Libri di arte, poesia e filosofia

La parola verso proviene dal verbo latino vertere, cioè «capovolgere», in particolare la terra con un aratro. Il verso è allora un solco, una linea dritta in cui l’uomo col proprio lavoro pone i suoi semi che germoglieranno: nel verso, così, convergono la linearità naturale degli eventi e l’impegno fruttifero del pensiero umano.

domenica 31 luglio 2011

Mario Fresa Questionario di poesia (5) Marco Furia






Mario Fresa

Questionario di poesia (5)


Marco Furia










Qual è il segreto progetto a cui tende la tua scrittura?

Il mio progetto non è poi così segreto (e, in ogni modo, qui lo svelo)
Intendo mostrare la praticabilità di un linguaggio originale servendomi di materiale tratto dal comune dizionario.
Le parole conservano traccia del loro uso normale, anche quando sono adoperate in maniera non comune: in questo rapporto tra consueto e inconsueto consiste il nucleo della mia poesia.


Come nasce, in te, una poesia?

Mettendomi al lavoro.
Entrando, ancora una volta, nella dimensione dello scrivere versi, ossia in una specifica forma di vita.


Il poeta parla di ciò che realmente vive o di ciò che vorrebbe ricevere, e che sempre gli sfugge?

Ritengo che il poeta parli del suo modo d’esistere: egli lascia un’impronta, una testimonianza linguistica di quello che, come persona, è.


La poesia è salvazione?

La poesia è, innanzi tutto, assiduo impegno nell’arte della parola.
Più che salvare, aiuta a vivere con maggiore consapevolezza


A quale gioco della tua infanzia vorresti paragonare la tua poesia?

A quello che dalle mie parti veniva chiamato “pampano” (si chiama ancora così, ma ormai pochi bambini lo conoscono): mi ricorda la poesia perché precisione ed equilibrio sono le doti richieste.


Che cosa ti ha insegnato la frequentazione della scrittura poetica?

Mi ha insegnato che l’attenzione nei confronti della lingua può produrre esiti intensi e perfino sorprendenti.
Che le cose, insomma, sono come sono e anche come potrebbero essere.


Qual è il grado di finzione e di mascheramento di un poeta?

Meno ci si maschera, meglio è.
Ciò vale anche per il poeta.


Vorresti citare un poeta da ricordare e da rivalutare?

Giacomo Bergamini (1945 – 2004), poeta intenso e complesso.


Qual è il dono che augureresti a un poeta, oggi?

Di trovare la giusta dimensione della sua scrittura e di avere la possibilità di praticarla con assiduità.


Puoi citare, spiegando perché, un verso che ti è particolarmente caro?

Ne citerò due, a memoria:
«fatti non foste a viver come bruti
ma per seguir virtute e conoscenza». 
A simili versi ben poco si può aggiungere sennonché, nonostante il trascorrere dei secoli, sono di una straordinaria attualità.













In alto: Sacco e rosso di Alberto Burri [1915 -1995]

















sabato 30 luglio 2011

Mario Fresa questionario di poesia (4)


  
Mario Fresa
Questionario di poesia (4)



Stelvio Di Spigno






Qual è il segreto progetto a cui tende la tua scrittura?

La più grande ambizione di un poeta è arrivare a regioni indefinite e sepolte del proprio inconscio. Sembra un paradosso, ma più un poeta “scende” verso questa regione di luce e di tenebre, più si addentra in un territorio che è di tutti, una sorta di perimetro ancestrale nel quale sono custodite le ragioni dell’Essere, valide per tutti i viventi, anzi, per tutto ciò che vive in questo mondo e nell’altro, sia esso animato o inanimato. Il primo gradino è lo scandaglio della propria esistenza. Man mano, si arriva all’Ancestrale, alle origini della vita. Io sono al primo gradino…

Come nasce, in te, una poesia?

