Mario Fresa
Questionario di poesia (34)
Lorenzo Gattoni
Qual è il segreto progetto a cui tende
la tua scrittura?
Non c’è un progetto o una meta segreta,
semplicemente la scrittura è un fattore di conoscenza (di sé e di quanto ci sta
attorno) e in quanto tale accompagna l’esperienza, divenendo essa stessa esperienza.
La scrittura di poesia è una domanda, una condizione interrogativa; un modo
quindi di esprimere la naturale caducità propria e delle cose. Da parte mia,
scrivere poesia è anche un modo per mantenere e rafforzare il rapporto con la
memoria e allo stesso tempo attraverso il lavoro sul linguaggio e sulla parola
cercare di salvaguardare l’elemento umano della propria esistenza.
Come nasce, in te, una poesia?
Dall’ascolto e dalla osservazione.
Attenzione e ascolto anche interiore, osservazione di fatti, cose e persone. È
l’urto che provoca l’emozione, il sussulto, che a sua volta cerca un’uscita,
una modalità per dirsi. Dall’urgenza di questo pungolo viene poi il lavoro, e
molto, affinché il nucleo emotivo acquisisca parole e forme capaci a loro volta
di comunicare e suscitare emozione.
Il poeta parla di ciò che realmente vive
o di ciò che vorrebbe ricevere, e che sempre gli sfugge?
Il poeta deve parlare di ciò che vive, ma
non della sua personale esperienza o del suo personale vissuto bensì solo di
quanto nella sua esperienza può esservi di comune alle altre persone e perciò
di potenzialmente universale. In altre parole, il poeta deve mettere da parte
la biografia.
La poesia è salvazione?
La poesia è un’arte, che ha per proprio
strumento di lavoro il linguaggio. È quindi con il linguaggio, cioè con ciò che
ci rende umani, che chi scrive deve confrontarsi. E il rapporto con la potenza
del linguaggio non è mai facile, lineare o consueto, anzi dinanzi a essa
occorre essere umili e persino deferenti. Può esservi “salvazione”,
consapevolezza e conforto artistico ed esistenziale, quando con il linguaggio
si instaura un rapporto proficuo, creativo, espansivo, ma quando ne deriva un
rapporto di schiacciamento, di soffocamento, di progressiva contrazione il
rischio, proprio perché a un certo livello è un rapporto totale e totalizzante,
è quello di perdersi e il prezzo della ricerca della parola è la vita stessa.
Anche in anni recenti, la morte scelta di alcuni poeti – vorrei qui ricordare
Mariella Mischi e Simone Cattaneo – lo testimonia.
A quale gioco della tua infanzia
vorresti paragonare la tua poesia?
Non saprei cosa rispondere a questa
domanda. In generale, se devo avvicinare la poesia ai giochi dell’infanzia,
penso alla serietà, alla concentrazione, all’adesione totale quali
caratteristiche vicine se non comuni tra il gioco dei bambini e il “gioco” con
le parole.
Che cosa ti ha insegnato la
frequentazione della scrittura poetica?
A poter conoscere meglio le sfumature, le
stratificazioni, le ombrature, le ramificazioni, le velature della realtà e a
comprendere che la ricerca poetica è inesausta e inesauribile. Come vi è in
questa ricerca un punto di partenza, così non vi è un punto di arrivo, una
meta; vi è piuttosto un processo continuo. La scrittura poetica è una forma di
disciplina. E noi senza le parole, senza la parola saremmo nulla. Per questo
occorrono ascolto, umiltà ed esercizio.
Qual è il grado di finzione e di
mascheramento di un poeta?
Un poeta se vuole essere tale non può, nei
suoi versi, fingere o mascherarsi. Se lo facesse la sua poesia sarebbe fasulla
e fallace. Il poeta scrive la sua versione del vero, la poesia è un aspetto
della nudità. Pessoa, a questo riguardo, ha dato una risposta secondo me
esauriente e completa: «Il poeta è un fingitore/ finge così completamente/ che
arriva a fingere che è dolore/ il dolore che davvero sente.// E quanti leggono
ciò che scrive,/ nel dolore letto sentono proprio/ non i due che egli ha
provato,/ ma solo quello che essi non hanno (…)».
Vorresti citare un poeta da ricordare e
da rivalutare?
Il primo nome che mi viene in mente, dal
Novecento italiano, è Bartolo Cattafi, autore di integra forza espressiva, la
cui scrittura immaginifica e insieme concreta è ancora di grande modernità e
attualità.
Qual è il dono che augureresti a un
poeta, oggi?
Di rinvenire, in sé, una riserva di dolore,
da custodire e da proteggere, e a cui attingere con misura secondo le necessità
espressive e artistiche. E di coltivare l’ascolto e la lettura di poesia, di
leggere tanto e bene, poesia ma anche letteratura. La lettura è una condizione
necessaria per arrivare alla scrittura. La poesia, nel caso, verrà. Per trovare
le proprie parole occorre conoscere le parole degli altri.
Puoi citare, spiegando perché, un verso
che ti è particolarmente caro?
«Ogni
molo è una nostalgia di pietra.» Ancora
una volta Pessoa il quale magistralmente e con poche parole ha descritto, anzi
scolpito, la nostra condizione di umani: protesi a un orizzonte, ma radicati
alla terra, assistiamo all’incessante fluire del tempo e, lambiti da esso, avvertiamo
il peso della nostra inamovibilità con inevitabile nostalgia.
In alto, il particolare di un’opera di
Annibale Carracci [1560-1609]
Condivido il sentire poetico di Lorenzo, fine critico e ottimo poeta... Luisa Pianzola
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