Antonietta Gnerre, PigmenTi,
con dipinti di Raffaele Della Fera e Tonino D’Amore.
Libro di arte-poesia a tiratura limitata (199 esemplari
numerati a mano).
Edizioni L’Arca Felice, Salerno 2010, pp.16, più una
stampa fuori testo.
La poesia di Antonietta Gnerre si presenta dolce,
liquida, sommessa, ponendosi in una direzione che tende a descrivere la vita
nelle sue più piccole sfumature attraverso un dialogo con se stessa, con una
lingua sinuosa ed essenziale: «Anche oggi scrivo /dai bicchieri del
tempo/rassetto le magre /giunture degli aghi /una parola connessa /alle mie
orecchie ». Una voce poetica intensa e
maliosa, che invita a un delicato e amoroso accoglimento del mondo e dei suoi
doni inaspettati, con una prospettiva
potentemente ardente e amorosa, filtrata, però, con l'impiego di una
misura tutta pervasa da una pacata e morbida dolcezza; si avvertono, nei suoi
versi, continui segnali di un segreto, inesauribile desiderio già
pronto ad abbracciare l'intero mondo e la natura stessa (così tanto che quest'ultima,
appunto, sembra fondersi, addirittura, con la medesima voce poetica,
in una sorta di unione nuziale con il Creato).
Antonietta Gnerre ha pubblicato: Il Silenzio della Luna (Menna, 1994); Anime di Foglie (Delta 3, 1996); Fiori di Vetro- Restauri di Solitudine
(Fara, 2007); Salici di Seta e il viaggio
del Silenzio nei Poeti Irpinia (Il Silenzio della Poesia, Fara, 2008); Preghiere di una Poetessa (Lo Spirito
della Poesia, Fara, 2008); Meditazione
poetica e Teologica in Mario Luzi (Delta 3, 2008); Ultimo sogno- Pianeta Terra (Poeti Profeti, Fara, 2009). Dal 2009 è
responsabile sul settimanale Cattolico della Diocesi di Avellino «Il Ponte»
della pagina Cultura, Arte e Spettacoli;
mentre sul settimanale di politica «Primo» di Avellino cura la pagina Cultura/Libri. Dal 2007 è Presidente del Premio Prata.
Non so a
quale periodo
appartiene
questa realtà,
ora che non
batte più nel palmo
della tua
mano. Una lacrima cade
in questa
terra bagnata dalle ortiche
e da un
vento che freme
sui
capillari degli abeti.
Eppure
vorrei mutare pianto
nel passo
che cementa
il tuo
nome, quella solitudine
immensa che
guarisce il mondo.
Su PigmenTi di Antonietta Gnerre
Edizioni L’Arca Felice, 2010
recensione di Vincenzo D’Alessio
In tempi violenti, segnati dallo spasimo continuo del dolore sociale e morale, come quelli che viviamo, un attimo di sosta, nei versi della splendida plaquette della poetessa irpina Antonietta Gnerre, è come acqua che disseta l’arsura del corpo. PigmenTi è il titolo della raccolta.
I poeti, le poetesse, sono da secoli la parte migliore della società organizzata dagli esseri umani. Sono le sagome, mobili, esposte ai venti gelidi delle inquietudine e delle sofferenze. Vivono ai margini delle società votate all’economia del vivere quotidiano. Si alimentano del colore dei sogni, scoperti nel confronto con la Natura.
La raccolta che ci propone la Nostra è possibile accostarla a quella di un grande poeta del Novecento, Benito Sablone del volume L’Angelo di Redon (edizioni Tracce, 2000). Sablone rende omaggio al grande artista francese Redon Odilon, con versi ricchi di quell’ardito passaggio della lingua, definito Simbolismo, che vede nel simbolo l’archetipo della Poesia. La Gnerre fa un analogo passaggio prendendo spunto, attraverso analogie e metafore, dal simbolismo naturale. Il pigmento che colora tutte le forme viventi. La linfa che alimenta uomini, animali e piante. L’alito infuso dal Creatore alle sue creature.
Simboli di vita che ritornano nelle stagioni. Così dalla prima raccolta pubblicata dalla Nostra, che recava il titolo Anime di foglie, si giunge a quest’epilogo che svela, in tutta la sua complessità e nel suo vigore, la maturità raggiunta in poesia. Simbolismo contemporaneo che riversa, nel Dio nascosto allo sguardo materiale degli uomini, le speranze per superare “il flagello della tempesta dei ricordi” insita nella mente di ognuno di noi: “(…) Eppure, sento, che non hanno riparo / queste mie pene./ Nascono dalla / tua materia, per restare sul rigo / di un grande motore umano. / La mia carne”. Eccoci di fronte al testamento spirituale della poetessa. Rieccoci di fronte all’invocazione, rivolta al Creatore e al suo creato, di riuscire a comprendere la veridicità del dolore che si subisce, che si accoglie, che ci conduce a quel Golgota di fine vita. La metafora si ricompone nel verso “foglia disabitata”, come l’invocazione nella Passione “Padre perché mi hai abbandonato?!”. Tutto il creato “trema” di fronte alle porte del Mistero. Ogni creatura, annientandosi, cerca nei “propri segreti”, analogia del dialogo interiore, la Speranza “di amarti / senza mai più tardare”.
