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La parola verso proviene dal verbo latino vertere, cioè «capovolgere», in particolare la terra con un aratro. Il verso è allora un solco, una linea dritta in cui l’uomo col proprio lavoro pone i suoi semi che germoglieranno: nel verso, così, convergono la linearità naturale degli eventi e l’impegno fruttifero del pensiero umano.

mercoledì 10 agosto 2011

Mario Fresa Questionario di poesia (8) Marco Saya




 Mario Fresa
questionario di poesia (8)


Marco Saya







Qual è il segreto progetto a cui tende la tua scrittura?



La realtà è il mio punto di osservazione, lo sguardo percepisce la molteplicità delle angolazioni del nostro  raffrontarci con l’esterno, un rapporto complesso che richiede presenza e attenzione, un ascolto che sfocia in dialoghi diretti con un mondo fatto di percezioni, sensazioni, punti “deboli” che si tramutano in pensieri che rincorrono altri pensieri in una danza vorticosa accompagnata dai ritmi del proprio habitat. Il testo pensiero prende così forma nella sua eterna contraddizione come una partitura dove il tempo non è mai stabilito a priori ma è ogni singola misura o battuta a scandirne le trame, sempre diverse ma vicine perché vogliono capire, cercare di prevenire le misure successive. Questo richiede una totale simbiosi con il proprio reale, un mondo “working in progress” (il segreto progetto) che costruisce il racconto, lo sviluppa, lo articola, lo canta  nel gusto del vissuto e di “quello che rimane da vivere”, una forbice strettissima che non lascia spazi a voli siderali e pindarici “fuori dall’io, dagli altri e dalle cose”. 



Come nasce, in te, una poesia?



La scrittura, a mio avviso, deve essere vicina al tempo che si vive, a questo nuovo millennio che, tra una tecnologia esasperata e i nostri passi che faticosamente arrancano, aspetta di essere rappresentato in tutta la sua complessità emotiva, nevrotica e aggiungo piuttosto confusa. Mi piace, così, osservare, descrivere, quasi come un cronista armato di ironia ma anche di tanta amarezza , il caos del nostro tempo, partendo, appunto, dalle piccole cose, dai singoli oggetti, feticci divenuti una nostra seconda pelle, dal nostro essere in questo mondo senza una vera identità, una sorta di cloni che attraversano questa vita senza rendersene conto. Che sia una totale assenza di valori? Molto probabile.  C’è molta rassegnazione, a mio avviso, e quando descrivo, ad esempio, la metropoli in cui vivo, Milano, mi soffermo spesso su questi sguardi immobili come delle bilie di acciaio che sembrano fisse nella loro vacuità, su questi pedoni , quasi degli automi, che consumano la loro fretta non godendosi il tempo della pazienza e che camminano con le teste reclinate come se cercassero la soluzione nella punta delle proprie scarpe, unico riferimento nel proprio nascondersi, insomma una blade runner del terzo millennio.

Ho sempre pensato, infine, a proposito della costruzione di un testo, che leggere una partitura musicale sia molto simile a scrivere una poesia dove la misura o la battuta corrisponde al singolo verso e all’interno del medesimo rigo scegliamo, dunque, la nostra libertà di espressione. Per quello che attiene le fonti “sotterranee” ho sempre ritenuto che le  parole così come le note debbano sgorgare in modo spontaneo, diretto  e l’immersione avviene quando è la scrittura che ci chiama dall’inconscio di quella fonte e non viceversa. 



Il poeta parla di ciò che realmente vive o di ciò che vorrebbe ricevere, e che sempre gli sfugge?



L’eterna domanda, quel “quid” a cui tendeva Montale, e quella soluzione che sembrava essere, sempre in Montale, “sulla punta della lingua”, è la perenne dicotomia in cui spesso si “ingarbuglia” il poeta e così, a mio avviso, deve essere.



La poesia è salvazione?



La poesia è, sempre a mio avviso, rielaborazione filosofica del pensiero umano, una ricerca continua di una propria verità da affinare per gradi successivi con il tempo presente. Non ritengo che tutto sia stato già detto e scritto. Gli ampi scenari tecnologici in cui ci muoviamo ridefiniranno nel breve periodo concezioni date per assodate e incontestabili. Non è così. In tal senso la salvazione, forse, abbisogna di tanto tempo ancora per divenire tale…



A quale gioco della tua infanzia vorresti paragonare la tua poesia?



A un puzzle. Gli elementi non sempre trovano il loro posto. Riprendi il puzzle dopo qualche anno e come per incanto quell’elemento si incastra ma un altro ti sfugge. Questa è la mia poesia.


Che cosa ti ha insegnato la frequentazione della scrittura poetica?



