Mario Fresa
Questionario di poesia (29)
Ivano Mugnaini
Qual
è il segreto progetto a cui tende la tua scrittura?
Ciò che mi
affascina della scrittura è, in fondo, ciò che la rende terribile e fascinosa,
come una donna complicata e bellissima, come il cammino sopra un baratro che
sovrasta panorami meravigliosi. La scrittura, credo, è il tentativo di gettare
un ponte su quel baratro senza sapere se dal lato opposto esiste una sponda, o,
meglio, sapendo che ci sono infinite sponde, ognuna con un terreno specifico,
pietroso o friabile, fertile o arido. Scrivere è costruire quel ponte, passo dopo passo, scommettendo sulla
possibilità di mettersi in contatto con altri continenti, realtà diverse eppure
affini. Ed è sempre mirabile il momento in cui ciò che credi individuale,
aspramente unico ed esclusivamente tuo, passa, si muove, attraversa il vuoto,
diventa patrimonio condiviso, un istante scritto, letto, vissuto all’unisono.
Come
nasce, in te, una poesia?
Dall’osservazione
del reale. Da un particolare concreto, oggettivo. Considerando come oggettivi
perfino i pensieri, le sensazioni che passano attraverso il corpo, gli occhi,
le mani, i piedi. Poi, da quegli spunti percepiti, a volte cercati, a volte
quasi colti controvoglia, nasce un tentativo di riflessione, una volontà di
dare forma a ciò che del mondo mi colpisce, anche nel senso letterale del
termine, come un pugno, oppure mi sfiora, come una carezza, un ricordo. Dalla
distanza tra ciò vedo e ciò che vorrei vedere, attraverso questo contrasto e
questo incontro, nascono le parole ed i versi. Senza sperare in mirabili
metamorfosi della realtà, ma anche senza rinunciare al diritto di auspicare
verità alternative, mondi altri, differenti, seppure ancora e sempre terreni,
umani.
Il
poeta parla di ciò che realmente vive o di ciò che vorrebbe ricevere, e che
sempre gli sfugge?
Questa
risposta si ricollega alla precedente: il poeta ha il diritto-dovere del sogno.
Ma credo che la poesia abbia poco senso se perde il contatto con la realtà, per
quanto aspra e impoetica essa possa essere. “La poesia non risponde, domanda”,
affermava P.G. Antokol’skij nel suo Giornale di viaggio di uno scrittore.
Ma in quella domanda c’è il suo senso, e, forse, la sua funzione: tenere vivo
il dubbio, la capacità di cercare prospettive nuove, ponendo l’uomo di fronte
alla necessità di ragionare su se stesso, sul suo scopo, sul senso del suo
esistere.
La
poesia è salvazione?
Se intendiamo
salvazione come una panacea, come una ricetta miracolosa, direi di no.
Rispondendo alla adorata nipotina che gli chiedeva ciò che avrebbe dovuto fare
da grande nella vita, Byron le consigliava questo: “tutto, tranne che il
poeta”. È significativo. E si capisce il perché del consiglio: il poeta
percepisce assieme al proprio dolore personale
il dolore del mondo. Lo assomma, lo moltiplica. Ma è anche vero che
Byron ha scritto e vissuto poesia una vita intera, l’ha resa parte integrante
del proprio mondo interiore. La poesia forse è una scelta e forse un destino: e
nell’attimo della sua sconfitta c’è anche la sua vittoria. Nell’istante della
perdizione, in varie accezioni, c’è la sua salvezza, la salvazione.
A
quale gioco della tua infanzia vorresti paragonare la tua poesia?
Forse,
ricollegandomi ancora a quanto ho scritto poco sopra, direi che è paragonabile
al nascondino: ci si cela alla vista degli altri, in angoli bui, scomodi,
impolverati. Ma, nella mente e nel cuore, e nel senso stesso del gioco, c’è la
speranza, anzi la necessità di essere
scovati, scoperti, costretti ad uscire allo scoperto. Per lamentarsi con se
stesso, rallegrandosi, in fondo, perché è nella logica del gioco e
dell’esistere questo alternarsi di buio e luce, silenzio e dialogo.
