico riverbero/ baleno/ oltraggio, squarcio, ingiuria/ poi già tregua/ lucenti veli, garbo/ repentino/ ricurva grazia, sprazzi/ armonia chiara/ policroma lucerna/ iride, assolo/ incanto, meraviglia/ tenue gioia.» Questi versi, dando voce al rapporto dell’autore con l’’incondizionato e l’infinito, irrompono sul foglio esulando dai territori dell’ordine e del facile fraseggio comunicativo. Si fregiano di una non scontatezza formulata nei saltelli di un dettato nervoso, convulso, forbito e fluidamente attaccato alle cose e al fermentìo ciclico del divenire con i suoi fiotti d’oro e dissimmetrico catrame. La giustapposizione asindetica pigiata da un alone di indeterminatezza, ci traghetta nell’elementarità abbracciante di un dire di alta concentrazione inventiva che declina lo sgomento sinuoso nel decorativo pianoro del contrasto ossimorico: silenti melodie, inodore fragranza, tacito boato, zitto tuono, solerte pigrizia, lampi bui, statici dinamismi. A pag.34 : «..meraviglia durevole/ non suono/ ma sinfonia, d’immagine/ pur muta/ grazia, fecondo gesto/ cenno, segno/ acqueo stile, leggère/ tenui trame/ aeree (mai perimetri)/ diffuse/ sparse lucerne, fluide/ intense, lievi» il poeta addita e reclama presenze a conforto del buio, del vuoto e degli ostacoli, mentre i lessemi dalla loro accezione letterale, traslocano in un pinnacolo di forte sollecitazione allegorica. È un libro che fa buona pesca di vita, che ammonisce la nostra intelligenza emotiva lasciandoci entrare d’istinto in quella strana, piacevole alchimìa capace di accendere il bello e la curiosità del viaggio.



Marco Furia, Pentagrammi. Con uno scritto di Mario Fresa e con interventi visivi di Bruno Conte. Libro di arte-poesia stampato in 199 esemplari numerati a mano, più 199 litografie fuori testo. Edizioni L’Arca Felice, collana «Coincidenze», Salerno, 2009, pp. 40.

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"L'immaginazione" n° 263



PENTAGRAMMI di Marco Furia

Pentagrammi  di Marco Furia  è una raccolta poetica raffinata e ricercata, edita da Edizioni l’Arca Felice con sette preziose grafiche collages di Bruno Conte.
Il titolo già esprime uno dei campi semantici ricorrenti legati alla musica e alla sonorità in contrapposizione per ossimoro  al silenzio “concreti silenti pentagrammi melodiosa incorporea materia?” . Il suono si articola in un crescendo ritmico quasi una metafora del divenire e pare un processo di scissione atomica ove da nuovi elementi di creazione verbale se ne originano degli altri producendo quasi una apparente dicotomia tra suono e senso.  La parola poetica che giustamente Marco definisce “una forma di vita” diviene essa stessa interprete del manifestarsi dell’esistenza, si determina come forza motrice che svela la trasformazione in atto dell’ex-sistere. Gli elementi del dire sono allora l’aria e l’acqua, elementi incorporei o perlomeno non consistenti come materia concreta e solida , elementi maggiormente definibili attraverso  la leggerezza e la continua metamorfosi del suono “opache trasparenze/gocce schive/gemme,liquide perle/aerei globi/gelida pioggia,enfi/ foschi, affini,non inerti coaguli/turchese”. Il turchese è metonimico ove l’astratto del colore sta per il concreto del cielo, un cielo rappresentato anche esso in trasformazione poiché evolve il temporale e diviene plumbeo,il colore si trasforma in suono e appare rombo e tuono.  La sinestesia infatti  è una forma retorica fortemente presente  “tacite,discontinue/ linee opache/pentagrammi,riverberi/baleni/lustri,pallidi impulsi/(ignoto idioma/non sondabile indugio?). Anche il punto di domanda , elemento che ritorna nei versi di continuo, appare un forte elemento simbolico dell’indeterminazione dell’accadere e dunque l’imprevedibile si cela nel senso dello scorrere della materia. Tutto di conseguenza è panta rei, il senso è quello stesso della conoscenza vivificata  e per questo il suono rincorre la modulazione degli elementi che sono e che divengono, talvolta sicché si fa incipiente e poi incalza, suona e risuona in un salire vertiginoso tanto da esprimersi con frequenti climax ascendenti “scintilla, squarcio, traccia” “ferita,crepa, graffio”.
E’ attuale pertanto e fortemente rappresentativo della poesia di Marco Furia il pensiero espresso  da Edoardo Cacciatore, genio indiscusso e poco riconosciuto in Italia, il quale sosteneva che: “ogni cosa non sta mai ferma un istante, sempre sta per essere un’altra cosa”.   Ecco Marco Furia coglie splendidamente questo essere sempre un’altra cosa della materia, fonte inesausta del dire e svelamento incessante del divenire.    Stefania Negro   
                                                                               

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