Jacopo Ricciardi, Il
macaco, con una grafica laser di Jacopo Ricciardi.
Edizione a tiratura limitata (199 esemplari
numerati a mano).
Edizioni L’Arca Felice, Salerno 2010, pp.16, più una
stampa fuori testo.
Il macaco di Jacopo
Ricciardi è un poemetto composto da nove,
fulminanti schegge: accecanti ed
esplosivi diamanti che plasmano una
lingua nervosa e visionaria, percorsa da una tensione estrema, che trasforma
continuamente la parola in un’energia potente e primigenia, capace di osservare
il mondo con l’incanto di uno sguardo puro, che sembra appena nato.
Jacopo
Ricciardi è nato a Roma nel
1976. È stato l'ideatore e il curatore del progetto culturale PlayOn per
Aeroporti di Roma. Ha diretto la collana PlayOn dell'editore Scheiwiller.
Ha
pubblicato due romanzi: Will (Campanotto,
1997) e Amsterdam (Gruppo Editoriale L’Espresso, 2008). Ha pubblicato otto
libri di poesia: Intermezzo IV (Campanotto, 1998), Ataraxia (Manni, 2000), Atòin (Campanotto, 2000), Scultura
(libro d'artista in collaborazione con lo scultore Teodosio Magnoni; Exit
Edizioni, 2002), Poesie della non morte (in collaborazione con lo scultore
Nicola Carrino; Scheiwiller, 2003), Colosseo (Anterem Edizioni, 2004), Plastico
(Il Melangolo, 2006),
Scheggedellalba (libro d'artista
in collaborazione con lo scultore Pietro Cascella; Cento Amici del libro,
2008). Ha vinto il premio Under 25 San Vito al Tagliamento nel 2000, il premio
Lorenzo Montano per l’inedito nel 2004, il premio speciale della giuria al
Lerici Pea nel 2005 e il premio
internazionale Città di Trieste nel 2007. Dal 2009 collabora con «Il Messaggero»
in due rubriche a lui dedicate “Passeggiate romane” e "Viaggio
d'autore".
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Pubblicato il 16/03/2010 19.52.23
“Il macaco”, quattordicesimo volumetto della
collana “Coincidenze” diretta da Mario Fresa per le Edizioni L’Arca
Felice, si tratta di un poemetto sviluppato in nove brevi composizioni
poetiche su altrettante pagine. Fuori testo, una grafica dello stesso
autore, intitolata “Testa n. 31”, elaborazione digitale del 2008,
rappresentante, in tonalità che sfumano dal rosso al viola, passando per
un tenue rosa, su sfondo nero, un volto con la fisionomia di un macaco.
Segnalo l’ottimo lavoro grafico dell’autore, che conferisce alla figura
un certo tono inquietante a causa del gioco delle forme e dei colori
degradanti l’uno nell’altro e che emergono dall’oscurità di sfondo,
oscurità che riverbera negli incavi degli occhi e nelle narici,
completamente oscure anch’esse. E’ la testa di un vivente dalla natura
incerta che appare come in uno specchio deforme, effetto dovuto al farsi
vago dei contorni e dei colori sui bordi della testa che rende il tutto
diafano come in fase di materializzazione da un indefinito dove. Ebbene
i testi poetici ben rappresentano quella sorta di inquietudine dello
sguardo e che diventa, attraverso la parola (capacità propriamente
umana) inquietudine esistenziale cosciente; mi sovviene alla mente, non
so se a ragione, “Il libro dell’inquietudine” di Fernando Pessoa. Nel
poemetto di Ricciardi vi è una sorta di tentativo di penetrare la realtà
– e addirittura, in questa penetrazione, plasmarla – ben oltre
l’evidente materialità del presente, usando la parola come discensore
verso il mare dell’inquieta indefinita virulenza dei corpi, un mondo di
pulsioni interiori talvolta misterioso depositato nella nostra
creaturalità (non a caso il richiamo al “Chin p’ing mei” famosa
costruzione letteraria cinese in cui vi è dissolutezza e un totale
abbandono, anche nelle vicende criminali, al corpo e ad una sorta di
animalità insita nell’uomo), creaturalità che unisce l’uomo al mondo
naturale e terrestre, il macaco, e in cui si rispecchia un cielo ampio
quanto la coscienza di esistere e del sapersi destinato alla morte,
quest’ultima un non senso che la creatura, dal “volto riarso di rosa”,
rappresenta in quanto vi è destinata: “è chiaro / nessuna lacrima
scenderà / sul volto riarso di rosa / come bagnato nel sangue / del
calmo macaco / che mette davanti a noi / la morte del mondo / senza
sapere / senza fatica”.
Insomma se l’uomo da una parte è sospinto verso il cielo da una potente ascesi interiore che è rappresentata dalla parola, dalla voce, dalla comunicazione, dall’altro vi è la creatura, rappresentata dal macaco – così talvolta indolente quanto irriverente ed egoista –, che pesa sull’uomo. Nel suo essere creatura l’uomo ha un’unica direzione possibile verso il cielo (“- non ho due direzioni! -”), in una unitarietà tra spirito e corpo determinata dall’amore, udibile, verificabile e sostenibile nel peso del respiro
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