Libri di arte, poesia e filosofia

La parola verso proviene dal verbo latino vertere, cioè «capovolgere», in particolare la terra con un aratro. Il verso è allora un solco, una linea dritta in cui l’uomo col proprio lavoro pone i suoi semi che germoglieranno: nel verso, così, convergono la linearità naturale degli eventi e l’impegno fruttifero del pensiero umano.

lunedì 30 settembre 2013

Margherita Rimi su Stramenia di Lucio Zinna



Stramenia è una plaquette artistica di 9 poesie, pubblicata dall’Associazione Culturale «L’arca Felice», proposta in 200 esemplari numerati, con opere pittoriche  di Eliana Petrizzi.
Quello che la caratterizza è un linguaggio chiaro, che va in parte nelle descrizione esterne ed è capace di ricomporsi con il vissuto soggettivo, quasi a tentare di tradurre l’interiorità del poeta. Così accade nel primo componimento Lungomare d’ Aspra, che dà l’impronta al procedere degli altri. Qui il paesaggio marino è posto in evidenza: «i lenti gabbiani», «la robusta spuma», «il sole che si attarda»; nella parte finale, invece, i versi si introiettano in un momento di riflessione sulla poesia e, –attraverso il ricordo di un amico–, la poesia diviene elemento condiviso, legame, ragione di esistenza, orizzonte che si sposta verso altro orizzonte attraverso il mare. E ancora, nel testo I poeti vanno,  si rappresenta  il valore della poesia per il coraggio, la libertà, per i suoi percorsi oltre i limiti  comuni. I poeti varcano questi limiti, in una capacità di stare sempre in viaggio, in un percorso impervio ma con una direzione precisa: «ogni viaggio sempre /nel verso del verso». Nel componimento Guglielmo o della “sognagione” sono ancora i poeti, nella metafora della semina e del sogno, a rappresentare il valore della parola: «È sempre tempo di semina / perché è perenne tempo di crescita».                            
Il tema del ricordo, del tempo che passa, divengono la forza del poeta, le stagioni della vita attraversate con coraggio, inverni ed estati dell’esistenza. Emerge il  valore degli affetti familiari, dei figli e della moglie Elide, figura centrale nella vita del poeta, che le  ha dedicato una intera sezione nella raccolta precedente Poesie a mezza’aria (Lietocolle, 2009). Ancora, nel componimento Della tela (e di Penelope) vi è la saggia consapevolezza di una vita vissuta nel suo farsi e nel suo disfarsi, dove l’amore resiste come una trama dentro la trama, dove resiste anche un significato forte di futuro:«Il futuro è opera incompiuta/che ne completa un’altra».
Una istanza metafisica traspare nel testo I molti e il loro altrove: dove la domanda non può avere una risposta, nell’alternarsi di immagini e di riflessioni, è solo la poesia che rappresenta la risposta stessa. Zinna, nella raccolta, utilizza un linguaggio chiaro e discorsivo con qualche incursione nella lingua siciliana; traspaiono contenute tonalità malinconiche. Così scrive, della sua poesia, Emanuele Schembari: «prevale un dettato colloquiale, senza abbandoni esistenziali, espresso con lingua compatta, senza neutralità né cedimenti elegiaci».

                                                                                                        






Gabriele Gabbia 
su
La parola dell'occhio di Marco Furia
(Edizioni L'Arca Felice)



