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La parola verso proviene dal verbo latino vertere, cioè «capovolgere», in particolare la terra con un aratro. Il verso è allora un solco, una linea dritta in cui l’uomo col proprio lavoro pone i suoi semi che germoglieranno: nel verso, così, convergono la linearità naturale degli eventi e l’impegno fruttifero del pensiero umano.

mercoledì 2 novembre 2011

questionario di poesia (21)





Mario Fresa

Questionario di poesia (21)



Stefano Guglielmin










Qual è il segreto progetto a cui tende la tua scrittura?



L'etologo inglese Desmond Morris, nel 1962, scrisse che non c'è grande differenza fra le motivazioni alla pittura di un uomo e di uno scimpanzé. Entrambi sono mossi dal piacere e dalla ricerca dei ritmi che regolano la nostra sopravvivenza, fra i quali è incluso quello comunicativo, relazionale. Credo che la scrittura creativa sia l'espressione logica che più si avvicina a queste dimensioni fisiche, laddove l'educazione tecnica ci ha sempre più obbligati ad accumulare informazioni, a catalogarle, esasperando il bisogno naturale di muoversi nel mondo con ordine, potenziando così sino al parossismo le capacità di astrazione, che sono anche astrazione-alienazione da sé, dai propri ritmi interiori. La scrittura creativa (poesia, saggistica, narrativa), non soltanto per me, ricuce la relazione originaria fra parola e gestualità riportandoci al gioco infantile, nel quale inventiamo il mondo riorganizzandolo anche sotto il profilo regolativo, senza tuttavia rompere del tutto con i principi di partenza. Quando uno scrittore ribadisce la valenza etica del proprio lavoro altro non fa, se è onesto, che riordinare sotto il profilo simbolico e immaginativo il gioco della polis, riconoscendone le lacune. Riportare ad una pluridimensionalità l'uomo ad una dimensione marcusiano è, in altre parole, il "segreto progetto" etico di tutta l'arte, progetto al quale è strettamente connesso l'elemento ludico e poliritmico, considerati i due untori della modernità, reclusi, castrati, al fine di modellare "Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non libertà" sempre sotto la minaccia della guerra, come appunto scrisse il filosofo tedesco alla vigilia del neocapitalismo.



Come nasce, in te, una poesia?



Devo anzitutto avere molto tempo a disposizione per rivitalizzare quei meccanismi inconsci che la vita ordinaria sopisce. Lo faccio, scrivendo qualche verso mediocre, sino a quando riconosco d'essere finalmente allineato con me stesso, con la mia voce. Allora seguo il flusso, ma con molta disciplina, per non farmi sopraffare da esso. Non credo infatti nella "prima parola", nella forza esclusiva dell'automatismo beat, ma nemmeno la mortifico completamente. Cerco piuttosto un dialogo con essa e dunque con me stesso, in modo da uscirne in un rispecchiamento critico, dove pulsione e ragione hanno giocato con la vita e con la morte del senso, e con i limiti delle mie forze.


Il poeta parla di ciò che realmente vive o di ciò che vorrebbe ricevere, e che sempre gli sfugge?

Il poeta è parlato, per dirla con Rimbaud, dalle cose le quali sono campi energetici, non semplici strumenti. In quello stato, il tempo è sempre una triade in tensione, dove nessuna delle dimensioni tace. A tenerle insieme è il desiderio, fontana aperta che non ci dà tregua e che la scrittura mette in forma, anche nel senso che lo fa star bene, lo salva dalla chiusura ossessiva, dalla fissazione. La parola poetica mantiene allerta il desiderio, pronto per la scelta non omologata. L'etica, senza desiderio, è moralismo.



La poesia è salvazione?



Come detto, la poesia mantiene in forma. È la vita sociale che fa di tutto per toglierla.



A quale gioco della tua infanzia vorresti paragonare la tua poesia?



