Mario Fresa
Questionario di poesia (4)
Stelvio Di Spigno
Qual è il segreto progetto a cui tende la tua scrittura?
La più grande ambizione di un poeta è arrivare a regioni indefinite e sepolte del proprio inconscio. Sembra un paradosso, ma più un poeta “scende” verso questa regione di luce e di tenebre, più si addentra in un territorio che è di tutti, una sorta di perimetro ancestrale nel quale sono custodite le ragioni dell’Essere, valide per tutti i viventi, anzi, per tutto ciò che vive in questo mondo e nell’altro, sia esso animato o inanimato. Il primo gradino è lo scandaglio della propria esistenza. Man mano, si arriva all’Ancestrale, alle origini della vita. Io sono al primo gradino…
Come nasce, in te, una poesia?
Da una concentrazione improvvisa di idee, suoni, ritmi, immagini. Ma direi soprattutto immagini. Minore è la consapevolezza durante questo processo di “mise en abyme” di parole e versi, maggiori sono le probabilità che ciò che il poeta dirà non corrisponda al suo pensiero empirico, alle sue opinioni correnti, ma ad una nuova formulazione delle cose che gli è sconosciuta perché del tutto sorgiva, misteriosa, irrazionale e quindi più veritiera perché molto più profonda. Ho sempre pensato alla poesia come a una miniatura nella quale, per pura grazia, le tessere in alcune momenti si incastrano da sole, scompaginando il progetto e il disegno originario, fornendo al miniatore-poeta un nuovo orizzonte di forma e significato.
Il poeta parla di ciò che realmente vive o di ciò che vorrebbe ricevere, e che sempre gli sfugge?
L’orizzonte del desiderio fa parte della poesia, a diversi gradi e a livelli differenti. Molto sfugge a chi scrive, anche dopo aver composto un capolavoro. Un poeta scrive seguendo la febbre cerebrale della sua scrittura. Il giudizio e i contenuti arrivano arriva dopo.
La poesia è salvazione?
No. Non c’è salvazione nella o attraverso la poesia. Spesso la scrittura ti rivela cose che sarebbe meglio rimanessero nella profondità del tuo animo, sentenze di nascita e di morte, cose dure di cui non sei a conoscenza. È un gioco pericoloso, la poesia.
A quale gioco della tua infanzia vorresti paragonare la tua poesia?
Al gioco dei dadi. Si dà una scrollata, vengono fuori delle cifre, nessuno sa perché proprio quelle, e perché ti hanno fatto vincere o perdere.
Che cosa ti ha insegnato la frequentazione della scrittura poetica?
Un grande umiltà. Non si può essere poeti, frequentare la scrittura e nel frattempo cercare di aumentare sul mercato le proprie quotazioni di scrittore. Spesso una cosa esclude l’altra, se la frequentazione di altri poeti, necessaria a questo aumento di capitali, non è seguito da stimoli e umanità vera. Si diventa aridi, e non si aumenta di un grammo il proprio peso di scrittore. L’umiltà insegna a coltivarsi in silenzio. Il resto arriverà.
Qual è il grado di finzione e di mascheramento di un poeta?
Credo che la poesia sia un incrocio tra confessione e finzione. Le tecniche della finzione, tutte interne alla scrittura, sono funzionali alla formazione di una confessione totale e ad un graduale aumento di saggezza e conoscenza che la vera poesia porte sempre con sé.
Vorresti citare un poeta da ricordare e da rivalutare?
Il grande Beppe Salvia.
Esiste una raccolta di tutte le sue poesie per un editore romano. Ha i colori del Sud Italia, il virtuosismo del poeta di razza, è inattuale e sembra venire dal nulla, con la sua poesia ricca di meraviglia per gli aspetti più minuti della vita, che sapeva trasfigurare in giochi di luce e ricordi della sua amata Lucania.
Qual è il dono che augureresti a un poeta, oggi?
Di invecchiare con la sua scrittura senza lasciarsi tradire e fuorviare. Di essere come i vini pregiati, che più stanno nelle loro botti, più inebriano.
Puoi citare, spiegando perché, un verso che ti è particolarmente caro?
«Tutto ho perduto dell’infanzia / e non potrò mai più / smemorarmi in un grido». Sono dei versi di Ungaretti. Anche il poeta più ingegnoso, senza la purezza della sua infanzia, una purezza che dovrà sempre essere per lui un metro inevitabile, e per la quale è chiamato a rimanere sempre alla sua altezza, non scriverà niente di veramente poetico se la perderà. Purtroppo, spesso, le vicende della vita contribuiscono a questa perdita, a questo fatale impoverimento. Ma troppe volte si dimentica che il paradiso, o almeno un suo assaggio, è sepolto in quella zona dell’esistenza. Tutti vogliono essere altro e di più, e questo fa sì che la poesia rimarrà sempre un’arte per pochi.
In alto: un disegno di Pietro di Cristoforo Vannucci, detto il Perugino [1450-1523]
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