In Sette lettere a Enzo di Giovanna Fozzer la parola poetica nasce, scrive l’Autrice, «da lunghi silenzi e segreti
percorsi» dove risuonano «pensieri in dialogo con un amato perduto»; qui trova
eco «un capire che forse solo la morte, l’assenza irrimediabile, consente». Una
poesia, questa, lucidissima e tesa, capace di esprimere un’intensa, verticale
indagine sui misteriosi percorsi dell’anima, interrogati e rivissuti quasi in ansiosa ricerca di luce e di risposte.
Giovanna
Fozzer è scrittrice, saggista, critico e traduttrice nel campo della
mistica speculativa. Sua la versione dal tedesco barocco de Il pellegrino
cherubico di Angelus Silesius (1989/2004). All’esperienza del tradurre Lo
specchio delle anime semplici
di Margherita Porete (1994/1999/2003) si lega la sua narrazione Nello
specchio di Margherita (2001),
biografia immaginaria di Margherita Porete. Come poeta Fozzer è presente in
varie antologie, tra cui Nostos a
cura di F. Manescalchi (1997), Poesie di Dio a cura di E. Bianchi (1999), Così pregano i poeti a cura di G. Ladolfi (2001). Le sue
più recenti raccolte sono Repertorio
d’infinito e Poemetto dei bambini (2006 e 2008). Ha portato alle
stampe un grande poeta calabrese, Enzo Agostino (Gioiosa Jonica 1937-2003),
studiandone sia la poesia in lingua sia quella in calabrese gioiosano, e
continua a promuoverne la conoscenza con vari altri studiosi.
Giovanna Fozzer:
Sette lettere a Enzo
POGGIO PRATONE
COME IL MONT VENTOUX
di Rossano Onano
Pensieroso e sportivo, Francesco Petrarca scala il Mont Ventoux, osserva
il paesaggio sottostante, Rhodanus ipse sub oculis nostris erat, e
inaugura l'uomo moderno sostituendo alla pretesa visione oggettiva del mondo i
dubbi e le inquietudini dell'analisi introspettiva: spectaculo liberiore
permotus, in me ipsum interiores oculos reflexi. Dal più domestico Poggio
Pratone, dal quale mi dicono si osserva la visione di Firenze, Giovanna Fozzer
compie la medesima operazione (Sette lettere a Enzo, Edizioni l'Arca Felice,
2009). La comparazione mi viene per associazione mentale inconscia, della
quale sempre mi fido. Non si tratta di sapere se l'associazione sia esatta o gratuita;
l'inconscio, in quanto tale, è legittimato ad essere, indipendentemente dal suo
fondamento razionale. Quando compare, e
si registra, è tuttavia doveroso provare a spiegarlo razionalmente.
Il carteggio epistolare in poesia di Giovanna Fozzer è indirizzato ad
Enzo Agostino, grande e schivo poeta calabrese (Gioiosa Jonica 1937-2003),
portato alle stampe dalla stessa Giovanna. La produzione di Agostino comprende
due titoli: Coccia nt'o' gramoni (Edizioni Polistampa, 2003) e, postumo,
Inganni del tempo (Idem, 2004). Nel maggio 2008 il poeta di Gioiosa
Jonica è stato celebrato da un convegno di studiosi organizzato ad Arcavacata
di Rende dall'Università della Calabria, a quanto ho capito essendo la stessa
Fozzer motrice principale dell'iniziativa. Gli atti del Convegno sono raccolti
in volume a cura di un giovane studioso, Francesco Piluso (Per Enzo
Agostino, Edizioni Polistampa, 2009).
Del forte legame intellettuale ed
emotivo che legava Giovanna ad Enzo posso riferire per esperienza diretta. La
Fozzer era presente a un convegno calabrese organizzato da Francesco Graziano
per “Il Filorosso”, non ricordo l'anno ma Enzo Agostino era scomparso da poco.
Giovanna raccontava d'essere impegnata nella raccolta del materiale inedito
lasciato dall'amico. Ascoltava tutti i relatori con interesse e cortesia,
tornando poi sull'unico argomento per lei vitale in quel periodo, come dire che
tutti i convenuti erano degni d'attenzione, però insomma Enzo Agostino era
un'altra cosa.