Da una concentrazione improvvisa di idee, suoni, ritmi, immagini. Ma direi soprattutto immagini. Minore è la consapevolezza durante questo processo di “mise en abyme” di parole e versi, maggiori sono le probabilità che ciò che il poeta dirà non corrisponda al suo pensiero empirico, alle sue opinioni correnti, ma ad una nuova formulazione delle cose che gli è sconosciuta perché del tutto sorgiva, misteriosa, irrazionale e quindi più veritiera perché molto più profonda. Ho sempre pensato alla poesia come a una miniatura nella quale, per pura grazia, le tessere in alcune momenti si incastrano da sole, scompaginando il progetto e il disegno originario, fornendo al miniatore-poeta un nuovo orizzonte di forma e significato.

Il poeta parla di ciò che realmente vive o di ciò che vorrebbe ricevere, e che sempre gli sfugge?

L’orizzonte del desiderio fa parte della poesia, a diversi gradi e a livelli differenti. Molto sfugge a chi scrive, anche dopo aver composto un capolavoro. Un poeta scrive seguendo la febbre cerebrale della sua scrittura. Il giudizio e i contenuti arrivano arriva dopo.

La poesia è salvazione?

No. Non c’è salvazione nella o attraverso la poesia. Spesso la scrittura ti rivela cose che sarebbe meglio rimanessero nella profondità del tuo animo, sentenze di nascita e di morte, cose dure di cui non sei a conoscenza. È un gioco pericoloso, la poesia. 

A quale gioco della tua infanzia vorresti paragonare la tua poesia?

Al gioco dei dadi. Si dà una scrollata, vengono fuori delle cifre, nessuno sa perché proprio quelle, e perché ti hanno fatto vincere o perdere.

Che cosa ti ha insegnato la frequentazione della scrittura poetica?

Un grande umiltà. Non si può essere poeti, frequentare la scrittura e nel frattempo cercare di aumentare sul mercato le proprie quotazioni di scrittore. Spesso una cosa esclude l’altra, se la frequentazione di altri poeti, necessaria a questo aumento di capitali, non è seguito da stimoli e umanità vera. Si diventa aridi, e non si aumenta di un grammo il proprio peso di scrittore. L’umiltà insegna a coltivarsi in silenzio. Il resto arriverà.

Qual è il grado di finzione e di mascheramento di un poeta?

Credo che la poesia sia un incrocio tra confessione e finzione. Le tecniche della finzione, tutte interne alla scrittura, sono funzionali alla formazione di una confessione totale e ad un graduale aumento di saggezza e conoscenza che la vera poesia porte sempre con sé.

Vorresti citare un poeta da ricordare e da rivalutare?
Il grande Beppe Salvia. 
Esiste una raccolta di tutte le sue poesie per un editore romano. Ha i colori del Sud Italia, il virtuosismo del poeta di razza, è inattuale e sembra venire dal nulla, con la sua poesia ricca di meraviglia per gli aspetti più minuti della vita, che sapeva trasfigurare in giochi di luce e ricordi della sua amata Lucania.  

Qual è il dono che augureresti a un poeta, oggi?

Di invecchiare con la sua scrittura senza lasciarsi tradire e fuorviare. Di essere come i vini pregiati, che più stanno nelle loro botti, più inebriano.

Puoi citare, spiegando perché, un verso che ti è particolarmente caro?

«Tutto ho perduto dell’infanzia / e non potrò mai più / smemorarmi in un grido». Sono dei versi di Ungaretti. Anche il poeta più ingegnoso, senza la purezza della sua infanzia, una purezza che dovrà sempre essere per lui un metro inevitabile, e per la quale è chiamato a rimanere sempre alla sua altezza, non scriverà niente di veramente poetico se la perderà. Purtroppo, spesso, le vicende della vita contribuiscono a questa perdita, a questo fatale impoverimento. Ma troppe volte si dimentica che il paradiso, o almeno un suo assaggio, è sepolto in quella zona dell’esistenza. Tutti vogliono essere altro e di più, e questo fa sì che la poesia rimarrà sempre un’arte per pochi. 








In alto: un disegno di Pietro di Cristoforo Vannucci, detto il Perugino [1450-1523]








venerdì 29 luglio 2011

Mario Fresa Questionario di poesia (3) Rita Pacilio







Mario Fresa
Questionario di poesia (3)





Rita Pacilio











Qual è il segreto progetto a cui tende la tua scrittura?