Al lego e al dottore. La poesia ha bisogno di un montaggio, usando i pezzi che hai a disposizione (ossia tutto ciò che, in quel preciso momento, riesci a mettere sul tavolo: parole, emozioni, saperi, sapori), ma nulla sorgerebbe se non ci fosse il desiderio, appunto, la curiosità, il sentimento di trasgressione, l'incontro con il corpo dell'altro, con il corpo della scrittura anzitutto.



Che cosa ti ha insegnato la frequentazione della scrittura poetica?



Da giovane facevo molto sport e ho studiato musica. In entrambe le esperienze ho imparato la disciplina. La poesia mi ha confermato che niente di buono nasce spontaneo, senza sforzo. La scrittura poetica degli altri, invece, mi ha insegnato a rispettare voci differenti dalla mia, a riconoscerle autentiche proprio nella loro differenza irriducibile.



Qual è il grado di finzione e di mascheramento di un poeta?



Tutto conoscono i versi di Pessoa sul poeta fingitore, "che arriva a fingere che è dolore / il dolore che davvero sente". Nessuno oserebbe negare il contrario, pur sapendo che le cose sono più complesse, a partire dal fatto, come ho già indicato, che il poeta non sceglie le parole, ma soltanto le riordina (il lego), secondo un principio (il desiderio) di cui egli non dispone. E poi, dopo tutta la cultura otto-novecentesca relativa all'identità, all'ideologia, alla reificazione, alla crisi del fondamento, solo un ingenuo potrebbe credere di avere un'autenticità da preservare. La finzione agisce solamente a livello psicologico, consolando chi crede d'essersi salvato dallo smascheramento. In verità, è proprio nella superficie della lingua che si legge la profondità, quanto si vorrebbe celare. I poeti veri lo sanno benissimo anche se magari, in quanto persone, se ne dispiacciono o ne provano imbarazzo.



Vorresti citare un poeta da ricordare e da rivalutare?



Vorrei stare alla larga dalla moda dalle riscoperte autoriali. La fama va e viene, seguendo ragioni spesso lontane dall'estetica. In rete, poi, i paladini degli ingiustamente dimenticati sono un vero esercito. Salvo che spesso li si cita solo per nome, senza leggere niente di loro. E comunque, come direbbe Andy Warhol, i dieci minuti di celebrità, oggi, non li si nega a nessuno. Io dico: leggi a fondo qualsiasi grande poeta (e non dirmi che non sai chi sono perché tutte le grandi antologie ne parlano) e ne avrai abbastanza per nutrirti, senza bisogno di minori da salvare. Chiaro che i minori vanno letti e, se possibile, riscattati dall'oblio, ma senza pensare che la tradizione critica sia in malafede o miope. Il dialogo ermeneutico serve appunto a rimettere in gioco i valori o, meglio, la verità mossa da ciascun autore, per quanto sconosciuto sia.



Qual è il dono che augureresti a un poeta, oggi?



Di capire che il senso della vita sta nel piede che gli si muove davanti e non nell'immortalità del nome. In altre parole: di imparare a dialogare con la propria ambizione, prima di esserne divorato.



Puoi citare, spiegando perché, un verso che ti è particolarmente caro?



Dovrei pensarci a lungo perché molti versi mi sono cari. Anche in relazione allo stato d'animo o al momento. La chiusa del primo sonetto del Canzoniere petrarchesco, comunque, mi tiene in riga sempre: "quanto piace al mondo è breve sogno", così come certi mottetti montaliani rinvigoriscono la mia visione sull'amore o, ancora, certe laborintiche escursioni sanguinetiane mi riportano al nocciolo della questione, alle "quattro tonsille in fermentazione" che è il nostro mondo, per poi, ribaltandolo in Terra, come scrive il maestro finalmente Urano, "aprire le mie sorgenti / dentro il tuo antichissimo atlante".






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In alto, Study for Self-Portrait di Francis Bacon [1909-1992]








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