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La parola verso proviene dal verbo latino vertere, cioè «capovolgere», in particolare la terra con un aratro. Il verso è allora un solco, una linea dritta in cui l’uomo col proprio lavoro pone i suoi semi che germoglieranno: nel verso, così, convergono la linearità naturale degli eventi e l’impegno fruttifero del pensiero umano.

lunedì 27 febbraio 2012

Anna Belozorovitch


Anna Belozorovitch
 




Intervista a cura di Roberto Maggiani tratta da Quanti di poesia edizioni L'Arca Felice.


   È possibile pensare ai poeti come a mediatori tra la realtà che si evidenzia nelle forme e una sorta di extrarealtà, evocata da Novalis quando afferma che nelle forme v’è la cifra nascosta di una scrittura straordinaria?

   Più che possibile, è altamente desiderabile. Direi quasi che è la massima aspirazione, quella di essere “mediatori” di questo tipo. O anche traduttori. Perché se i due universi hanno bisogno di uno speciale collegamento per essere comunicanti, hanno anche bisogno di un linguaggio. Il linguaggio del poeta non è universale perché non è universalmente condiviso da tutti, né perennemente mantenuto da lui stesso. Ma se in un attimo la comunicazione avviene, se in una determinata combinazione di condizioni si apre il contatto e le parole prendono vita così come nascono nella mente di chi scrive, è motivo di gioia e di commozione, perché immediatamente l’universo si rivela incredibilmente più vasto.

   Che cosa caratterizza la tua scrittura poetica, se la tua poesia fosse un quanto di luce, da quali atomi del reale salirebbe? Fin dove arriva, o vorresti arrivasse, ad illuminare?

   In teoria, la scrittura di una persona non potrebbe illuminare più di quanto lei stessa vede. Ma non è così. La parola ha qualcosa di autonomo, e guida chi la “guida”; tante volte decide lei cosa e come illuminare, ma, soprattutto, fa vedere a chi scrive qualcosa che prima non appariva illuminato. Di più: illumina per altri ciò che chi scrive non riesce a riconoscere, nemmeno dopo. Quindi, ritengo non sia possibile giudicare la propria scrittura, e di certo non è possibile sapere fino a dove illumini veramente. Anche nel mondo materiale  quello che abbiamo la capacità di cogliere con l’occhio non corrisponde lontanamente a quello che è effettivamente “illuminato”, o raggiunto dalla luce.
   Il poeta è uno che gioca con gli specchi, tentando di catturare, casualmente, il giusto incontro di raggi. È una sorta di stadio precedente alla scienza.

   Secondo te a cosa serve la poesia in questi tempi moderni? Qual è il suo ruolo?

   Per me, la poesia risponde ad una sorta di bisogno impellente che non trova completa soddisfazione altrimenti: quello di sincerità, o di verità. La poesia lascia il linguaggio libero di assomigliare quanto più possibile al proprio significato. La ricerca, per me, è questa. Dire quello che si vuole è qualcosa di tecnicamente difficilissimo nella vita reale. Per quanto riguarda coloro che non scrivono ma leggono poesia, penso che il desiderio non sia molto diverso: la ricerca del significato. Il significato puro è una sorta di chimera irraggiungibile, ma quando lo si sfiora, o si intravvede da lontano, il sentimento è quello della commozione (che non a caso ho menzionato nella prima risposta). E la commozione avviene quando c’è riconoscimento, un riconoscimento individuale, consapevole di essere condiviso. La poesia è molto più grande di chi prova a scriverla o chi tenta di leggerla, e non dipende dal fatto che qualcuno ne abbia bisogno: qualcuno ci si affaccerà sempre, anche involontariamente, e proverà le stesse sensazioni.

 
Anna Belozorovitch è nata a Mosca nel 1983 e ha vissuto tra il Portogallo e l’Italia, dove risiede stabilmente dal 2004. Scrive da sempre, prima in russo, poi in lingua portoghese, e successivamente in quella italiana, ora diventata la sua lingua principale. In poesia, ha pubblicato le raccolte Anima Bambina (Besa, 2005), L’Uomo alla Finestra (Besa, 2007), Cinque Passi (Greta Edizioni, 2008), Gioventù (Centro Studi Tindari Patti, 2010).

  E-mail: anna.belozorovitch@tiscali.it



 
Troppo in fretta, ed è freddo.

E il cielo bianco tiene fermi

come fantocci al fil di ferro.



Tremanti e rigidi, si pensa;

Il tempo piange ma non passa.

Il freddo è tempo di pensare.



Ma il cielo bianco prende anche

Porta lo sguardo in mare aperto,

Ferma il pensiero e apre il petto.



E, freddo vortice, agita dentro,

Ruba, glaciale, luce gialla,

Quella che del calore resta.



Attiva l’occhio e il momento,

Trasforma sogni vuoti in peltro,

Cambia la gente, novembre argento.
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