Con Sette lettere a Enzo Giovanna propone tre differenti
relazioni dialettiche: la prima, puramente fittizia dal momento che il
destinatario del messaggio non è in grado di ascoltare, è la relazione
Fozzer/Agostino; la seconda, connaturata all'atto stesso di scrivere toccando
la corda dei sentimenti ovvero dell'ascolto di sé, è la relazione
Fozzer/Fozzer; la terza, implicita nella destinazione del messaggio al
pubblico, è la relazione Fozzer/consorzio umano.
La relazione Fozzer/Agostino.
Il dialogo con una persona cara e defunta procede, da sempre, così: chi
ricorda parla; chi è ricordato risponde con le frasi pronunciate in vita, che
la memoria del ricordante ripete.
Giovanna accarezza le espressioni verbali dell'amico: tu dicevi così, si ricorda
e gli ricorda, citando le frasi di Enzo relative al senso della vita e del
tempo. Il male non è lo scorrere del tempo, dice Giovanna perché così Enzo
diceva, il male è il tempo agglomerato nella clessidra, il tempo che non
scorre. E tu invece, Enzo, conoscevi il senso diacronico del tempo, dalla
bellezza classica alla perfetta gioventù di qualunque dio greco, fino al tempo
dell'oggi che è già premonizione del tempo di domani che non ci sarà, il tempo
della clessidra vuota. Nella splendida lettera 5 (COLCHICI) il senso della
relazione fra i due consiste in un patto di comunione intellettuale ed etica:
l'auto condanna volitiva ad una percezione ragionata, un “non lasciarsi
completamente andare” come condizione per essere, veramente, “padroni” della
percezione. Giovanna Fozzer, per come la conosco, è invece persona di
percezione irruente. Enzo è il suo maestro di stoicismo: senti, ma non
lasciarti trascinare. I maestri, però, sono introiettati sempre con frange
caratteriali dell'allievo che li ricorda. E infatti Enzo, maestro stoico, nella
relazione raccomanda misura a Giovanna con un calore che trascende il
ragionamento, ovvero lasciandosi andare. Sono, fortunatamente, le
contraddizioni della tenerezza.
La relazione Fozzer/Fozzer. Al rapporto dialogico segue il rito
della memoria dedicatoria. Questo ho appreso parlando con te, questo che ho
appreso a te dedico: il colloquio con il defunto ha senso, per Giovanna e per
tutti, quando si riconosce al defunto una presenza, affettiva e normativa, in
ciò che la persona memore “è”, rispetto a ciò che “è stata”, appunto in virtù
dell'insegnamento che dalla persona scomparsa ha introiettato. Giovanna
interrompe il colloquio diretto per affidarsi al ricordo introspettivo, non ciò
che Enzo ancora le dice, ma ciò che di Enzo è presente in lei nella sua attitudine
di proporsi al mondo. L'ascolto di sé ha come scenario la collina da cui, fra
veli di nebbia della primavera imminente, appena intravede Firenze in luogo
della Provenza, e la Sieve o l'Arno in luogo del Rodano. Poggio Pratone come il
Mont Ventoux.
La sesta lettera a Enzo:
PRATONE
Strada ghiacciata per il
Pratone
vento teso che asciuga
(siberiano, dicono).
Risalgo a cercarti – traccia e
anima -
nel biancore della ghiaia
nei ginepri – le bacche infine
mature -
nei quercioli rugosi delle
foglie ostinate,
nella pena del cipresso
seccato
dal bifido vertice fitto di
coccole morte
solitarie contro il cobalto
del Nord.
Al filo del crinale
tutto spogliato è il querciolo
solo;
grigio intrico pungente, lungo
i sentieri,
i biancospini in attesa.
Sono sinusoidi le eleganti
linee d'acqua
nel fango ghiacciato tra erba
e ghiaia?
E sotto, una bolla d'aria vaga
inquieta,
come l'antica, severa,
inarrestabile
livella del muratore.
