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La parola verso proviene dal verbo latino vertere, cioè «capovolgere», in particolare la terra con un aratro. Il verso è allora un solco, una linea dritta in cui l’uomo col proprio lavoro pone i suoi semi che germoglieranno: nel verso, così, convergono la linearità naturale degli eventi e l’impegno fruttifero del pensiero umano.

giovedì 5 gennaio 2012

questionario di poesia (28) Giovanna Fozzer



 Mario Fresa

Questionario di poesia (28)



Giovanna Fozzer










Qual è il segreto progetto a cui tende la tua scrittura?


Nessun segreto progetto, nessun tendere a. Vi sono periodi della vita in cui qualcosa (una piccola nube sull’azzurro, alberi o occhi di un gatto o di un bambino, un ricordo d’amore o di dolore, ecc.)  muove dentro un impulso, una necessità di scrivere, di mettere in parole scritte – in sintesi – l’emozione, la commozione, la disperazione, la gioia, la riflessione. Scrittura come distillato, vera essenza, canto forse. Ho orrore, per dir così, della volutezza.


La poesia è salvazione?

La poesia [quella vera, troppa ce n’è simile a caricatura, carica di volutezza, lagnosa, egoista, senz’anima profonda, incentrata sull’ego, su quell’io che non interessa a nessun vero lettore] è certo sacra, come Leopardi o Saba, Pascoli o Guidacci o ogni altro profondo vero umano: da Omero e Saffo a Shakespeare e Dickinson ecc.  Salvazione  è un termine che sento non abbastanza forte, nitido, lucente. Non so, quindi, se la poesia sia questo.


A quale gioco della tua infanzia vorresti paragonare la tua poesia?

La mia infanzia è assai lontana… Gioco come entrare nell’intenso odore della stalla odella casa contadina, contemplare gli animali fumanti, ottenere il privilegio di fare le cose come le fanno [facevano] i contadini (giustamente diffidenti verso i bambini di città): rastrellare il fieno, strappare le erbacce alle patate ecc. O anche, gioco cittadino, recitare rime dialettali capaci di commuovere il piccolo uditorio familiare e me, fino alle lacrime. [Ma mentre scorro le domande comincio a sentire il disagio del frequente comparirvi della parola poesia: diffido, come di chi nomina  Dio (magari anche in ‘poesia’…) con una certa familiarità e disinvoltura – per me sempre troppa].


Che cosa ti ha insegnato la frequentazione della scrittura poetica?

Frequentazione della scrittura poetica: quale? A me erano sempre bastati Dante e Leopardi, profondi nel mio cuore e nella mia mente, vivi, veri, assoluti. Quando sentii la necessità di scrivere piccole cose mie, a lungo le chiamai ‘sintesi’, non osavo chiamarle poesie finché non mi convinsero a farlo alcuni amici miei lettori.


Qual è il grado di finzione e di mascheramento di un poeta?

Finzione e mascheramento di un poeta? Non lo so, non me ne intendo, mai mi sarebbero venuti in mente quei termini, di fronte a testi poetici veri (i soli che mi interessino) testi amati, comprensibili, letti e riletti con rispetto e progressiva intellezione.


Vorresti citare un poeta da ricordare e da rivalutare?

Margherita Guidacci.


Qual è il dono che augureresti a un poeta, oggi?

Dono per il poeta? Vincere alla lotteria una grossa somma per essere più libero di scrivere e pensare. Oppure: il dono di essere solo se stesso, in profonda umiltà e verità,  e di scrivere appunto solo secondo amore e verità (o amore del vero, che è come dire amore del bello).


Puoi citare un verso che ti è particolarmente caro?

Dolce e chiara è la notte e senza vento.








 

In alto, La lezione di musica di Jan Vermeer [1632-1675]





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