Giuseppe Carracchia, La virtù del chiodo
(con un dipinto di Aki Kuroda)
(con un dipinto di Aki Kuroda)
Edizione d'Arte stampata tipograficamente su carta Flora in 199 esemplari numerati a mano. Fuori testo, una litografia di Aki Kuroda: fleur (litografia originale a colori, di mm. 620 x 360, impressa su carta velina nell’anno 2005 per la Fondazione Maeght). Il libro è composto da 10 poesie inedite di Giuseppe Carracchia e da un disegno interno di Alberto Giacometti.
ISBN 978-88-905854-2-5
«L’intento
di rincorrere e di centrare il punto più profondo dell’essere,
adoperando un approccio oggettivo, si manifesta con una lingua
programmaticamente ordinata e geometrica, di assai felice e suadente
vocalità, nella quale il ricorso a un metro largo e disteso e l’uso
della rima, sia baciata sia alternata, esprimono la volontà di costruire
una rigorosa forma di protezione (o addirittura di fuga) dalle
pericolose pastoie del lirismo o, peggio, del sentimentalismo. I testi
si muovono, dunque, sul fondamento di un’architettura estremamente
rarefatta e sorvegliata, e la strategia modulare di questa loro elegante
e raffinata compostezza sa imprimere, all’intero discorso, una levità e
una fluidità che permettono di leggere l’intera raccolta come un ideale
poemetto, intelligentemente concepito su di un progetto di ragionata e
compatta continuità». Mario Fresa
Su La virtù del chiodo di Giuseppe Carracchia
EdizioniL’Arca Felice, 2011, con un disegno fuori testo, Fleur, di Aki Kurodaù
recensione di Narda Fattori
recensione di Narda Fattori
Mi piace introdurre una nota di
lettura critica per questo delizioso libretto di poesia, impreziosito dalle immagini,
con quanto l’autore manoscrive in quarta di copertina e che dà ragione del titolo:
“la virtù del
chiodo è innanzitutto, per me, il poemetto dell’antinichilismo. Incanto e
complementarietà di ragione e
sentimento”. La virtù del chiodo si colloca semanticamente all’interno di
un ossimoro: il chiodo ha una punta, fora e trapassa e , in quest’azione di
violenza, unisce, avvicina, consente di portare alla visione il lontano accanto
al presente o , ancora, permette la coabitazione di istanze opposte, senza che
esse stridano e confliggano. “(Che non
puoi piantare un chiodo/ in cielo per appenderci un pensiero / mi chiedo, sarà
poi così vero?)”, afferma già in apertura il giovane ma tutt’altro che
ingenuo poeta.
Infatti le poesie che incontriamo
nel poemetto, azzardano un altro ossimoro: inseriscono all’interno di una
costruzione metrica armonica, che non si priva di rime, di allitterazioni, di
metafore altamente significative, una visione della realtà che persiste
nell’incostanza dell’essere ma che dalla sua stessa incostanza trova ragione
d’essere e verità, perlomeno dubbio. Carracchia vede nell’informe la forma, la
lezione che la ragione trae dalla visione.
L’apparente leggerezza della
scrittura cela e svela; si leggano questi versi: “La virtù del chiodo che regge frattura [ovvero ciò che si è
spezzato, separato franto] / e vuoto svela
la falsità del niente: / compiutezza del ragno che ha mura / e casa in aria
d’un prisma lucente”. Ciò che
è fra parentesi è mia considerazione a cui vorrei mettere in relazione gli
ultimi due versi: la casa in aria, perfetta, prismatica e salda fra le mura
del ragno. Dunque l’aleatorio di una casa in aria è invece stato di compiutezza
per il ragno.
Ma di ogni singola poesia
potremmo citare immaginifiche verità celate ad uno sguardo che non sia attento;
che “vede”, si apre alla visione e scopre la perfezione nell’imperfetto e viceversa:
“La proporzione delle parole spacca / dal
ventre la pietra…”, “ germoglio
in nodo al noce”; si noti la
padronanza delle rime interne, delle assonanze, la padronanza assoluta e non
scolastica del metro.
