Libri di arte, poesia e filosofia

La parola verso proviene dal verbo latino vertere, cioè «capovolgere», in particolare la terra con un aratro. Il verso è allora un solco, una linea dritta in cui l’uomo col proprio lavoro pone i suoi semi che germoglieranno: nel verso, così, convergono la linearità naturale degli eventi e l’impegno fruttifero del pensiero umano.

domenica 22 febbraio 2015



Mario Fresa


Questionario di poesia
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Ivan Pozzoni









Qual è il segreto progetto a cui tende la tua scrittura?

La sua infida segretezza tiene nascosto ogni mio progetto a me e me ad ogni mio progetto (temo di non essere l’unico della mia generazione). Più cerco di scoprirlo, meno tale segretezza mi aiuta. Ho tentato col ricorso a un agente segreto, di matrice feuerbachiana: non ci sono riuscito. Sono ciò che scrivo? Porca troia, che amarezza.

Come nasce, in te, una poesia?

Di norma, essendo io un anti-«poeta» essa, con me, muore, va in coma, o, almeno, in terapia intensiva. Professo, credo e spero nell’eutanasia della «poesia» e del «poeta».


Un poeta parla di ciò che realmente vive o di ciò che vorrebbe ricevere, e che sempre gli sfugge?


Parla sempre, sempre, sempre, di ciò che vorrebbe ricevere, cioè soldi; e sempre, sempre, sempre di ciò che a lui sfugge, cioè la notorietà. Il 90% dei vati che ho conosciuto vorrebbe essere un incrocio, mondadoriano, tra Balotelli e Belén, e ci riesce: un Belòt.


A quale gioco della tua infanzia vorresti paragonare la tua poesia?


Gioco dello striptease, incominciato sin dalla tenera età di sette/otto anni nel cortile di casa, con ragazzini e ragazzine consenzienti (?). Ciascuno decideva un vestito, che l’altro/a doveva levare, nascosti dentro a un box o dietro a una macchina. Io, non contento, cercavo sempre di convincere l’uno a infilare qualcosa nel qualcosa dell’altra. La mia anti-«poesia», ecco, continua a cercare di inoculare il lettore [sebbene mia madre non sappia, sono conscio che una mia intervista non finirà mai sul Corriere della Sera].


Che cosa ti ha insegnato la frequentazione della scrittura poetica?


Le brutte frequentazioni mi hanno insegnato che «tutti quelli che fanno codesto mestiere finiscono sempre allo spedale o in prigione» [Pinocchio]. La scrittura in versi ha la stessa scarsa reputazione di me.


Qual è il grado di finzione e di mascheramento di un poeta?


Dipende da che club-privè frequenta. La funzione mimetica dell’intelle(a)ttuale è fondamentale, in un mondo dove il super-capitalismo nomade appare e scompare, divenendo inafferrabile, dietro i clicks di un mouse che causano i crolli delle borse o i fallimenti di intere nazioni. Per sconfiggere un nomade, devi diventare nomade, mascherarti, attaccare nell’ombra, diventare un clochard, claudicare, un homeless dell’arte, un fautore della guerrilla metrica, nei suoi due fondamenti: finzione e mascheramento. 


Vorresti citare un poeta da ricordare e da rivalutare?


Non amo la «poesia». Citiamo filosofi, sociologi e storici. Citiamo Bauman, Beck, Sennett…


Qual è il dono che augureresti a un poeta, oggi?


Eh, diventare, finalmente, compiutamente, felicemente un bel Belòt.



Puoi citare un verso che ti è particolarmente caro?


«Mieow».
O, al massimo, […] there’s a bluebird in my heart that // wants to get out // but I pour whiskey on him and inhale // cigarette smoke // and the whores and the bartenders // and the grocery clerks // never know that // he’s // in there […], essendomi costato quasi 1.500€ (cioè ogni cosa scritta da o su di lui). Come verso, è stato caro, molto caro.








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