Vorrei tanto che la mia scrittura subisse, nel tempo futuro che mi è concesso, una ‘spoliazione’ dell’elemento amoroso-soggettivo-temporale per meglio interpretare nel gioco espressivo dell’epos, la storia dell’uomo come particella infinitesimale dello spazio/tempo che appartiene all’universo atemporale. Vorrei, quindi, arrivare segretamente nei meandri creativi dell’umanità geniale per sorprendere la mia commozione e trovarla impreparata a me stessa.


Come nasce, in te, una poesia?

La poesia è un atto di fede, è una gioia consumata, è un richiamo di suoni multipli e multiformi. Gli echi innumerevoli dei contrasti e del rischio di fare letteratura mi hanno sempre drammaticamente portato verso un tormento che qualcuno ha definito ‘umile destino’. Spesso ho creduto che l’aspirazione a ‘fare poesia’ fosse un atteggiamento instancabile tra dialoghi contrapposti: due voci dissonanti, una egocentrica, correttrice e creativa, l’altra schiava, protettrice e instancabilmente fragile. Il mio ‘fare’ versi è una necessità che nasce da una rivolta interiore. Mi piace riportare qui di seguito il mio sentire la ‘poesia’ dentro, perché non riesco a dire diversamente: 


Così rievocavo le identità e gli irresistibili impeti sforzandomi di consolare il disincanto dell’apparenza della mia identità e dei ruoli degli altri.
Avevo sei anni, forse meno. Cominciai senza la penna in mano. Senza fogli.
Mi apparivano i doppi fondi delle cose e ne ero in balìa: non conoscevo ancora il modo per diventarne padrona.
Ancora adesso non lo conosco.
Sapevo di essere una dissonante intuizione ma quel ‘pensiero’ nascosto mi esplorava dall’alba di ogni giorno.
Mi confortava spiazzandomi tra paradossi e aforismi.
Mi faceva male a volte, mi possedeva da uomo.
Sentivo l’ingenua e pessima traduzione dell’oltre e cresceva.
Si dilatava.
Si moltiplicava.
Gli occhi spalancati hanno guardato gli eccessi dell’interiorità e sentivo che niente mi capitava invano. La responsabilità del controllo e del crollo del mio essere ha elevato i sensi.
Ogni cosa di me era in movimento.
Mi riparavo nelle rientranze della mano ma la sporgenza delle dita mi proiettava nell’aria in modo deciso e austero.
La trasgressione è diventata portatrice dell’ansia della banalità dei luoghi comuni. Così si è tracciata una strada che percorrevo da sola e pur sapendo di cancellare ogni passo, non tornavo mai indietro.
Sfumata, fluida, flessibile, spesso irresistibile, ambigua, appariscente.
Perversa e arresa.
Umile.
Persa.
Senza scampo.
Guardare nel buco dal buco qualcosa che non sapevo di avere.
Mi intrigava il fastidio, l’imbarazzo dell’etichettamento. Mi spiazzava l’indifferenza e rimuovevo il ‘tutto è possibile’. Sapeva che ero sua schiava: mi faceva indossare il velo e poi mi spogliava di fronte allo specchio.
Abitava negli aspetti essenziali della mia identità.
Dava vita a forme autentiche di reciprocità. Sapeva che non volevo la tolleranza, ma avevo bisogno di essere rispettata e compresa.
Accolta: una virtù come una forma di passaggio simmetrica scandalosa e pudica. L’immaginario fiabesco rappresentava la mia infanzia adattata al mutamento del personaggio che ero diventata.
Lei mi modellava.
Era quasi un incesto.
E non mi sentivo colpevole se mi stavo innamorando di lei e lei di me.
Un amore sparso nelle vene del polso destro, dove solo i segreti degli amanti possono mettere in scena l’affermazione del simbolismo del piacere.
Ho soddisfatto i bisogni della dipendenza per avere in cambio le poche cose che fanno stare bene.
Ho goduto il dolore presente nel ricordare la passione passata.
Ho lasciato mi violentasse il tormento irragionevole per assaporarne la saggezza solitaria. L’ho idealizzata.
L’ho battezzata dea.
Le ho lasciato il gusto di adottarmi come figlia.
Nessuno mi ha fatto domande diverse e non ero pronta al rifiuto: così la reazione di carne ha evitato i misteri ed ha accumulato giorno dopo giorno la testimonianza delle radici future.
Qualcuno mi ha chiamata ‘piantina di vetro’. Una luce di fuoco traspare. Lei lo sa.
Ha avuto il coraggio di promettermi che mi aspetta.’ (R.P. ‘Alle lumache di aprile’ – LietoColle 2010)