Che
cosa ti ha insegnato la frequentazione della scrittura poetica?
L’importanza,
la potenza creativa e distruttrice della parola, e la conseguente necessità di
rispettare ciò che maggiormente distingue il genere umano. Violentare le parole
dovrebbe essere considerato reato. Non solo quando si scrive, ma anche quando
si parla, perfino quando si pensa, il rispetto per la parola dovrebbe essere
immenso, meticolosamente appassionato, usando i vocaboli come strumenti
delicati, sensibili, in grado di provocare ferite o di guarirle. Credo che,
così come è necessario superare un esame per poter guidare un veicolo,
bisognerebbe dover dimostrare di conoscere la pericolosità e la meravigliosa
capacità di attraversare mondi propria del linguaggio prima di avere il
permesso di parlare e di scrivere. È una provocazione, certo; ma è anche modo
per sottolineare ancora che le parole sono vitali, nel senso letterale del
termine.
Qual
è il grado di finzione e di mascheramento di un poeta?
Come ho
accennato in precedenza, il poeta si nasconde, per scelta e per necessità. Però
la sua fragilità non può essere una scusa per evitare il contatto con il mondo.
Deve trasformare il vetro in acciaio, o trasformarlo, renderlo malleabile e
forgiarlo per esprimere ciò che realmente pensa e ciò che davvero sente. È il
suo compito: arduo ma necessario.
Vorresti
citare un poeta da ricordare e da rivalutare?
Me ne vengono
in mente molti. E citarli tutti non è possibile. Il consiglio che mi sentirei
di dare ai lettori è quello di cercarli con cura e tenacia questi continenti
ancora inesplorati, queste terre fertili che attendono di essere scoperte e
coltivate con la passione della lettura. Oggi
accade sempre più spesso, anche grazie ad Internet, anche grazie a case
editrici che, nonostante le difficoltà, leggono e pubblicano autori nuovi di
valore o riscoprono autori che meritano maggiore visibilità. Nonostante le
logiche dominanti, oggi i lettori hanno il potere di scegliere, ricordando e
rivalutando chi, caso per caso, ha il potere di destare il loro interesse e di
generare emozioni autentiche, non posticce o preconfezionate.
Qual
è il dono che augureresti a un poeta, oggi?
Rimanere se
stesso, senza farsi snaturare da logiche lontane dal suo mondo, dalle sue
sensazioni autentiche. Continuare a scrivere ciò che davvero vede e pensa, e
trovare in chi legge, a qualsiasi livello, la capacità di sentirlo e ascoltarlo
come voce individuale, autonoma e genuina, riconoscibile nel mare magnum degli
autori contemporanei.
Puoi
citare, spiegando perché, un verso che ti è particolarmente caro?
“Il poeta è un
fingitore./ Finge così completamente/ che arriva a fingere che è dolore/ il
dolore che davvero sente.” Scelgo questo verso, anzi questi versi di Pessoa,
perché mi sembrano coerenti con il contenuto delle mie precedenti risposte. E,
a dire il vero, anche perché l’impresa di scegliere un solo verso tra tutta
l’infinita bellezza espressa da tutti gli autori di tutti è tempi è così ardua
che è paragonabile a quella di selezionare un granello di sabbia più lucente su
una spiaggia assolata. E, infine, perché i versi prescelti pur parlando di
dolore parlano anche del potere dell’immaginazione. Perfino il dolore descritto
passa attraverso la mente di chi lo concepisce e lo crea. Così come il piacere,
così come la stessa poesia, che, attraverso il corpo, diventa pensiero, la più
concreta e vitale delle finzioni.
In alto, particolare tratto da una stele tebana del V sec. a.C.
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