Franca Alaimo
È possibile pensare ai poeti come a mediatori tra la realtà che si evi-denzia nelle forme
e una sorta di extrarealtà, evocata
da Novalis quando afferma che nelle forme v’è la cifra nascosta di una
scrittura straordinaria?
È certamente così: la realtà non si
esaurisce tutta in ciò che possiamo percepire con i nostri sensi, che,
intanto, sono assai difettosi e registrano solo una piccola parte di essa.
Inoltre, le forme in cui la realtà si rende
manifesta sono senz’altro delle porte dischiuse su una dimensione
extrasensoriale, percepibile solo per intuizione, cioè per una discesa nel
profondo, nelle intime fibre di una materia che finisce ad un certo punto di
essere tale e sconfina in una insostanzialità, che è però substantia dello Spirito d’Amore che soffia ovunque e dà forma,
spingendo fuori il creato dall’increato, la forma dall’informe. E che perciò
disvela e rivela.
I poeti possono considerarsi mediatori tra
realtà ed extrarealtà proprio perché sanno trarre fuori dal bozzolo del reale
quel filo di seta d’oro con il quale tessere significati e verità straordinari
gettando ponti fra le cose più distanti attraverso simboli, metafore ed
elaborazioni sonore, e perfino cucire abilmente tra loro le parole che finalmente
abbandonano il loro quotidiano abito liso e le loro relazioni più abituali per
essere e dire molto di più di se stesse.
Che cosa caratterizza la tua scrittura
poetica, se la tua poesia fosse un quanto di luce, da quali atomi del reale salirebbe? Fin dove arriva, o vorresti
arrivasse, ad illuminare?
Se la mia poesia fosse un quanto, salirebbe
senz’altro dagli atomi dell’acqua, che è l’elemento che amo di più, perché
assume docilmente le forme che la contengono, è mobile come la vita, lava e
purifica, disseta fisicamente e, secondo la simbolicità religiosa, spiritualmente.
L’acqua si solidifica ed evapora, è leggera e pesante, scorre in terra e in
cielo spostandosi con le nubi. Da essa nasce la vita, in essa navighiamo già
prima di nascere.
Mi sembra, dunque, l’elemento più adatto a
rappresentare questo mio cuore mobilissimo ed oscillante di carne e spirito, la
mia poesia che si muove incessantemente tra terra e cielo, innamorata com’è
dell’una e dell’altro.
Dove e chi o che cosa illumina la mia
poesia? Certamente illumina la mia vita e vorrei che pure si spingesse a fare
un po’ di luce nel buio delle anime impaurite.
Secondo te a cosa serve la poesia in questi
tempi moderni? Qual è il suo ruolo?
La poesia serve a fare dell’uomo un uomo,
nel senso che non gli fa dimenticare che una vita può dirsi vera e completa
solo quando non assolve soltanto i bisogni del corpo e i desideri della carne e
della volitività, ma anche quelli dello spirito. L’inutile poesia, a mio parere,
è, dunque, molto utile alla crescita armoniosa della personalità
dell’individuo. Essa non risponde affatto alle domande capitali, né potrebbe;
ma, nel porle, ricorda di che sostanza siamo fatti, di che cosa davvero
dobbiamo occuparci e quale indirizzo dobbiamo dare all’esistenza. Vivere in
superficie è, infatti, come ignorare le meraviglie nascoste nel mare immenso e
profondo delle cose esistenti. E con questa affermazione, mi pare di avere
tracciato un percorso circolare, ritornando allo spirito della prima domanda.
Franca Alaimo è nata nel 1947 e vive,
attualmente, a Monreale. Ha esordito come poeta nel 1989, ma ha scritto le
prime poesie all’età di otto anni. Si dedica anche alla critica da parecchi
anni. Tra sillogi poetiche e saggi critici, ha pubblicato venti libri, molti
dei quali hanno ottenuto premi e segnalazioni prestigiose. Ha collaborato
nella redazione di varie riviste, come «l’Involucro» e «Spiritualità & Letteratura».
Attualmente fa parte della redazione della rivista on-line LaRecherche.it (www.larecherche.it). Ha tradotto alcuni
autori di lingua inglese, come Peter Russell, ed altri di lingua spagnola.
Intrattiene da almeno venti anni una fitta
corrispondenza con scrittori ed intellettuali italiani e stranieri, strumento
che ritiene molto utile per un dialogo e confronto più profondo. È presente in
numerose riviste, antologie e Storie della Letteratura italiana.
NEL FIUME FUGGEVOLE DEI SEGNI
Il mio angelo
Ma
una notte mi sveglio,
Sento
– mi sorprendo – un suono
Celestiale,
indosso la vestaglia
E
a piedi nudi, in silenzio, cerco
Ogni
nascondiglio, e la musica
Sale:
Oh, che meraviglia,
Che
dolcezza e varietà di toni!
Possibile?
Nel bagno? Là,
Dentro
i tubi c’è tutto quell’ardore
Che
pompa come un cuore
E
che abbraccia l’aria. Sarà caduto
Nella
cisterna l’Angelo mio assetato
E
ride, piange, canta e non sbaglia una nota:
Vedi
tu dove si caccia pur di vivere
Con
me la vita d’ogni giorno!
Un cuore pagano
Avvampa
il sole di Damasco nei miei occhi
Ma
batte nel petto un cuore pagano:
Tra
me e dio il riso vezzoso della vita
Un
linguaggio di cose e di corpi che
Mi
narra il lievito dell’amore e della morte.
L’eternità
è una speranza insostenibile
Tra
i ritmi franti delle creature, e come
Andarono
fuori dallo sguardo una ferita
Che
mai si ricuce. Mi aiuterà questo
Distrarsi
di semenze nuove, toglierà
Dal
cuore la pietra dell’angoscia il caos
Quotidiano
vitale come il sangue?
Se
davvero mi ami, attendimi nel sentiero,
Quando
i passeri si saranno addormentati,
Quando
con sillabe di silenzio verrò
A
dirti che ho finito tutti i sogni e
Che
ho bisogno di un nuovo desiderio.
Io e mio figlio
Versate
le acque, rimanesti per troppo tempo
In
arida attesa, illividito, e dal mio corpo
Nascesti
come una viola raccolta da un grido disperato,
Ma
palpitavi con forza come un passerotto caldo
Appena
caduto dal suo nido. Perdonami se la traversata fu
Tanto
dolorosa, se ti insegnai subito il dolore,
Se
invece di una parola d’amore innalzai un muggito
Alto
come quello di una giumenta dolorante. Ci siamo
Incontrati
sul limite, ostinati entrambi, fra la gioia
Della
vita e la paura di morire. Ci siamo salutati come
Due
che sempre avrebbero lottato per amarsi,
Spesso
privi di fiato, senza parole, ruvidi e amari
Come
certe radici. Ma gli amori così sono più tenaci
Delle
pietre, hanno un cuore saldo e il tempo
Poco
a poco li rende lucenti. E dunque, mio bimbo,
Mio
figlio adorato, sia benedetto il riso radioso
Che
t’ingemma il viso, angelo colmo di parole
Buone,
e sia benedetta l’ora che amorosamente
Ci
cuce i cuori con un filo cremisi ed un ago d’oro.
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