E' un vento parlante
quello che passa sui visi, non
forte
sfiorando gli orecchi. Parla
di te?
Per te calpesto i lisciati
pietroni
(romani, medievali?) del
tratturo
che affiora alla curva sommità
del monte:
d'improvviso non è più pietra,
alla cima,
ma torna verde cupo d'erba
bagnata dalle piogge.
Veduti dal colmo quassù nel
sole,
l'Est e il Sud (la Sieve?
L'Arno?)
sono solo veli di nebbia
e fumi d'erba bruciate –
primavera ventura.
E ancora posso, scendendo,
dedicarti
qualche bacca rosso-brunita,
qualche ramo di rosa canina,
le sue spine nel vento.
E quando mi volgo, breve
apparizione
sopra i pini, lo scuro volo
massiccio
d'un grande volatile ali
stondate.
Fratello tuo, Falco?
Nella simbologia culturale, dalla
smorfia alla psicoanalisi, gli uccelli sono significanti di ambigua
fascinazione, creature di terra (ove pongono il nido) e di cielo, appetito e
volo, natura e trascendenza. Non per nulla, dalla qualità e direzione del volo
gli auguri indovinano il destino dell'uomo. Il falco, leggero e rapace, è segno
culturale di aggressività trascendente, angelo e demonio, artiglio di Dio sulle
cose del mondo. Giovanna dal Poggio osserva la nebbia terreste, quando sopra i
pini compare brevemente il volo dell'uccello rapace. Essendo in preghiera,
perché tale è l'ascolto della propria autenticità (in me ipsum interiores
oculos reflexi), per necessario meccanismo del cuore esegue fulminea
l'identificazione proiettiva: il falco sopra i pini è il fratello del Falco, è
il Falco medesimo. Falco, mi ha spiegato a voce Giovanna, è il nome da lei
conferito ad Enzo Agostino. Rispetto al quale, continua a spiegare, nel gioco
delle reciproche comparazioni Giovanna era un uccello bianco dal volo elegante,
credo abbia detto Gabbiano ma non ne sono sicuro, in ogni caso Gabbiano va
benissimo. Andava bene anche Colomba, se è per questo: il Falco e la Colomba. Nelle
identificazioni proiettive, la Fozzer definisce la caratterialità di Agostino
(il Falco), nello stesso tempo definendo se stessa per complementarità degli
opposti (il Gabbiano). Si tratta di un processo psicologico consueto:
difficilmente riconosciamo noi stessi in quanto “uguali” a un altro, più spesso
ci riconosciamo in quanto “diversi”.
Giovanna Fozzer, del gabbiano, ha effettivamente l'attitudine, per chi
la conosce, di osservare le cose a volo e dall'alto, volteggiando su di esse
con superiore eleganza: nei gesti e nella parola, quando scrive. Come il
gabbiano, è però un animale libero: non l'ho mai sentita pronunciare una parola
di convenzionale mediazione riguardo a faccende che non le garbano; verso le
quali, casomai, usa di consueto l'arma di un'ironia a volte compiaciuta, a
volte epigrammatica. Tutto sommato, Giovanna è un gabbiano che ha cuore di
falco. Nel definire se stessa per qualità complementari al Falco, credo abbia
ammirato in lui l'attitudine che manca al gabbiano: l'occhio sanguigno sul
mondo, la picchiata d'assalto, il combattimento. Quando forse Agostino, a
giudicare dal colloquio che intrattiene con lei nelle lettere (il mito classico
della bellezza; la misura; il distacco osservante) era al contrario un falco
con cuore di gabbiano.
Ma discorro un po' così, per amore di pignoleria: il lavoro
introspettivo, per essere rappresentato, ha bisogno di semplificazioni
espressive (il falco; il gabbiano) la cui aderenza al vero è accessibile
soltanto al facitore d'opera.
La relazione Fozzer/consorzio umano. Voi ch'ascoltate in rime
sparse il suono (sappiate) che quanto piace al mondo è breve sogno.
