Libri di arte, poesia e filosofia

La parola verso proviene dal verbo latino vertere, cioè «capovolgere», in particolare la terra con un aratro. Il verso è allora un solco, una linea dritta in cui l’uomo col proprio lavoro pone i suoi semi che germoglieranno: nel verso, così, convergono la linearità naturale degli eventi e l’impegno fruttifero del pensiero umano.

mercoledì 29 giugno 2011

Gli ex libris creati da Roberto Matarazzo per le Edizioni L'Arca Felice



 L'artista Roberto Matarazzo ha reso unici e preziosi alcuni esemplari dei nostri libri, dipingendo direttamente all'interno delle pagine questi splendidi ex libris:












domenica 26 giugno 2011

Moniaspina di Monia Gaita




Monia Gaita









Mario Fresa dialoga con Monia Gaita

Si avverte, nella tua scrittura, un’incidenza forte, che vorrei definire di alta e sofferta acribia, del rapporto che lega e stringe la parola con il suono. Come definiresti il senso dell’elemento orale così incisivamente presente nella tua poesia?

Per me la poesia largheggia e s’incrementa anche nell’impasto sinfonico di una partitura musicale invisibile ma presente. Ciò avviene, e con l’apposizione degli accenti acuti e gravi, e con un’accurata scelta lemmatica che eleva ogni parola a unità infungibile e necessaria. Il ritmo interiore echeggia nell’eiezione fonico-espressiva delle strofe e ad essa coerentemente si combina sotto l’egida del gioco elementare significante-significato-suono. La parola ha delle note ben precise, bisogna solo cercarle, dando loro flauti, voce e combustibile vitale.

Qual è il limite, nel tuo dire poetico, tra confessione e oggettività?

Quando dico parto sempre da ricordi, esperienze in svolgimento, passate o immaginate possibili. Posso anche ipostatizzare tutto un fervido contingente di fantasie ed inventato. Ma poiché ritengo che nel pensabile risieda e pulsi verità e sostanza, non distinguo tra oggettività e soggettività, ne mescolo le carte a piacimento, ne mangio a fette fate, brume e mondi. Con un colpo di forbice non posso dimidiarmi in due aree, quella in cui più m’identifico, da quella che avverto a me estranea o lontana. Le parole mi fasciano interamente, mi forano le assi del respiro, m’assediano i secondi di bianco e di nero, di giusto e di sbagliato, di redenzioni e crolli. Ci sono comunque io in ciò che scrivo, e non col mimetismo criptico di
chi nei versi si nasconde o si confonde, ma nel senso autentico, che soppianta la finzione del messaggio.

Le forme e i discorsi del tuo gioco poetico pretendono una costante riflessione, un invito continuo a scalare una infinita vetta, piena di ostacoli, di grumi pluridirezionali, di enigmi e di sorprese; è giusto indicare come sempre ritrosa e sfuggente – cioè non direttamente e facilmente comunicativa - la tua lingua poetica?

“Ritrosa e sfuggente” è una diade aggettivale che mi appartiene e che credo appartenga a un certo tipo di poesia, oggi sicuramente minoritaria. Ho sempre pensato che la poesia risieda in un punto sommitale che non ci è dato cogliere del tutto, ma per brevi sigle o sipari luminosi. La poesia è come Dio, come l’inconoscibile: non si può spiegare e neppure ce lo chiede. La mia poesia non è facilmente comunicativa perché per me la poesia non ha da comunicare. La poesia può emozionare, indurci ad assegnare al nostro pensiero una direzione più libera e intelligente, ma resta pur sempre Arte Assoluta. Può trincerarsi dentro un silenzio sdegnoso, folgorante e inaccessibile: siamo noi, innamorati persi ed inarresi, a inseguirla anche quando ci evita, ci snobba, ci lega e ci maltratta.

Vi è abbandono e progettualità, nei tuoi versi; convivono, cioè, la geometria e il disordine, la meditazione e l’immediatezza, lo studio programmato e l’accensione impreveduta; ma qual è, nella tua scrittura, il punto di partenza, e qual è la finale mèta? L’ordine o il caos?

La finale meta è sempre l’ordine, sgretolare il caos, le omeomerie del nulla ed il frustràneo, sgominare i reparti del buio, del vuoto e del caduco, sovrapponendo alle fratture dell’addensato fenomenico una seconda ossatura che valorizzi e rivaluti l’esistente e lo reinterroghi senza posa, per scagliare le pietre definite alla bellezza, farne amuleti di conforto e riflessione quando serve.

sabato 11 giugno 2011

Le preziose edizioni de L'Arca Felice

 

L'Arca Felice pubblica testi, spesso inediti e rari, di autori antichi e contemporanei, in particolare filosofi e poeti, mostrando una particolare attenzione nel creare una comunicazione speculare tra le forme della poesia e le forme dell’arte visiva. Secondo l’antico pensiero cinese, la calligrafia, la poesia e la pittura erano definite le tre perfezioni. Le opere che sapevano combinare le tre perfezioni furono considerate dai sapienti la massima espressione del pensiero e dell’arte. L’Arca Felice intende promuovere con uno specifico interesse il rapporto fra la scrittura poetica e il segno artistico: ogni libretto, infatti, offre un dialogo fitto che si svolge tra i poeti e i pittori, le cui opere (dipinti, disegni, collages) sono impresse fuori testo a tiratura limitata e accompagnano, come un’eco sospesa, l’apparizione della parola poetica. Le plaquettes e i libri sono tirati in centonovantanove esemplari numerati a mano e sono inviati a Circoli culturali, Biblioteche, poeti, critici e artisti, nonché esposti in mostre presso Gallerie d’arte contemporanea. L’ideogramma cinese che rappresenta l’Associazione simboleggia la primavera, intesa come l’espressione di una Volontà di rinascita umana e spirituale, tesa ad accogliere le forme più alte e più sensibili del pensiero e dell’arte. Il design dei libretti, pur in un’ottica di moderno uso delle tecniche di stampa e di incisione, intende promuovere la necessità di un allontanamento dal concetto di libro come prodotto “commerciale” e “usa-e-getta”, perseguendo l’idea di offrire un vero dono artistico, lavorato in modo artigianale e unico, così come unici e irripetibili sono gli occhi dello stesso lettore.





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