Mario Fresa
Questionario di poesia (36)
Vincenzo Di Oronzo
Qual è il segreto progetto a cui tende la tua scrittura?
La poesia è un atto di collisione tra l’umano e il divino sulla scena sintagmatica dell’io: tra la coscienza singola e l’Assoluto, tra l’anima e l’Essenza, nel suo esporsi nel mondo. Si ha l’isola dell’afasia, come dopo un incendio, che riduce in cenere persone e scogli, amori e nenie, statue e lune. Così è la donna di Lot, sciolta nei piedi di sale, ed Euridice annichilita nell’occhio di Orfeo.
La scrittura poetica tende al luogo dell’assenza, all’a-temporalità
del cristallo, in cui si fondono - in un
punto geometrico di incandescente indistinzione - il presente attuale e quello virtuale della psiche.
E la danza, i musicanti di strada, il trionfo del bambino
che attraversa i suoi giochi in una città di figure: diventano pure durate, anelli
visionari.
La vita e la morte suonano allora i loro volti, come Narciso
e l’acqua, Eco e la sua assonanza.
Come nasce, in te, una poesia?
Una poesia nasce come una figura in trance o la cantatrice calva di Ionesco, che si aggira in una controra del Sud. Essa stessa è il quesito e l’enigma. Compie un rito iniziatico nel Palazzo della Luna o dell’Inconscio: si veste dell’archetipo e dell’abisso, ha nostalgia dell’ubiquità.
Il poeta parla di ciò che realmente vive o di ciò che
vorrebbe ricevere, e che sempre gli sfugge?
L’esistenza personale,
e le mille inconsce che ci sono dentro, le radici autobiografiche, nella loro
fascinazione fantasmatica, sono - per ciascuno - l’alfabeto dell’Origine: il
codice di incanti e metonimie, di effigi
e traslati, di polisemie e istantaneità.
La poesia è salvazione?
La poesia -osserva Giamblico- si esprime per simboli sacri o
“sinthemata”, e la sua figuralità è l’annuncio della divinità interiore.
Chi vi accede: ritorna
all’algido lago di Mnemosine, in cui
ricorda d’essere dio, l’altra faccia dell’io. Chi entra in quel transfert
creativo, non sarà più come prima. Là è il roveto ardente della Bibbia, la folgore dei Veda
o Agnis, il cono abbagliante di Psiche nel cosmo eracliteo. È la “salvazione” sottesa nella domanda silente di Mario
Fresa.
A quale gioco della tua infanzia vorresti paragonare la tua
poesia?
Al gioco dionisiaco della palla (“sphaira”), perché è la
prima illusione che rotola davanti ai piedi danzanti, invertendo lo spazio e il tempo,
in un andare a spirale, che inebria e scombina la mente e il mondo. È l’io <ludens> del
fanciullo pre-logico, immerso nel precipizio dei suoi specchi.
Che cosa ti ha insegnato la frequentazione della tua
scrittura poetica?
L’esercizio della scrittura poetica fa sperimentare -nel tempo-
Dio e l’Ombra.
E insegna l’attesa del Sé nell’atrio.
Qual è il grado di
finzione e di mascheramento di un poeta?
“Finzione e
mascheramento” di un poeta sono un’infinita eccedenza, poiché una folla di «se stessi», di semivolti raggianti è lo
scorrere della poesia.
Ogni sua sembianza svela al mondo l’insonnia della psiche:
una voce che bussa alla casa estranea, il
circo semovente con cavalli e
giocolieri, l’erranza di un apolide dovunque, mentre i marinai salpano
sulla nave di sabbia e una donna saluta sul lungomare degli oleandri.
Vorresti citare un poeta da ricordare e da rivalutare?
Bellissima domanda sui volti mancanti o anonimi.
Mi piacerebbe che fosse ricordata Nikita Turbina, nata in
Crimea, il 17 dicembre 1974, suicida a 28 anni, corrosa dall’asma e dall’arsura
dell’alcol. E dimenticata in fretta.
A chi si rivolgeva? «Tu sei la guida,/io un vecchio
cieco./Tu il controllore,/io non ho il biglietto./Tu sei la voce umana,/ io un dimenticato
verso».
Qual è il dono che augureresti a un poeta, oggi?
Pulcinella.
Puoi citare un verso che ti è particolarmente caro?
…gabbiani che la sera rielabora in un libro astratto. (Yang
Lian).
In alto: Disintegrazione
della persistenza della memoria di Salvador Dalì [1904-1989]
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