Petrarca, dalla cima del Ventoux, manda ai posteri un messaggio per la verità
vertiginoso: da falco, appunto, che però ammonisce a non picchiare verso il
basso alla ricerca di prede terrestri. Giovanna Fozzer, dalla cima del Pratone,
più modestamente rendo note le lettere a Enzo al pubblico ristretto dei
compagni di viaggio in poesia. Il volume, numerato in 199 esemplari e corredato
da due dipinti fuori testo di Sergio Rinaldelli, è senza indicazione di prezzo,
ovvero destinato ad essere distribuito ai soli addetti ai lavori.
La settima e ultima lettera a Enzo:
ORECCHIO ASSOLUTO
Tu che tutto coglievi
ogni suono, ogni idea
con fulminea grazia
facendolo tuo
(poiché già era tuo)
nei tuoi versi, nei pensieri,
nelle lettere
Tu
che il Poggio Pratone non
salisti mai
ma trovasti cantato in certi
piccoli versi
Oggi che dopo tanto vi ritorno
questo culmine, visione
d'orizzonte totale
dedico a te
al tuo alto dei cieli (che mai
negasti)
Nel silenzio autunnale opposto
a zirli trilli gorgheggi di
primavera
sotto un volo di rondini
tardive e senza canto
Tu
ritorni ancor più
nella mente che abiti sempre.
Il Falco è nell'alto dei cieli, mai negati
seppure, sembra di capire, mai pronunciati invano. L'introspezione è spazio di
libertà, l'uomo definisce se stesso e si affranca dal giudizio altrui. L'io che
si riconosce è in grado di formulare in modo autonomo e convinto la propria
visione del mondo. Soprattutto osservando l'orizzonte totale dal culmine del
Poggio. L'introiezione affettiva conclusa (vola, Falco: tu sei nella mia mente) orienta lo sguardo di Giovanna, spectaculo
liberiore permota, non più dal cuore alla terra, ma dal cuore al cielo.
Ove, nell'autunnale silenzio, non corrono falchi o gabbiani, ma solo il volo
tardivo e senza canto delle rondini. Beati gli umili, perché di essi è il regno
dei cieli.
Di essi è anche la poesia, se è per questo.
Rossano Onano
GIOVANNA FOZZER: Sette lettere
a Enzo, Edizioni L'Arca Felice, 2009
giovedì 11 giugno 2009
Giovanna Fozzer
Recensione a cura di Marco Furia
I
libri delle Edizioni L'Arca Felice sono schegge rosse e preziose,
leggere e mai prevedibili. Il catalogo comincia ad essere sostanzioso
(ne ho già parlato qui).
Fra gli ultimi autori pubblicati ci sono Marco Furia e, appunto,
Giovanna Fozzer. Il primo, autore genovese da sempre impegnato in una
ricerca che ha nella sillaba e nell'endecasillabo il suo centro, mi
invia questa recensione che pubblico con entusiasmo.
Stefano Guglielmin
Stefano Guglielmin
Intensi contatti
Accompagnata da due raffinate immagini di Sergio Rinaldelli, in cui elementi astratti e figurativi coesistono secondo i ritmi di vivide luminosità né soffuse né accese, la breve raccolta Sette lettere a Enzo (Edizioni L'Arca Felice, Salerno, 2009), di Giovanna Fozzer, si presenta quale poetica presa d'atto d'intime condizioni d'esistenza.
Dalla figura (qui non retorica) della domanda senza risposta, ossia da enigmatici grumi di sentimenti, parole, immagini, scaturiscono versi piani, lineari, eppure esposti sull'abisso dell'indicibile.
L'àmbito definito classico è sufficiente ad un'autrice molto attenta nei confronti d'una metrica che mai sfugge ad acute esigenze ordinatrici indissolubilmente unite a lucida affettività: versi come "immagini, nell'intenso contatto" e "Tu che tutto coglievi / ogni suono, ogni idea / con fulminea grazia / facendolo tuo / (poiché era già tuo)", ben rappresentano una poetica per nulla scossa dalla presenza d'entità ineffabili ritenute non ostili, bensì naturali, comuni a tutti gli uomini.