A esaminare le più disparate angolazioni del fare poetico e a trarne una sintesi anche nell’ampia lettura dei testi poetici. Mi piace sempre accostare la poesia alla musica. Pensiamo al free jazz, ad esempio, una sintesi che partita dal blues, passando per il bebop, lo swing, il cool è approdata al “linguaggio improvvisativo totale”. Così anche per la scrittura possiamo determinare un excursus simile. Il free jazz e certe forme di libera scrittura si sono poi “arenate” negli anni '60. Da qui dobbiamo ripartire. Il copia/incolla del già copiato/incollato fa male sia alla poesia che ai “coveristi” della musica.    


Qual è il grado di finzione e di mascheramento di un poeta?



Dipende dalla sua onestà intellettuale, così come la vedo io.



Vorresti citare un poeta da ricordare e da rivalutare?



Amo i crepuscolari e dunque come non ricordare Tito Marrone?

Alcuni versi tratti da Tramontana e che ben esprimono la poetica dell’osservazione che tanto prediligo:



Entra il vento che piange, che urla, e non è sazio

mai, spazzando le vie mute dove i passanti

si affrettano, fumando le pipe malinconiche.

Non accendono ancora lampioni: botteghe

chiuse inghiottono il buio. Nei vani, mendicanti.

Uomini, cariatidi lugubri, e vecchie: streghe

livide, accovacciate su deserti gradini,

si scaldano alla cenere morta degli scaldini.



Qual è il dono che augureresti a un poeta, oggi?



Non bisogna illudersi troppo, specialmente per chi opera nel campo della poesia. Sostengo sempre che sarà il tempo, forse, a rendere soddisfazione a chi avrà parlato con un linguaggio universale e condiviso ma non omologato perché quest’ultimo è il vero rischio della poesia contemporanea. Oggi scrivere non è solo comunicare ma è, a mio avviso, per molti un modo di esserci, di apparire a “tutti i costi”, anche in una presunta diversità nell’essere “civili”;  forse la poesia dovrebbe riprendere più che mai lo spazio del proprio silenzio e ri-scriversi per ritrovare la propria identità e riflessione sul proprio ruolo.  Detto questo mi aspetto solo che ci sia più unità di intenti nello scenario della poesia attuale,  un gruppo di lavoro che condivida un “idem sentire” che sia il sentire dei più. La poesia non è affatto un’attività essenzialmente inutile, ritorniamo a Pasolini e alla sua poetica dell’impegno e ci renderemo conto come le parole possano essere essenziali e vitali per un ritorno alla democrazia delle parole e non solo. Dunque più voci possono concorrere alla civiltà della poesia e pertanto al suo impegno nel politico-sociale, io recito la mia piccola parte ma attenzione ai cori frastornanti o ai “canti delle sirene” che cercano, più in generale, di spegnere qualsivoglia forma di  cultura. Su questo dobbiamo stare con le orecchie tese e non nasconderci dietro a bianchi gabbiani che sono solo immacolati nelle “menti deliranti” di chi li descrive.

Aggiungo che la poesia sta sicuramente vivendo un dramma esistenziale e di propria riconoscibilità sino dagli anni '60-'70. Molti affermano che la poesia è morta con Montale e Pasolini. Penso che la poesia debba essere identificabile  da un proprio gusto e stile così come per la musica. Quando sento un disco blues di B.B. King, ad esempio, dopo due note ne riconosco l’autore. L’originalità sta in questo, individuarne la paternità. Possiamo dire oggi, nel panorama della poesia attuale, che esista o esistano delle univocità di scrittura? Di quanti poeti possiamo dire, oggi,  che dopo la lettura di pochi versi ne riconosciamo la fonte? La poesia oggi è, a mio avviso,  in cerca di un proprio personaggio che corrisponda a quell’autore. Ma il personaggio deve ancora capire quale sia il proprio ruolo, il proprio impegno, l’essere dei soggetti sociali che incidono nel tessuto e non siano solo meramente passivi o totalmente indifferenti allo scorrere degli eventi. Ecco, oggi la poesia è ancora anonima, troppo nichilista, facciamo tutti in modo, per la sua stessa credibilità e sopravvivenza, di renderla veramente viva e partecipe. 



Puoi citare, spiegando perché, un verso che ti è particolarmente caro?



Credo che il mondo sia bello, | che la poesia sia come il pane, di tutti.  ( Roque Dalton García )



Che la poesia sia come il pane, di tutti, un verso che non ha bisogno di essere spiegato ma l’augurio per una poesia che realmente appartenga a tutti e che contribuisca, così, a rendere il mondo un po’ più “consapevole”.








In alto, un dipinto di Marco Vecchio: Volti.


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