Libri di arte, poesia e filosofia

La parola verso proviene dal verbo latino vertere, cioè «capovolgere», in particolare la terra con un aratro. Il verso è allora un solco, una linea dritta in cui l’uomo col proprio lavoro pone i suoi semi che germoglieranno: nel verso, così, convergono la linearità naturale degli eventi e l’impegno fruttifero del pensiero umano.

venerdì 18 marzo 2016





Mario Fresa

Questionario di poesia
(59)


Mariano Menna






Qual è il segreto progetto a cui tende la tua scrittura?

“Il singolare non è particolare, è universale”
[Miguel de Unamuno]

La mia scrittura ricerca con estrema umiltà l’universale nel singolare, il paradigma esistenziale nell’occasione, cercando – sempre invano – di armonizzare questi due elementi: per me, la poesia è una continua tensione tra l’esperienza e la categoria. Ritengo che sia necessario studiare e – nei limiti del possibile – rappresentare lo scarto irriducibile che emerge dal loro rapportarsi, fra somiglianze e differenze irriducibili, per poter seppur minimamente rappresentare l’autenticità dell’esistenza in poesia.


Come nasce, in te, una poesia?

Non credo che via sia un processo chiaro e, dunque, pienamente esplicabile a mo’ di paradigma. Premettendo dunque come sia complesso dare una risposta esaustiva a questa domanda – poiché subentrano vari fattori, alcuni forse inconsci -, una mia poesia nasce solitamente da una certa ‘musicalità’ di fondo che avverto in una frase e che mi spinge a cercarne il prosieguo: di solito, quella frase resta sola per giorni o settimane prima di svilupparsi oltre se stessa; è abbastanza raro che una mia poesia nasca in modo impetuoso, salvo situazioni particolari. Paragonerei – senza che il paragone possa essere scambiato per un pretenzioso giudizio di valore – il mio processo creativo all’attività dell’archeologo che intravede un reperto, ma che deve continuare pazientemente a scavare senza farsi prendere dalla foga, per evitare che lo stesso reperto possa danneggiarsi.



Un poeta parla di ciò che realmente vive o di ciò che vorrebbe ricevere, e che sempre gli sfugge?

Un poeta può parlare di tutto e non sarò certo io a dire quasi dogmaticamente di cosa un poeta debba parlare; penso che sia soprattutto il ‘come’ a renderlo poeta. Indubbiamente si è portati spesso – ma non posso dire se accada o meno a tutti! – al confronto col proprio orizzonte esistenziale, più o meno liricamente, e dunque ad un dialogo con se stessi e con ciò che ci riguarda intimamente. Ciò non significa che la poesia non possa tendere all’ideale o che non possa riferirsi ad un contenuto, per così dire, ‘teleologico’.



A quale gioco della tua infanzia vorresti paragonare la tua poesia?

Potrei paragonare la mia poesia semplicemente a se stessa, ma osservata con occhi diversi, più piccoli e forse più curiosi, visto che ho iniziato a scrivere ‘versi’ per gioco da bambino, senza avere la minima consapevolezza di cosa fosse la Poesia – se davvero se ne può avere consapevolezza da adulti, in fin dei conti – e di cosa fossero i poeti, quelle ‘strane creature’ (come li chiama De Andrè); mi sforzavo di trovare la rima come se fosse una prelibatezza agognata (del resto, non ho mai perso il mio ‘primo amore’ per la rima).



Che cosa ti ha insegnato la frequentazione della scrittura poetica?

Potrà sembrare scontato e forse anche banale, ma la frequentazione della scrittura poetica mi ha fatto acquisire una maggiore consapevolezza dell’importanza e del ‘peso’ delle parole, mi ha fatto comprendere come un’attività creatrice come quella poetica possa portare ad una depénse dei possibili in grado di colmare di senso il reale, troppo spesso scarno e frustrante: la poesia è come l’avventura, avrebbe potuto scrivere Simmel, ed io sarei d’accordo lui.



Qual è il grado di finzione e di mascheramento di un poeta?

Ritengo anche in questo caso che si stia parlando di un elemento piuttosto relativo: ci sono infatti poeti i cui versi rappresentano una pura finzione – che sia una scelta volontaria o meno –,  mentre altri sono riusciti (o riescono) ad esprimere tutta la propria realtà attraverso la poesia e a mostrare limpidamente il proprio cœur mis à nu.



Vorresti citare un poeta da ricordare e da rivalutare?

Cito tre versi di un grandissimo poeta italiano – campano, aggiungerei – che, pur essendo famoso, meriterebbe più risonanza (non sta a me dire se debba essere rivalutato o semplicemente ricordato maggiormente, visto che le due cose talvolta sono correlate); sto parlando di Alfonso Gatto e la poesia da cui estrapolo questi versi è “Pianura”:

[…] Non sapremo mai se lunga, remota
        la morte avrà quest’amore
        del vento sulla pianura.



Qual è il dono che augureresti a un poeta, oggi?

Ad un poeta, oggi, augurerei di non cambiare e di non tradire se stesso a causa dei giudizi – mai del tutto oggettivi, il che è umano – degli altri, specialmente dei critici, che sono, appunto, prima di tutto uomini e, in quanto uomini, influenzabili dall’esterno e soggetti all’errore; la poesia dovrebbe essere soprattutto espressione di libertà e infarcirla di dogmi o di santoni che propagandano la propria ‘parola’ come se fosse Vangelo non credo che possa aiutarla.



Puoi citare un verso che ti è particolarmente caro?

Una poesia (fin troppo nota) a me molto cara – e citarne un verso non basterebbe: andrebbe riportata integralmente – è  “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” di Cesare Pavese; se proprio dovessi estrapolarne un verso, sceglierei:

“Per tutti la morte ha uno sguardo”







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