«Il ricordo è soltanto uno dei lineamenti del nostro esistere, sicché continuiamo a essere anche ciò che, in senso stretto, non rammentiamo.
Ciò che ci ha modificato persiste in noi in forma dimpronta che si aggiunge a infinite altre e di cui, talvolta, nemmeno ci accorgiamo: lavere avuto un intenso contatto con unopera darte, per esempio, lascia un segno di cui potremmo anche essere, nellimmediatezza di un gesto, di una parola, non consapevoli.
Nondimeno quel segno ci ha accompagnato, ci accompagna e ci accompagnerà non determinando le nostre azioni, ma illuminandole, rendendole ancora più vive e opportune».
Non dunque di sola estetica tratta lultima raffinata plaquette in prosa di Marco Furia, La parola dell’occhio , edita dalle Edizioni LArca Felice nel dicembre 2012, con – in allegato – una litografia fuori testo.
Il libro, materiato da una selezione di riproduzioni di dipinti che vanno da Veermer a Canaletto, passando per Giandomenico Tiepolo e Turner, Corot e Cézanne, sino a Derain ed Henry Rosseau, è accompagnato da uninterpretazione critica per ogni singola opera.
In realtà, ogni volta è in oggetto una sorta di vero e proprio postulato in cui Furia – anzitutto poeta – rileva – come annota Mario Fresa nella significativa introduzione –, «con vigorosa intensità le rivelazioni e le corrispondenze registrate dal pittore, e ne amplifica i segni, ne propaga e ne estende le peculiari tensioni espressive»; non descrivendo, dunque, soltanto «ciò che gli è offerto sottoforma di immagine», ma dilatando e sviluppando «le specifiche sue richieste di approdare a una possibile comunicabilità del fondo essenziale degli eventi».
Ebbene, questo «fondo essenziale» è elegantemente messo a giorno dal poeta mediante lutilizzo della parola; parola che sciorina qui una coscienza analitica di non ordinaria levatura; e viene in mente – a questo proposito – ciò che di magno annota il filosofo Lucio Saviani intorno alla «filigrana del discorso»: «In effetti, più che con le parole, la trasparenza ha a che vedere con locchio: guardare in controluce ponendo la superficie tra locchio e, nel fondo, la sorgente di luce».
Ecco la parola dellocchio; ecco limpresa che Furia compie con questo libro: egli scende solo e muto allinterno delle tele, avvinto soltanto alla propria percezione, al proprio sguardo, ai propri occhi – come nel caso della scrittura di un testo poetico –, e risale in superficie con le parole necessarie per far luce e chiarezza a partire dal fondodelle cose (in questo caso, dei dipinti).
Ne è testimonianza fattiva la pagina avvincente che – tra le altre – lo scrittore dedica allopera panoramica Il Ponte di Westminster di Derain, sospesa comè fra filosofia e poesia – critica al cui interno spira un potente afflato sociologico ed etico, giacché «Larte, quella vera, non si dimentica mai degli altri»: «Il mondo è questo e non resta che accettarlo: nessuna fuga è possibile. Un assetto si mostra. Un assetto che dunque, sussiste, ma che è precario, privo di solide basi. Può sorprendere, di certo non convincere. Comporre il dissidio tra moderna civiltà e ambiente naturale è il fine cui tendere, ma limpresa è ardua» (); «il nostro procedere è esposto a continue contraddizioni. Nondimeno, proseguiamo un cammino per certi aspetti più distruttivo, per altri più consapevole, di un tempo» (): «dobbiamo senza sosta impegnarci per rendere più stabile un incerto equilibrio».
La particolarità di questo testo – occorre a questo punto appalesarlo – sta nel riuscito connubio che Furia invera partendo dallanalisi di opere pittoriche servendosi di intuizioni del tutto personali, per sfociare poi in una critica della società – oltre che dellarte –, della bellezza, del tempo e della vita, dei suoi misteri e dei suoi inganni, dei «suoni contrastanti» (direbbe Ermini) che da essa si desumono; ed ecco, allora – con Tiepolo –, il «raggiungimento di stati di coscienza nuovi eppure antichi, radicati in quello che siamo e che siamo stati».
E del resto «ogni artista partecipa di questo intento, poiché esso non fa parte dellarte, lo è già», come attesta «la precipua preoccupazione di manifestare la propria coscienza, ossia di rendere evidente quel distacco in assenza del quale limmagine non riesce a emergere e, nello stesso tempo, quellintenso attaccamento alle cose del mondo che è vivida trama interiore».
Trama interiore che lautore da sé traccia discorrendo – ad esempio – con Cézanne e lossessione ficcante della sua montagna Sainte – Victoire, entrambi alla ricerca ostinata (insieme agli altri pittori testé menzionati) di una passione tuttavia «non opposta, a priori, allequilibrio». «Questo, a mio avviso, il fecondo messaggio» che Furia con questo libro ci lascia.



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