Eugenio
Nastasi
Intervista a cura di Roberto Maggiani tratta da Quanti di poesia edizioni L'Arca Felice.
È
possibile pensare ai poeti come a mediatori tra la realtà che si evidenzia nelle forme e una sorta di extrarealtà, evocata da Novalis quando afferma che
nelle forme v’è la cifra nascosta di una scrittura straordinaria?
In via preliminare bisognerebbe operare un
distinguo tra l’uditorio concesso ai poeti nella nostra distratta e fuorviata
realtà contemporanea e la funzione mediatrice degli stessi tra realtà ed extrarealtà.
Compiendo il salto del fosso, trovo
percorribile la funzione dei poeti come testa
di ponte per agganciare, attraverso la scrittura poetica, un nesso
condivisibile tra il qui-e-altrove della “caverna azzurra” della poesia e il
pubblico dei lettori.
Mettendomi dalla parte di chi legge ciò
accade quando la realtà contenuta nella scrittura, non solo mi distoglie da
notizie e da titoli a grandi lettere, ma riesce a oltrepassarli con uno scatto,
per così dire, di fianco, senza il mio intervento, ma solo grazie al mio
ascolto: spingendomi al di fuori di una vastità che si è manifestata quando una
composizione mi ha fatto ascoltare qualcosa che magari a prima vista non aveva
significato. Ma se il poiein è reale,
adesso scopro che lì c’è posto per la poesia, e questo posto va dal mio
orecchio più interno fino alla sua delimitazione, che non è nominale ma solo
intuibile con la parola lontananza.
Potrebbe trattarsi della cifra nascosta
di Novalis?
Che cosa caratterizza la tua scrittura
poetica, se la tua poesia fosse un quanto di luce, da quali atomi del reale salirebbe? Fin dove arriva, o vorresti
arrivasse, ad illuminare?
Riferire della propria poesia non è sempre facile: si potrebbe far ricorso ad un quid innato, ma non basterebbe se non
fosse coltivato; fare appello alle letture amate, ai solfeggi che vengono da
chissà dove, ai classici, agli input
senza confine del secolo breve, alla mia full
immersion nella natura naturans,
ai poeti che capovolgono la mia weltanschauung,
ma si tratta ancora di correlati, contorni, sapori avventizi. È ancora la vita
vissuta a dettar legge, «qui i rapporti seducono, è la parola che nutre e
appaga come la subitanea rivelazione di una verità; dire che questa verità è di
ordine poetico, equivale semplicemente a dire che la parola poetica non può
mai essere falsa perché totale; brilla di una libertà infinita e si appresta a
irraggiare verso mille incerti possibili rapporti.» (Barthes). Se fosse un quanto di luce, ecco vorrei che la mia
poesia utilizzasse lo stupore di
nominare un evento o il groviglio di sentimenti immediati e senza passato,
anche un sogno che proponesse l’ombra fitta dei riflessi di ogni provenienza a
lei connesso. E dovrebbe giungere a illuminare fin dove è ancora l’amore a
strapiombo dal cielo, lungo i frattali che perimetrano i continenti.
Secondo
te a cosa serve la poesia in questi tempi moderni? Qual è il suo ruolo?
Chi ha orecchi per intendere intenda: la
poesia in questi nostri tempi moderni, anche quella del re Davide e di S. Juan
de la Cruz,
serve per fermarsi e riflettere; per decrittare le sequenze di senso che
arrivano dal villaggio globale; le parole della poesia non si impongono, non
ordinano nulla, anche se non sempre sono un’immagine familiare; il loro ruolo
dovrebbe essere la serietà, che
conservano dalla prima frase fino all’ultima. «Il loro effetto più grande»,
scrive Kolleritsch, «è l’autorità senza autore».
PENSIERI
A CROMATURA VARIABILE
…ma il vizio non ha per madre la scienza,
e la virtù non è figlia dell’ignoranza…
Agrippa D’Aubignè, Poema tragico
Ultime grida da Maierato
Quando
improvvisa una burrasca
ombreggia
le colline,
quando
l’ulivo si contrae e l’aria fermenta
saette
come lamine d’acciaio,
quale
spiraglio d’azzurro
può
essere raggiunto?
Quale
alfabeto di singole parole
può
affiorare dai gesti?
Nelle
corde della nave in disarmo,
nelle
pieghe del mantello di argilla
s’intorbida
il paesaggio.
La
vista affonda il mondo esterno
in
ruscelli verticali
e
le sagome e i volti diventano un ostaggio:
pallidi,
costretti in un perimetro di schegge,
bloccati
dalla melma.
Così
una chiocciola umana rimane
sul
fondo del burrone
e
la velocità del suono affonda l’attesa.
Così
un rametto di resina all’aperto basta
a
riardere tutta una fascina
e
la pendola che batteva il cuore della casa
ferma
le lancette in questo tempo,
mentre
nell’altro l’ora continua a oscillare.
Eugenio
Nastasi,
attivo sia in campo poetico sia in pittura, ha preso parte a mostre e
collettive in tutta Italia. Come poeta, dal 1987, ha pubblicato otto
raccolte, le cui ultime due sono: Un
sogno guidato (Lepisma, Roma, 2008, premio poesia edita EriceAnteka, 2009);
Canti senza percorsi (LaRecherche.it,
2010, in formato eBook liberamente
scaricabile su www.ebook-larecherche.it).
È risultato finalista a molti concorsi letterari ed è stato tra i vincitori,
sia con liriche inedite sia con opere edite, ai seguenti premi: Alfonso Gatto (Salerno,
1990); Insieme nell’Arte (Palermo, 1995); Marianna Florenzi (Perugia, 2000); Agemina
(Firenze, 2007); Rhegium Julii (Reggio Calabria, 2009); Renato Giorgi (Sasso
Marconi, 2009); Città di Calopezzati (2010).
È stato finalista alle edizioni 1996 (Roma)
e 1997 (Napoli) del Premio Internazionale Eugenio Montale. Suoi interventi
critici o poesie sono apparsi in varie riviste.
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