Mario Fresa
Questionario di poesia (21)
Stefano Guglielmin
Qual è il
segreto progetto a cui tende la tua scrittura?
L'etologo
inglese Desmond Morris, nel 1962, scrisse che non c'è grande differenza fra le
motivazioni alla pittura di un uomo e di uno scimpanzé. Entrambi sono mossi dal
piacere e dalla ricerca dei ritmi che regolano la nostra sopravvivenza, fra i
quali è incluso quello comunicativo, relazionale. Credo che la scrittura
creativa sia l'espressione logica che più si avvicina a queste dimensioni
fisiche, laddove l'educazione tecnica ci ha sempre più obbligati ad accumulare
informazioni, a catalogarle, esasperando il bisogno naturale di muoversi nel
mondo con ordine, potenziando così sino al parossismo le capacità di
astrazione, che sono anche astrazione-alienazione da sé, dai propri ritmi
interiori. La scrittura creativa (poesia, saggistica, narrativa), non soltanto
per me, ricuce la relazione originaria fra parola e gestualità riportandoci al
gioco infantile, nel quale inventiamo il mondo riorganizzandolo anche sotto il
profilo regolativo, senza tuttavia rompere del tutto con i principi di
partenza. Quando uno scrittore ribadisce la valenza etica del proprio lavoro
altro non fa, se è onesto, che riordinare sotto il profilo simbolico e
immaginativo il gioco della polis, riconoscendone le lacune. Riportare ad una
pluridimensionalità l'uomo ad una dimensione marcusiano è, in altre
parole, il "segreto progetto" etico di tutta l'arte, progetto al
quale è strettamente connesso l'elemento ludico e poliritmico, considerati i
due untori della modernità, reclusi, castrati, al fine di modellare "Una
confortevole, levigata, ragionevole, democratica non libertà" sempre sotto
la minaccia della guerra, come appunto scrisse il filosofo tedesco alla vigilia
del neocapitalismo.
Come nasce, in
te, una poesia?
Devo anzitutto
avere molto tempo a disposizione per rivitalizzare quei meccanismi inconsci che
la vita ordinaria sopisce. Lo faccio, scrivendo qualche verso mediocre, sino a
quando riconosco d'essere finalmente allineato con me stesso, con la mia voce.
Allora seguo il flusso, ma con molta disciplina, per non farmi sopraffare da
esso. Non credo infatti nella "prima parola", nella forza esclusiva
dell'automatismo beat, ma nemmeno la mortifico completamente. Cerco piuttosto
un dialogo con essa e dunque con me stesso, in modo da uscirne in un
rispecchiamento critico, dove pulsione e ragione hanno giocato con la vita e
con la morte del senso, e con i limiti delle mie forze.
Il poeta parla di ciò che realmente vive o di ciò che vorrebbe ricevere, e che sempre gli sfugge?
Il poeta è
parlato, per dirla con Rimbaud, dalle cose le quali sono campi energetici, non
semplici strumenti. In quello stato, il tempo è sempre una triade in tensione,
dove nessuna delle dimensioni tace. A tenerle insieme è il desiderio, fontana
aperta che non ci dà tregua e che la scrittura mette in forma, anche nel senso
che lo fa star bene, lo salva dalla chiusura ossessiva, dalla fissazione. La
parola poetica mantiene allerta il desiderio, pronto per la scelta non
omologata. L'etica, senza desiderio, è moralismo.
La poesia è
salvazione?
Come detto, la
poesia mantiene in forma. È la vita sociale che fa di tutto per toglierla.
A quale gioco
della tua infanzia vorresti paragonare la tua poesia?
Al lego e al
dottore. La poesia ha bisogno di un montaggio, usando i pezzi che hai a
disposizione (ossia tutto ciò che, in quel preciso momento, riesci a mettere
sul tavolo: parole, emozioni, saperi, sapori), ma nulla sorgerebbe se non ci
fosse il desiderio, appunto, la curiosità, il sentimento di trasgressione,
l'incontro con il corpo dell'altro, con il corpo della scrittura anzitutto.
Che cosa ti ha
insegnato la frequentazione della scrittura poetica?
Da giovane
facevo molto sport e ho studiato musica. In entrambe le esperienze ho imparato
la disciplina. La poesia mi ha confermato che niente di buono nasce spontaneo,
senza sforzo. La scrittura poetica degli altri, invece, mi ha insegnato a
rispettare voci differenti dalla mia, a riconoscerle autentiche proprio nella
loro differenza irriducibile.
Qual è il grado
di finzione e di mascheramento di un poeta?
Tutto conoscono
i versi di Pessoa sul poeta fingitore, "che
arriva a fingere che è dolore / il dolore che davvero sente". Nessuno
oserebbe negare il contrario, pur sapendo che le cose sono più complesse, a
partire dal fatto, come ho già indicato, che il poeta non sceglie le parole, ma
soltanto le riordina (il lego), secondo un principio (il desiderio) di cui egli
non dispone. E poi, dopo tutta la cultura otto-novecentesca relativa
all'identità, all'ideologia, alla reificazione, alla crisi del fondamento, solo
un ingenuo potrebbe credere di avere un'autenticità da preservare. La finzione
agisce solamente a livello psicologico, consolando chi crede d'essersi salvato
dallo smascheramento. In verità, è proprio nella superficie della lingua che si
legge la profondità, quanto si vorrebbe celare. I poeti veri lo sanno benissimo
anche se magari, in quanto persone, se ne dispiacciono o ne provano imbarazzo.
Vorresti citare
un poeta da ricordare e da rivalutare?
Vorrei stare
alla larga dalla moda dalle riscoperte autoriali. La fama va e viene, seguendo
ragioni spesso lontane dall'estetica. In rete, poi, i paladini degli ingiustamente
dimenticati sono un vero esercito. Salvo che spesso li si cita solo per
nome, senza leggere niente di loro. E comunque, come direbbe Andy Warhol, i
dieci minuti di celebrità, oggi, non li si nega a nessuno. Io dico: leggi a
fondo qualsiasi grande poeta (e non dirmi che non sai chi sono perché tutte le
grandi antologie ne parlano) e ne avrai abbastanza per nutrirti, senza bisogno
di minori da salvare. Chiaro che i minori vanno letti e, se possibile,
riscattati dall'oblio, ma senza pensare che la tradizione critica sia in
malafede o miope. Il dialogo ermeneutico serve appunto a rimettere in gioco i
valori o, meglio, la verità mossa da ciascun autore, per quanto sconosciuto
sia.
Qual è il dono
che augureresti a un poeta, oggi?
Di capire che il
senso della vita sta nel piede che gli si muove davanti e non nell'immortalità
del nome. In altre parole: di imparare a dialogare con la propria ambizione,
prima di esserne divorato.
Puoi citare,
spiegando perché, un verso che ti è particolarmente caro?
Dovrei pensarci
a lungo perché molti versi mi sono cari. Anche in relazione allo stato d'animo
o al momento. La chiusa del primo sonetto del Canzoniere petrarchesco,
comunque, mi tiene in riga sempre: "quanto piace al mondo è breve
sogno", così come certi mottetti montaliani rinvigoriscono la mia
visione sull'amore o, ancora, certe laborintiche escursioni
sanguinetiane mi riportano al nocciolo della questione, alle "quattro
tonsille in fermentazione" che è il nostro mondo, per poi, ribaltandolo in
Terra, come scrive il maestro finalmente Urano, "aprire le mie sorgenti /
dentro il tuo antichissimo atlante".
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In alto, Study for Self-Portrait di
Francis Bacon [1909-1992]
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