Carracchia è un poeta giovane che
davanti alla materia che tratta, direi un piccolo saggio di filosofia sulla
perfezione dell’imperfezione, o una dimostrazione della logica dei frattali,
utilizza uno strumento raffinato come la poesia con padronanza per cui leggiamo
piccoli capolavori di intelligenza in forma d’arte.
Meritano una riflessione
ulteriore alcune sue considerazioni poste ad apertura o a chiusura di un
percorso poetico che si svestono degli abiti belli della poesia e rivelano ex
abrupto l’intenzione del poeta.
Ma questa plaquette non contiene
niente di sapienziale, di supponente, di saggistico, anzi si dona a chi ha
cuore e ragione a monito della superficialità del nostro sguardo.
Per conservare il suo chiaro e
non intriderlo nel materiale che affronta, il poeta si annulla; poesia non
ombelicale dunque; l’io in quanto portatore di ingombri, manca : sono i sensi a
percepire e la ragione a dire il percepito.
È veramente una piccola opera di
grande caratura poetica ed esistenziale.
blanc de ta nuque
martedì 13 settembre 2011
Giuseppe Carracchia
Avere 23 anni ed essere già al
quarto libro di poesie attesta perlomeno chiarezza in merito al mestiere
che si è scelto. E di «mestiere» parla lo stesso Giuseppe Carracchia ne La virtù del chiodo (L'Arca Felice, 2011) che egli, anche ne Il verbo infinito
(Prova d'Autore, 2010), associa all'arte della tessitura, assecondando
così l'etimologia ed il destino dello scrivere testi, consistenti
nell'intrecciare fili con metodo, avendo un progetto. La sostanza di
quest'ultimo, nel caso di Carracchia, è sicura, così come la difficoltà
conseguente, nella misura in cui «il verbo», a suo dire, deve incidere
la carne pur avendo natura ariosa, ma non essere «solo aria» né «solo
carne». Il tutto inseguendo la bellezza, che è cosa viva,
«l'inarrestabile cammino verso la vita aperta» come scrive François
Cheng citato in esergo. Bellezza e vita, qui, sono la stessa cosa, e lo
sa bene Carracchia quando ammonisce e auspica: «Questo ci rimane e
questa pare ci avanza / predisporre miracoli e cure, vivere / facendo
della vita una danza». Proposito nietzscheano poi amato dal Rilke dell'Orfeo,
che pretende l'occhio apollineo per poterne raccontare l'ebbrezza. In
altre parole questo movimento è «la virtù del chiodo che regge frattura /
e vuoto svela la falsità del niente».
Costruire su quel vuoto, amando quanto ci rimane e avanza, ispira entrambi i libri, che hanno nel fiorire – in questo verbo decisivo per la cultura moderna, da Novalis a Pascoli sino all'Ereignis heideggeriano – l'imprendibilità dell'origine e la forza della nascita, dell'aprirsi al senso delle cose.
Carracchia vorrebbe tenere sulle
punte anche la scrittura, sapendola esercizio massimamente difficile. E
infatti lo è perché talvolta, soprattutto nelle quartine, qualche
semplificazione si avverte (rime facili o soluzioni tematiche a sentenza
secca, comunque ben presenti anche in Caproni sin da Il muro della terra,
per cui difficile rimproverarlo senza sentirsi in difetto). In ogni
caso, io lo preferisco quando il respiro si fa più ampio e l'arco del
pensiero sboccia senza fretta; del resto, anche molte quartine si
lasciano gustare, ed è quando, forse memori dell'haiku o della
concinnità classica, circoscrivono azioni ordinarie, dando loro valore
universale. A 23 anni mi pare un traguardo di tutto rispetto.
Da il verbo infinito
“la semplicità non è il punto di partenza, ma il fine”
(dalla sez. Esistere)
Mi sono fermato -nel silenzio
metafisico che precede un assedio spartano-
ad ascoltare il battito del cuore
vecchio tamburo di latta
e ho sentito il suo lieve percepire
la musica che nel lontano Catai fanno i bambù
quando sono accarezzati dal vento
come le scarpette di un fiore
io voglio essere unito
e sempre slacciato
(dalla sez. Amare)
*
Se chiedi a me perché
amore, ti rispondo non so
e se so non capisco.
