Lorenzo Gattoni, Alla confluenza dell’attesa
Con dipinti di Luca Bonfanti. Libro di arte-poesia a
tiratura limitata (199 esemplari numerati a mano). Collana «Coincidenze», Edizioni
L’Arca Felice, Salerno MMXI, pp. 16, più una litografia fuori testo.
L’attesa
di cui parlano i versi di Lorenzo Gattoni si fonda su di una speranza che è
tutta priva di proiezione metafisica: perciò leggiamo una poesia asciutta,
dura, ossuta, che non si pone come universale riscatto né come ausilio ricompositivo,
conciliante o riparatore. Essa coglie, con una nuda precisione, i nodi estremi
dell’esistenza dell’uomo, sospesa tra l’aspettazione dell’ignoto e l’analisi
del passato. Così, il discorso poetico si rivela il più puro strumento di
osservazione e di indagine del guado ansioso entro il quale noi siamo tutti
precipitati; il poeta è spinto alla ricerca di una chiave, di un’ipotesi di
certezza, ma sempre viene a scontrarsi contro il muro di un’ineffabilità che
gli ricorda il suo destino inevitabile, le cui mète sembrano essere
l’insensatezza, il tedio, l’incomprensione della realtà. Perché avanzare, inoltrarsi
nell’esistenza stessa significa soltanto perdere e smarrirsi; e si constata,
infine, che «tutto è simíle, e discoprendo, / solo il nulla s’accresce» (Leopardi, Ad
Angelo Mai, vv. 99 -100; in Canti,
a cura di F. Bandini, Milano, Garzanti, 1975).
Lorenzo Gattoni è nato nel
1960 a Milano, dove attualmente vive e lavora. Ha pubblicato le raccolte di
poesie Il vetro e la cera, Edizioni Tracce, Pescara, 1998; La
frattura del sorriso, ExCogita Editore, Milano, 2001; Scatti di posa,
Edizioni Joker, Novi Ligure (AL), 2004; Misure di vuoto, Edizioni Joker,
Novi Ligure (AL), 2008, e le plaquettes Scatti di posa - cinque poesie,
Dialogolibri, Olgiate Comasco (CO), 2002; La polvere e il diluvio, Fiori
di Torchio, Seregno (MB), 2010. Sue poesie e interventi critici sul suo lavoro
sono apparsi su varie riviste e pubblicazioni, anche on line. È redattore delle
riviste «Il Monte Analogo» e «La Mosca di Milano».
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Poeti dell’attesa 2. / Lorenzo Gattoni, “Alla confluenza dell’attesa” (Edizioni Arca Felice, 2011)
Recensione di Renzo Marillo
Misurarsi
con l’attesa (e l’abbandono) non è soltanto contribuire alla
riproposizione (sicura, e rassicurante) di topiche già largamente
consolidate nella tradizione poetica italiana, ma anche una proposta
epistemologica, etica e poetica più ampia.
Tale apertura a tutto campo é quanto presuppone, per esempio, e
neanche troppo in sotto traccia, la lettura della plaquette di Lorenzo
Gattoni Alla confluenza dell’attesa (Edizioni L’Arca Felice, 2011, con dipinti di Luca Bonfanti).
La plaquette, anzi, si apre con una precisa dichiarazione di poetica –
ave rara nel panorama poetico contemporaneo, secondo recenti
conversazioni, pubbliche e private, con Andrea Gibellini, ma anche
soltanto gettando lo sguardo su (più) generazioni che non dicono più “io
scrivo così”, limitandosi invece a parlare in terza persona.
L’inizio della dichiarazione di poetica, dunque, recita così, senza veli, né retorici né umani:
“Scrivere è zittire un’assenza. La nostra vita è costituita
dall’assenza, nella duplice forma dell’abbandono e dell’attesa. L’una,
quindi, rivolta al passato; l’altra al futuro. Ecco perché la poesia può
porsi con esattezza sul crinale di questo equilibrio […]”
Le 7 poesie che seguono svolgono, spesso diligentemente – da notarsi
la ricorrenza di termini come “attesa”/”disatteso”, “perdita”, “cresta”,
“dorso”, a creare un campo semantico ben conchiuso e caratterizzato da
lucidità e precisione (con una ferocia chirurgica e una fame che
escludono ogni monolinguismo petrarchista) – spesso, tuttavia, con
improvvisi squarci di luce, questo tema iniziale.
Si va componendo così un universo segnato dall’attesa e
dall’abbandono come se queste fossero leggi fisiche, con le quali la
poesia deve venire a patti per trovare le parole (si vedano, per esempio, i testi *girato l’angolo* e *la parola iniziale*, quest’ultimo riportato qui, più sotto).
La ricerca è metapoetica e, siccome l’universo poetico creato da
Gattoni è chiuso e normato da leggi (anche se metaforiche, e riguardanti
l’attesa e l’abbandono), intrinsecamente metafisica.
Ci si può chiedere perché vi sia necessità di metafisica nella poesia
di oggi e se alle domande “cos’è l’attesa?”, “cos’è l’abbandono?”
(“cos’è la poesia?”) si debba rispondere ancora tenendo presente una
dimensione ideale e trans-storica. Ci si può chiedere se questa ricerca
di definizione della poesia tra l’attesa e l’abbandono non sia parte di
una ricerca costitutiva della poesia, una ricerca paradossalmente oggi
già vecchia (oggi che “viviamo in tempi di proroga”, come si legge nella
plaquette di Marchesini).
Resta, tuttavia, ineludibile un contatto, seppur labile, labilissimo,
con la dimensione del sacro, per una parola che può farsi sociale – e
tradurre attesa e abbandono nelle dinamiche della società e
dell’economia contemporanea – ma finisce per appiattirsi su se stessa se
non guarda anche – non in modo relativistico ob torto collo, ma in e con relatività – alle leggi che guidano (e tentano di distorcere, fino al silenzio) la parola.
*
la parola iniziale
ha infranto il mutismo
delle cose
da allora
la replica scortica
quel che di nome
era verità
complici dell’inganno
osserviamo le maschere
in processione mentre
una parte di cielo continua
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Su Alla confluenza dell'attesa di Lorenzo Gattoni
nota di lettura di Alessandro Ramberti
«Scrivere è zittire un'assenza (…) nella duplice forma dell'abbandono e dell'attesa. (…) La poesia è quindi ascolto, perché zittire un'assenza significa dare voce al silenzio, al vuoto.»
Cosi scrive Gattoni in esergo a questa saporosa plaquette che, per la capacità di catalizzare immagini spiazzanti e trasmettere scariche emozionali, ci ricorda un po' lo stile di Vincenzo Celli. Si considerino questi exempla del Gattoni: «alla confluenza dell'attesa / una nuvola si sfalda / quando ti chiamo / e non ci sei» (p. 7); «il ricambio del tempo / è un'unghia sulla lavagna / e il gesso un miraggio» (p. 8); «scivoliamo sul dorso / del cucchiaio come amanti / in rivolta, sulle cataste / in cordata annaspiamo» (p. 13). Una versificazione che ci attira subito nel mondo del Nostro e ce lo fa sentire amico per la sua voce accogliente che sa varcare con la leggerezza di una brezza sotttile il silenzio fra abbandono e attesa, come testimoniato anche dalla bella poesia in quarta di copertina:
(…)
il tempo è così poco
è così poco tutto
che avere fretta è stare fermi
e poi è così bella la malattia
dell'attesa, così piena
di catrame e di tramonto
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