Il poeta parla di ciò che realmente vive o di ciò che vorrebbe ricevere, e che sempre gli sfugge?

Credo che  tutti gli autori scrivono per somiglianza o per differenza tentando un elaborato anomalo e innovativo per commuoversi e per commuovere mettendosi alla prova, spesso, in modo tortuoso e complicato e interpretando se stessi. Credo che la spinta propulsiva alla scrittura sia la disperata ricerca (come quella leopardiana) di una piena e totale e a volte inspiegabile felicità, ecco perché ogni abisso dolorante e angoscioso si trasforma in una forma espressiva, spesso impercettibile anche a chi scrive, oltre che a chi legge, che è la sostanza della poesia.


La poesia è salvazione?

Se la poesia non si limita ad essere la ‘lode delle cose perdute’ o ‘l’assillante dialettica epistemologica tra l’uomo, Dio e la natura’, allora si può affermare che ha un potere salvifico, perché diventa comunicazione tra tempo e spazio fatto dagli uomini. La poesia è la più alta creazione artistica capace di dare un senso alla speranza comunicativa come crescita sociale.


A quale gioco della tua infanzia vorresti paragonare la tua poesia?

Ho smesso di giocare a nove anni, quando è morto il mio papà, quando il sipario della mia vita ha cambiato colore. Nei ricordi lontanissimi del ‘gioco’ trovo le mie braccia sottilissime a farsi culla per l’ultima bambola. I miei versi sono accoglienza di sensi e di anima, insieme.


Che cosa ti ha insegnato la frequentazione della scrittura poetica?


Confrontarmi con chi scrive poesia e di poesia è l’esperienza più significativa e formativa che abbia mai fatto. Ho imparato, attraverso l’interazione con le altre scritture, che non bisogna mai raggiungere una ‘occupazione’ ma bisogna guardare in modo fisso all’aspirazione’.


Qual è il grado di finzione e di mascheramento di un poeta?

La poesia, secondo me, dovrebbe toccare la verità  universale, quindi dovrebbe tendere ad eliminare l’elemento ‘finzione’ interno a se stessa.
È vero, chi scrive spesso si rifugia in uno spirito dialettico ricercando l’attrito tra il vissuto personale e l’espressività fonetico/metrica, ma non credo che sia indispensabile cercare l’equilibrio tra la maschera e il volto: le due realtà vitali presenti nella poesia non si oppongono, ma l’una presuppone l’altra.


Vorresti citare un poeta da ricordare e da rivalutare? 

Dino Campana.


Qual è il dono che augureresti a un poeta, oggi?

A tutti i poeti in vita auguro parole nuove, agli autori di oggi, numerosissimi, consiglio di leggere i poeti e di rileggerli, prima di ambire al ‘podio’.


Puoi citare, spiegando perché, un verso che ti è particolarmente caro?

Tu non puoi torturarmi con la tua incostanza, /
ne va della mia vita col tuo disdegno.
(W. Shakespeare). Questo verso ha tutta la forza dell’impotenza del genere umano di fronte alla colloquialità spezzata: la poesia è comunicazione e qui si avverte l’amarezza di una interazione respinta e la necessità universale dell’uomo di partecipare, sempre e comunque, all’altro.



domenica 24 luglio 2011

Mario Fresa Questionario di poesia (2) Alessandro Ramberti




 Mario Fresa 

Questionario di poesia (2)



Alessandro Ramberti








Qual è il segreto progetto a cui tende la tua scrittura?