Quest’affermazione appartiene agli animi grandi. Alle coscienze preparate all’incontro finale con sorella Morte. La risposta all’interrogativo, perché viviamo, viene colmato dalla Gnerre, in questa raccolta, ancora nel dialogo simbolico con gli elementi della Natura, uomo compreso. L’ikebana, citato in una della poesie, bene rappresenta lo sforzo semiologico di” sgranare i lucchetti dell’universo”, di scardinare finalmente i dubbi e raggiungere le certezze, attraverso la poesia.
Una poetessa che ha toccato, dopo un duro cammino, le sponde dove sorge la sua poesia. Un cammino, simbolicamente a ritroso, per ritrovare lo spirito primo, puro dell’infanzia, che nutre la versatilità e aiuta a superare le insidie dell’esistere. Lo declamano i versi che ancorano la poetessa ai luoghi della nascita: “Irpinia, mia sventura e mia sopravvivenza / terra del mio sangue, verde e cosmica/ infinita fino a schiacciarmi”. La coscienza che il luogo dove vive lo spirito è quello del mito della nascita ma ha bisogno degli spazi ampi del circostante per liberarsi e comporre.
Prova poetica di elevato spessore filosofico, senza abbassare la musicalità delle composizioni. Una pietra miliare nella poetica di Antonietta Gnerre.
recensione di Vincenzo D’Alessio
In tempi violenti, segnati dallo spasimo continuo del dolore sociale e morale, come quelli che viviamo, un attimo di sosta, nei versi della splendida plaquette della poetessa irpina Antonietta Gnerre, è come acqua che disseta l’arsura del corpo. PigmenTi è il titolo della raccolta.
I poeti, le poetesse, sono da secoli la parte migliore della società organizzata dagli esseri umani. Sono le sagome, mobili, esposte ai venti gelidi delle inquietudine e delle sofferenze. Vivono ai margini delle società votate all’economia del vivere quotidiano. Si alimentano del colore dei sogni, scoperti nel confronto con la Natura.
La raccolta che ci propone la Nostra è possibile accostarla a quella di un grande poeta del Novecento, Benito Sablone del volume L’Angelo di Redon (edizioni Tracce, 2000). Sablone rende omaggio al grande artista francese Redon Odilon, con versi ricchi di quell’ardito passaggio della lingua, definito Simbolismo, che vede nel simbolo l’archetipo della Poesia. La Gnerre fa un analogo passaggio prendendo spunto, attraverso analogie e metafore, dal simbolismo naturale. Il pigmento che colora tutte le forme viventi. La linfa che alimenta uomini, animali e piante. L’alito infuso dal Creatore alle sue creature.
Simboli di vita che ritornano nelle stagioni. Così dalla prima raccolta pubblicata dalla Nostra, che recava il titolo Anime di foglie, si giunge a quest’epilogo che svela, in tutta la sua complessità e nel suo vigore, la maturità raggiunta in poesia. Simbolismo contemporaneo che riversa, nel Dio nascosto allo sguardo materiale degli uomini, le speranze per superare “il flagello della tempesta dei ricordi” insita nella mente di ognuno di noi: “(…) Eppure, sento, che non hanno riparo / queste mie pene./ Nascono dalla / tua materia, per restare sul rigo / di un grande motore umano. / La mia carne”. Eccoci di fronte al testamento spirituale della poetessa. Rieccoci di fronte all’invocazione, rivolta al Creatore e al suo creato, di riuscire a comprendere la veridicità del dolore che si subisce, che si accoglie, che ci conduce a quel Golgota di fine vita. La metafora si ricompone nel verso “foglia disabitata”, come l’invocazione nella Passione “Padre perché mi hai abbandonato?!”. Tutto il creato “trema” di fronte alle porte del Mistero. Ogni creatura, annientandosi, cerca nei “propri segreti”, analogia del dialogo interiore, la Speranza “di amarti / senza mai più tardare”.
Quest’affermazione appartiene agli animi grandi. Alle coscienze preparate all’incontro finale con sorella Morte. La risposta all’interrogativo, perché viviamo, viene colmato dalla Gnerre, in questa raccolta, ancora nel dialogo simbolico con gli elementi della Natura, uomo compreso. L’ikebana, citato in una della poesie, bene rappresenta lo sforzo semiologico di” sgranare i lucchetti dell’universo”, di scardinare finalmente i dubbi e raggiungere le certezze, attraverso la poesia.
Una poetessa che ha toccato, dopo un duro cammino, le sponde dove sorge la sua poesia. Un cammino, simbolicamente a ritroso, per ritrovare lo spirito primo, puro dell’infanzia, che nutre la versatilità e aiuta a superare le insidie dell’esistere. Lo declamano i versi che ancorano la poetessa ai luoghi della nascita: “Irpinia, mia sventura e mia sopravvivenza / terra del mio sangue, verde e cosmica/ infinita fino a schiacciarmi”. La coscienza che il luogo dove vive lo spirito è quello del mito della nascita ma ha bisogno degli spazi ampi del circostante per liberarsi e comporre.