Ma c'è un fiore sulla mia scrivania
un fiore di carta, amore mio.
L'hai portato stamattina
in abbonato col caffè.
C'è un fiore di carta
solo per me, tutto rosso
e gli abbiamo dato da bere
a più non posso
perché il nostro amore
è più grande del sapere
e cresce.
(dalla sez. Sbendare)
Libertà è cadere, ma dura poco dirai
e forse è proprio vero -o magari veritiero-
che Pollicino sfalda e sbriciola focacce
solo per perder meglio le sue tracce
Libertà è cadere, e dura poco
se pensi all’eternità
ma è un’eternità
se mentre lo fai non pensi a niente.
(dalla sez. Condividere)
................Alla ragazza Carla,
...............al padre Elio Pagliarani
*
Anche la vita, se vuoi capirla
devi lasciarla andare
e poi cercarla in mezzo agli altri.
Probabilmente qualcuno
avrà capito che la settimana
disabitua dalla domenica e
che il settimo giorno ci si trova
soli come fosse il primo di una
creazione in atto, e nessun matto
al primo giorno già dispera
che la vita è una soluzione
momentanea, poco bella.
Sorridi stella, sorridi ancora
non fermarti ora, è quasi lunedì.
Curati adesso del tuo giardino,
dattilografa garofani
che agli occhi dei passanti
insegnino la vita.
Da La virtù del chiodo
«Chiodo: sottile barra di metallo aguzza da un lato,
solitamente usata per unire o sostenere due (o più) parti;
dal lat. clàvus per mezzo delle antiche forme chiàvo,
chiòvo (dalla stessa radice di clàvis – chiave)»
I
................Così chi cerca a lume di candela
................il passo dell’ombra che il dubbio smuova
................per primo a trapasso silenzio trova
...............e disperato a verità anela
*
Poiché ogn’essere è carpentiere
del tessere il proprio mestiere
e ogni luogo che ha in sé famiglia
porta il mistero dell’occhio, le ciglia.
(Che non puoi piantare un chiodo
in cielo per appenderci un pensiero
mi chiedo, sarà poi così vero?)
*
Sputa al vuoto il ragno tra i cotoneastri
la propria casa a geometria degl’astri
istituisce e ispira l’imperfezione
nostra: il difetto all’azzardo ripone.
Il ragno inquadra, mira e anzitutto osa
(sarà questo il mistero del chiodo:
tingilo d’azzurro e piantalo nel vuoto)
*
La virtù del chiodo che regge frattura
e vuoto svela la falsità del niente:
compiutezza del ragno che ha mura
e casa in aria d’un prisma lucente.
II
…
*
Rivolta la terra il gelo e in roccia
s’abbarbica al cielo esposta la pianta
a strapiombo il terebinto sboccia
forza che squarcia e fendendosi vanta
virtù che s’attacca al calcare in sintassi
e alla vita dona un nome: spaccasassi.
*
A te che cima di bellezza e mondo
per prima hai colto con mano sul mio
volto a premura di madre che va
in fondo e non invano rendo grazie
al tuo universo, tu seconda
persona singolare che m’hai preso
ed immerso feconda compagna
universale in te ritrova grazia
il disperso che impara
il buon uso del sale:
rinsalda a condimento la ferita
ed evita di confondere il male
col rosso che disinfetta la vita.
Giuseppe Carracchia, nato nel 1988, laureando in lettere moderne, vive attualmente a Catania. Ha pubblicato 4 sillogi di poesia: Pensieri notturni (ed. Edessae, 2005), Anime vagabonde (Roma, 2007), Il Verbo Infinito (ed. Prova d’Autore, 2010), La virtù del chiodo (L'Arca Felice, 2011) e una piccola raccolta, Poesie col nastro rosso, nell’antologia Burattinai di parole (Ass. cult. Città Nuova, 2010).
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