Forse una ricomposizione dell’anima: il tendere a un Oltre che sia memoria di un qui.



Come nasce, in te, una poesia?

Dal desiderio che è appunto una tensione alla cura dello spicchio di universo in cui ci troviamo a vivere.



Il poeta parla di ciò che realmente vive o di ciò che vorrebbe ricevere, e che sempre gli sfugge?

Sono presenti e necessarie entrambe le condizioni per creare quella tensione desiderante di cui si parlava.



La poesia è salvazione?

No. Non lo è in sé. Ma può essere una modalità di comunicare/esprimere/condividere che indica percorsi di salvezza. Inoltre ci sono delle poesie che sono di fatto preghiere: in questo caso si può dire che implicano un cammino salutare.



A quale gioco della tua infanzia vorresti paragonare la tua poesia?

Alla gimkana: abilità, destrezza, contatto con la terra, tensione verso una meta.



Che cosa ti ha insegnato la frequentazione della scrittura poetica?

Che il linguaggio più diventare un ritmo immaginifico.



Qual è il grado di finzione e di mascheramento di un poeta?

Senz’altro minore di quello presente nelle maschere che assumiamo quotidianamente.



Vorresti citare un poeta da ricordare e da rivalutare?

Gerard Manley Hopkins.



Qual è il dono che augureresti a un poeta, oggi?

L’apprezzamento sincero e disinteressato di 25 lettori.



Puoi citare, spiegando perché, un verso che ti è particolarmente caro?

«Che cosa è l’uomo perché te ne ricordi, il figlio dell’uomo perché te ne curi?»(Sal 8,5): un invito all’umile responsabilità a cui ciascuno è a suo modo chiamato.




martedì 19 luglio 2011

Mario Fresa Questionario di poesia (1) Roberto Maggiani




Mario Fresa

Questionario di poesia (1)







Roberto Maggiani







Qual è il segreto progetto a cui tende la tua scrittura?
Non ho mai pensato che potesse esserci un progetto segreto nella mia scrittura, insomma una sorta di P2 nel mio inconscio! Ma fermandomi un attimo, andando su una collinetta vicina alla strada che sto percorrendo con la mia scrittura, e guardando le terre all’orizzonte con le quali sembra intrecciarsi la mia strada, posso scorgere panorami fatti di matematica e parole, posso cioè scorgere la terra della poesia che va tessendosi a quella della scienza. Il mio progetto segreto è realizzare uno dei progetti del poeta, filosofo e scienziato tedesco Novalis, che si espresse così: la forma compiuta delle scienze dev’essere poetica. Sergretamente, ma neppure troppo, vorrei lavorare per la poetizzazione della scienza; ma quello che ciò significhi non mi è ancora completamente chiaro. So però che ci sono autorevoli scienziati contemporanei che sono su questa linea, come John D. Barrow che ha affermato: nessuna descrizione non poetica della realtà potrà mai essere completa.

Come nasce, in te, una poesia?
Da uno stato di vuoto, riempito da una visione/intuizione che arriva dall’osservare il mondo che mi circonda. Ma tale avvenimento è imprevisto, raramente riesco a indurlo, rassomiglia molto a una voce interiore che mi dice “prendi il quaderno e scrivi”, devo fare in fretta, altrimenti passa, butto giù l’idea, sulla quale lavorerò con tutta calma in un secondo momento per dare una forma compiuta.

Il poeta parla di ciò che realmente vive o di ciò che vorrebbe ricevere, e che sempre gli sfugge?
Sì, ma non sempre gli sfugge, qualche volta parla d’amore perché lo sta vivendo e ricevendo, parla di dolore perché lo sta vivendo e ricevendo, tali esperienze partono da fatti concreti, oggettivi. La parola del poeta può però prendere l’avvio da sfere esperienziali che sono completamente soggettive, emergono dall’inconscio, nascono da esperienze sommerse, oggi invisibili, da un vago sentore di gioia o da una obliquità interiore, da un disagio, da un’assenza, dalla necessità di ascoltare una voce dalla quale ricevere la verità assoluta sulla propria esistenza, sul cosmo.

