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La parola verso proviene dal verbo latino vertere, cioè «capovolgere», in particolare la terra con un aratro. Il verso è allora un solco, una linea dritta in cui l’uomo col proprio lavoro pone i suoi semi che germoglieranno: nel verso, così, convergono la linearità naturale degli eventi e l’impegno fruttifero del pensiero umano.

sabato 27 agosto 2011

Mario Fresa. Questionario di poesia (13)





 Mario Fresa
Questionario di poesia (13)



Gianfranco Fabbri







Qual è il segreto progetto a cui tende la tua scrittura?

Vorrei trovare equilibri inediti, da realizzarsi attraverso la frantumazione e la successiva ricomposizione del testo. La dissipazione energetica prodotta nel ciclo ora detto denuncerà una frazione del progresso compiuto.


Come nasce, in te, una poesia?
Credo nasca attraverso una disposizione di accoglienza. Raramente un siffatto fenomeno può palesarsi con un senso completamente cosciente del desiderio.


Il poeta parla di ciò che realmente vive o di ciò che vorrebbe ricevere e che sempre gli sfugge?
La reticenza obbliga inconsapevolmente a filtrare il nocciolo recondito –il contendere del tema-. Ma di solito il poeta non si sofferma su questo punto, perlomeno non in maniera consapevole; se lo facesse, si troverebbe in uno stato troppo vigile per disporsi all’accoglienza.


La poesia è salvazione?
E come fa a saperlo, il poeta? Secondo me, ma potrei benissimo sbagliare, è il lettore l’unico soggetto in grado di capire se l’autore ha emesso segnali comunicativi che possano “salvare”, o meno. Chiedere al creativo la spiegazione logica del suo verbo, significa mettere al muro la propria difesa.


A quale gioco della tua infanzia vorresti paragonare la tua poesia?
Sono preso alla sprovvista, su questa domanda. Debbo dire: non lo so.


Che cosa ti ha insegnato la frequentazione della scrittura poetica?
Mi ha indubbiamente insegnato ad essere intellettualmente onesto. Anche se talvolta non so dove il “desiderio” di comunicare mi conduca, avverto comunque il farsi del magma poetico secondo equilibri che non possono non dipendere da un’architettura “simmetrica”, sia a livello di espansione sia a livello organizzativo, del reticolo testuale. In breve, quando sento che in qualche modo tradisco me stesso, mi impongo di arrestare il segno sul foglio. Non so in che modo, ma la dichiarazione d’intenti deve essere in armonia con la mia profonda “entità individuale”.


Qual è il grado di finzione e di mascheramento di un poeta?
A costo di contraddire ciò che ho espresso nella risposta precedente, dico: nullo e nel contempo infinito. Entrano in gioco altri fattori, nel tentare la finzione. Non è tradire l’onestà di cui sopra, è piuttosto la paura che gli altri non accettino quello che si vuole dire. La reticenza è una figura retorica, addirittura! La finzione genera difesa; la difesa sta a significare la consapevolezza della carenza. (vedi: confessione).


Vorresti citare un poeta da ricordare e da rivalutare?
Nino Pedretti, singolare poeta santarcangiolese, operante sia in dialetto che in italiano. Pedretti è stato solo in parte riportato alla superficie della notorietà, grazie alla ripubblicazione dell’opera nella Bianca Einaudi. Ma andrebbe studiato e sistemato con più convinzione. La sua scrittura, magra eppure icastica, porta sulla pagina frammenti di quadri esistenziali assolutamente geniali.


Qual è il dono che augureresti a un poeta, oggi?
A un poeta che vivesse il mio tempo augurerei un bel temperamento e la convinzione di dover portare rispetto alla lingua che usa nell’esprimersi. Sacrosanto il ricorso all’innovazione, nell’ambito dell’uso costante del buon lessico e della confidenza con la struttura sintattica.

Puoi citare, spiegando perché, un verso che ti è particolarmente caro?
Del grande Umberto Saba, ammiro da sempre il frammento centrale del testo “Trieste” tratto dalla raccolta compresa nel Canzoniere che s’intitola “Triste e una donna”:

    

Trieste ha una scontrosa
grazia. Se piace,                                              

è come un ragazzaccio aspro e vorace,
con gli occhi azzurri e mani troppo grandi
per regalare un fiore;
come un amore
con gelosia. …



Ebbene in questi sette versi, il poeta incunea in maniera esemplare il collegamento della città giuliana alla figura del ragazzaccio-monello, tipico dei quartieri triestini. Qui, in particolare, Saba esprime, tramite la struttura del nome del capoluogo friuliano (che tende a fraintendere il genere, maschile o femminile), l’humus adolescenziale ed erotico del protagonista (mani grandi, azione timida e maldestra, incapacità di esprimere dolcezza), ricollegandosi, se è possibile, al senso erotico del breve suo romanzo, intitolato “Ernesto”. Nessuno come questo poeta, (neppure Penna) è riuscito, con duttilità e grazia estreme, a significare la valenza sottilmente sessuale dell’ambiguità e della reticenza.











In alto: Untitled di Robert Rauschenberg [1925-2008] 

















1 commento:

  1. Caro Mario, sono onorato di partecipare a questo tuo bel progetto! Ti ringrazio molto. Averne di intellettuali come te!!
    Un abbraccio da Gianfranco

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