Da territori muti, in cui nemmeno possono essere costruite immagini poiché l'espressione ancora non sgorga, Giovanna estrae l'energia necessaria a far nascere, quasi per (fecondo) contrasto, una lingua precisa, equilibrata, partecipe.
I toni, così, rivolti tanto ad episodi quotidiani, quanto ad inediti lineamenti ("benevolo infinito"), risultano sempre ricchi d'una pregnante leggiadria in cui lievi sfumature s'intrecciano a sequenze descrittive interrotte da improvvisi bagliori, da repentine pronunce d'ampio respiro, dall'insistere su quesiti semplici e, appunto, privi di risposta.
Il tutto senza freddezza, con quella passione che alla sapienza sa accompagnarsi parola dopo parola, mai perdendo di vista (ora non più tacite) complessità ritenute irrinunciabili elementi d'una poesia che della vita non aspira ad essere specchio, ma vero e proprio tratto costitutivo.
Una poesia che s'illumina di luci policrome, calde, in grado d'indurre chi legge a percorrere itinerari lungo i quali poter riconoscere significative parti dell'esistenza interiore, altrimenti a rischio d'oblio: una poesia, insomma, che affascina e assieme aiuta.
ORECCHIO ASSOLUTO
Tu che tutto coglievi
ogni suono, ogni idea
con fulminea grazia
facendolo tuo
(poiché era già tuo)
nei tuoi versi, nei pensieri, nelle lettere
Tu
che il Poggio Pratone non salisti mai
ma trovasti cantato in certi piccoli versi
Oggi che dopo tanto vi ritorno
questo culmine, visione d'orizzonte totale
dedico a te
al tuo alto dei cieli (che mai negasti)
Nel silenzio autunnale opposto
a zirli trilli gorgheggi di primavera
sotto un volo di rondini tardive senza canto
Tu
ritorni ancor più
nella mente che abiti sempre
INFANZIA
Preda dei tuoi umori obliqui
mentre grondava sul vetro la pioggia
e l'inverno
bruciava grani di aromi
a rinvigorire una memoria stanca
che pure ancora riaccendeva
riti e miti (quasi sempre mortuari)
d'una infanzia ossequiosa, attenta e stupefatta,
affascinata
dal mistero dell'incomprensibile.
Il vivo viso del calciatore dodicenne
o più il suo sguardo
già tutto diceva il sapere e il capire
del poeta, del professore, del politico,
l'innocenza e il fascino
dell'uomo bello come un dio greco
(così dice il tuo fotografo amico),
del giovane che (dicevano in molti)
sembrava un attore.
Pure, poteva il tuo volto
esprimere duro il tremendo;
o invece un benevolo infinito
nelle labbra dal bel disegno
(che la fossetta del mento completava)
e nello sguardo - tenerezza impercettibile
celata nello 'strabismo di Venere'.
FANTASIA
Mobili forti e lievi le tue
immagini, nell'intenso contatto
tra fantasia e cose.
Nelle poesie, nelle lettere, nel tuo
parlare
(quando, per pochi anni, parlammo),
ricche fiorivan dal mare, dalla terra, dal cielo:
l'alba saliva lungo scale d'aria,
la luna, impigliata sulla fiumara
- 'a luna mpiccicàu sup' à hjumara -
è n'affetta, ì meluni, 'na lampara
e u' celu è seru, e' i nùvuli ricotti;
e quando cade
Non è cchjù luna, mo esti nu farcigghju
chi meti hjuri russi, ranu e migghju
e 'mbratta 'ì sangu u' saccu d'a' furtuna
Rifugio t'era buio
'u scuru ti era luci,
la notte ti cullava nta lu firmamentu,
nta 'na cònnula fatta 'i hjarvi e canti.Fiori e canti a consolarti
l'anima di eremita
prigioniero di testesso e della sorte,
ferutu d' u' distinu, e chi la morti
aspetta, e 'u gira 'rota di la vita.
Cantava ogni tuo verso,
nella tua solitudine, la più nobile,
lucida, amara disperazione.
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