La poesia è salvazione?
Assolutamente sì, se intendi l’atto del salvare o del salvarsi. La poesia ha una forza innalzante, essa è una mistica all’incontrario è la rivelazione dell’uomo all’Assoluto – è una elevazione verso Dio, per chi è credente – o a se stesso se non si crede nell’Assoluto, e quando si riceve una rivelazione (intendo per rivelazione, la comunicazione di ciò che non è noto), si fa una esperienza di salvezza, avviene come se parte di noi si depositasse in un’arca della salvezza, trovando spazio in una zona incorruttibile dell’esistenza.

A quale gioco della tua infanzia vorresti paragonare la tua poesia?
Al gioco di costruire capanne dove parlare con gli amici di cose fantastiche e fare merenda, sì perché ho fatto in tempo a costruire capanne nei campi vicino a casa mia. Oppure la paragono alle immersioni in mare che facevo col mio papà trattenendo il respiro e andando più a fondo che potevo per toccare la sabbia del fondale, sul quale, a volte, scorgevo sogliole mimetizzate che fuggivano via veloci, lasciandomi in una sorta di stupore, laggiù circondato da un silenzio totale, ero un bambino di dieci anni, tutto era novità, scoperta; poi arrivava l’urgenza di riemergere, per non scoppiare.

Che cosa ti ha insegnato la frequentazione della scrittura poetica?
Una sorta di rigore. Mi ha insegnato ad osservare, ad essere attento, mai approssimativo. Mi ha insegnato il valore della parola e la sua forza. Come dice la poetessa Sophia de Mello, la poesia è rivoluzione, non può lasciare indifferenti, la poesia è un affare umano che parte dall’uomo ma che porta anche verso di lui; la scrittura poetica, pertanto, mi ha insegnato a superare l’indifferenza, ad avere fede ma anche ad essere laico, universale, ad accogliere ogni diversità, con generosità.

Qual è il grado di finzione e di mascheramento di un poeta?
Nessuno, altrimenti non si tratta di un poeta né di poesia la sua scrittura, ma è un mio pensiero, la poesia mette a nudo chi la scrive, in diversa misura anche chi la legge. La poesia richiede un continuo coming out, essa compromette chi la fa e chi se ne appropria.

Vorresti citare un poeta da ricordare e da rivalutare? 
Sophia de Mello Breyner Andresen, una delle maggiori poetesse portoghesi, morta nel 2004. Ho avuto la fortuna di incontrarla, non solo nella sua scrittura ma anche nella vita. Tanto è forte la mia passione verso la sua scrittura che ho voluto imparare il portoghese solo per leggere le sue poesie in lingua originale… e poi, già che c’ero, mi sono messo a tradurle e a proporle su varie riviste italiane. Permettimi di citare anche un poeta brasiliano, un amico, anch’esso morto: Heleno Alfonso de Oliveira.

Qual è il dono che augureresti a un poeta, oggi?
Il successo! Intendo dire che gli auguro di essere riconosciuto dai lettori, quelli onesti (perché ci sono anche lettori disonesti), come una persona che gli fa del bene, gli riconoscano cioè che egli è capace, con la sua poesia, di metterli in contatto con una verità che è già in se stessi, che non necessariamente dovrà coincidere con quella del poeta.

Puoi citare, spiegando perché, un verso che ti è particolarmente caro?
È di Arthur Rimbaud, sono quattro versi brevi che si possono scrivere su una riga: Elle est retrouvée. / Quoi ? - L'Eternité. / C'est la mer allée / Avec le soleil.
Mi sono cari perché in essi è abilmente riassunta l’aspirazione umana all’eternità e quale miglior esempio di eternità che non sia un mare risplendente di sole, capace di far risorgere anche i più pessimisti dal loro limbo? Per questi versi ho iniziato a scrivere seriamente, arrivando alla mia prima pubblicazione nel 1998, perché capivo che la parola ha il potere di rigenerare lo spirito ed esprimere l’inesprimibile.



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