Prova poetica di elevato spessore filosofico, senza abbassare la musicalità delle composizioni. Una pietra miliare nella poetica di Antonietta Gnerre.
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Nota di commento a “Pigmenti”, Edizioni L’arca Felice, Salerno 2010, pp.16
Antonietta Gnerre in questa nuova
raccolta rilancia l’amo nelle profondità inoltranti dell’essere dove
l’inòpia di vìveri di una dinamica conforme alla ragione s’inquadra, con
religioso credo, nella curiosità inquisitiva-insinuante di capire e
afferrare il mondo. La costruzione distillata dei versi insiste su un
costellato terrapieno verbale estatico e simbolico, eletto, concinno e
resinoso che compone la dicotomìa tra tradizione e modernità nell’ampio
respiro onìrico di una poesia ravvisatamene comunicativa pur intarsiata
di mistero a raggi: “ I tuoi
sogni sono come la luce/ si lasciano ammirare dalle tende./ Eppure,
sento, che non hanno riparo/ queste mie pene. Nascono dalla/ tua
materia, per restare sul rigo/ di un grande motore umano./ La mia
carne.” L’organicità strutturale del dire depone a tratti
l’intemperante rabesco metaforico dalle marcate insegne
allusive-elusive, per procedere all’integrazione conciliatoria della
materia nel corpo vivo della parola. In “Pigmenti” le cose e i luoghi,
intercettando suoni, impressioni e sentimenti, si fanno nucleo di
visìbile battente che inside nell’Assoluto indefinito carpendone a volte
i segreti racchiusi. L’identificazione uomo-terra è compiuta: “Ricade
su di me la scintilla della tua luce/ sull’erba sui virgulti a piccole
vele/ e sulla tua pelle/ scavata da un punteruolo/ che modifica le
foglie/ mentre nessuna misura interdittiva cala sulla
volontà dell’autrice di darsi e denudarsi, “fragǐlis flōs” tra le
colonie luminose dell’esistere. Nel leggere le lìriche assumiamo che non
è la poesia irpina ad inserire la corrente della nostra meraviglia, ma è
la grande poesia, quella che con radici primarie di bellezza, ci
riscatta dagli insulti rapaci del buio, recando in pacchi dono il cuore
di palma almeno, di un’uscita.
Monia Gaita
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I "Pigmenti" poetici di Antonietta Gnerre
“Tremo dalla terra / pigmentata / come se fossi / vapore / foglia disabitata / Tremo dentro / i nostri segreti / con la speranza / d’amarti / senza mai più tardare”. Sono alcuni versi di Antonietta Gnerre tratti dalla raccolta “PigmenTi”, Edizioni L’Arca Felice. Un esempio di poesia breve ma intensa, che nasce spontanea e genuina, senza alcuna forzatura o progetto costruttivo preprogrammato da seguire. Una poesia alta e sonora, in cui i versi e le singole parole acquistano ed offrono non solo il senso melodico, ma anche quello cromatico e persino tattile, perché vibrano all’interno di questi mondi e donano così tutta la loro completa essenza figurativa e affabulatrice. Una poesia immediata, attuale, che racconta l’attimo soffermandosi sull’intensità delle emozioni còlte e quindi tradotte al lettore. Una poesia in cui le parole, i termini, i simboli, si fondono in un canto sommesso, pacato, ma non per questo meno possente, meno efficace; anzi, proprio in virtù di questa sua struttura cadenzata ma decisa, sovente con versi brevi che danno la giusta misura del ritmo, la poesia di Antonietta Gnerre non resta in superficie ma penetra con melodia e colori nel cuore del lettore, inducendo in esso altre onde emotive che si propagano a lungo, come accade quando si getta un sasso in uno stagno. Non mancano riferimenti accorati alla propria terra d’origine: “Irpinia, mia sventura e mia sopravvivenza / terra del mio sangue, verde e cosmica / infinita fino a schiacciarmi / lungo i fragili fiumi / quando il vento ricuce / sull’ultimo ramo/midollo del mio esistere / l’odore della malva”; ed è comunque presente, nelle sue poesie, la vena religiosa, anzi spirituale, che la Gnerre percepisce nell’apparenza materiale del creato e della natura: “C’era Dio nella goccia che accarezzava il tuo viso…”. Indovinato, il titolo della raccolta, in modo particolare quel “Ti” in maiuscolo di “PigmenTi”, che sta a denotare un dativo compartecipe sul piano emotivo e poetico.
Il volumetto è sobrio, ma ben curato e impreziosito dai dipinti di Raffaele Della Fera e di Tonino D’Amore, che corredano la plaquette.
La scelta accurata di voci poetiche importanti ed incisive, come quella della Gnerre, e la veste originale e artisticamente valida, fanno di questa collana “Coincidenze” curata da Mario Fresa, una delle più rilevanti produzioni letterarie e poetiche del momento.
Antonietta Gnerre, “PigmenTi”, Edizioni L’Arca Felice, Collana “Coincidenze”, nr. 19, a cura di Mario Fresa. Salerno, 2010
Giuseppe Vetromile
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