Mario
Fresa
Questionario
di poesia (25)
Jacopo
Ricciardi
Qual è il segreto progetto a cui tende
la tua scrittura?
Il
suono, l’utilizzo della voce da parte del lettore. Credo si possa fare una
poesia che permetta i diversi gradi del parlare e da questi risalire alla reale
mappa di una coscienza. Poesia e neuroscienze. Andare oltre la dissoluzione
della poesia conosciuta come dice Rimbaud nella Saison en Enfer. Credo che il Novecento – per la poesia in un senso
per la prima volta globale – e la sua indagine di un individualismo
autobiografico non siano da considerare la vera conquista ma la lenta
elaborazione di una progressiva liberazione dall’Io da parte del poeta. Tra lo
spirito lirico e quello epico credo che il secondo sia quello che descrive
meglio la nostra epoca.
Come nasce, in te, una poesia?
Mai
nello stesso modo, e sempre ogni poesia evoluta dalla precedente. Non mi piace
far osservare alle poesie le stesse regole. Ho rifiutato da subito l’idea di
acquisire uno stile. Mi piace che una condizione evolva, in questo modo si
rispetta l’andamento umano della vita, l’andamento organico. Mai una condizione
fissa, tutto è in movimento e trasmissione di identità. La nostra vita non
trasmette forse nel suo evolversi la sua identità, pur misteriosa e
inafferrabile che sia? Quindi fare di ogni poesia non un segnale davanti a cui
fermarsi, ma un processo o un cammino nel quale entrare. Così ogni poesia; così
tra ogni poesia. Tutto è movimento e sintesi. Il lettore risponde e queste
domande: “Dove mi trovo?” “Che cosa accade?” Si gira, poi riprende il cammino. Niente
è mai del tutto fermo; tutto si risponde. La mente si propaga e non ha sosta e
oggi torna dal suo viaggio. Oggi la poesia risponde a questa necessità
chiarendola.
Il poeta parla di ciò che realmente vive
o di ciò che vorrebbe ricevere, e che sempre gli sfugge?
La
poesia sceglie il luogo dove il poeta deve scrivere, ma il poeta deve riuscire
a riconoscerlo. Gli improvvisi pieni d’orchestra di Campana fanno risuonare
colori e atmosfere di porzioni di mondo. Egli scrive contornato di musica,
stordente luce, attirante notte. Caproni scrive nella fiamma che abita la sua
mente - lui stesso lo ammette all’inizio di una raccolta. Rilke nella bianca
fitta nebbia dell’essere. Riconoscere i luoghi dove i poeti scrivono vuol dire
risalire alle loro realtà, e farlo permette di constatare quanto varia e vasta
sia la realtà. Altrimenti si resta alle cose. E tutto invece è intensa
intelligenza. Ma il poeta non solo deve trovare la sua realtà, ma anche il suo
oggi, altrimenti la voce non attraversa i tempi.
La poesia è salvazione?
Ci
si può aspettare da una poetica che fondi la creatura del mondo. Sant’Agostino
in Città di Dio riporta tra gli altri
come fatti gli eventi raccontati da Virgilio nell’Eneide. Se la lettura resta prigioniera del libro uccide l’Umanità.
A quale gioco della tua infanzia vorresti paragonare la tua poesia? Al lego. È
un gioco autistico di montaggio e smontaggio di una immaginazione. Forse lì
nella pausa infinitesimale di quel gioco un leggero suono, come un sibilo, si è
intromesso, che voleva riuscire a parlare. Per anni sono stato costretto a
modulare in parole quel sibilo latente nella mia mente senza riuscirvi, poi
all’improvviso per me è riuscito a parlare in poesia. Che cosa ti ha insegnato
la frequentazione della scrittura poetica? Mi sono stupito quando ho letto che
Mario Luzi sosteneva di non avere i propri libri in casa perché non rileggeva
praticamente mai le sue poesie. Al contrario ho desiderato scrivere poesie che
io stesso come il lettore non mi fossi mai stancato di rileggere. Ho pensato
che se fossero state inesauribili per me lo sarebbero state anche per il
lettore. Questo per me vuol dire attivare la zona che divide le poesie, un’area
viva, non scritta, che vuole essere scritta, ma che non è possibile finire di
scrivere. Vorrei che in quello spazio potesse esistere il principio di un
dialogo, che coinvolga gli stessi poeti non differentemente dalle persone. Non
so se in una vita è possibile essere due poeti.
Qual è il grado di finzione e di
mascheramento di un poeta?
In
Microliti Paul Celan critica la metafora come se fosse il vero nemico della
poesia, arrivando a citare anche Omero. C’è però un’immagine memorabile nell’Odissea che dice “risonante mare” quando
Achille disperato cammina sul litorale. Il mare è risonante; la nostra
percezione è quella di un semi-dio. Nella poesia Grata di parole Celan dice
“Palpebra, sfarfallante animale”. Non è metafora perché in Celan la palpebra È
uno sfarfallante animale. Ritengo le due immagini simili nella costruzione, ma
quella di Omero eleva le mie facoltà, quella di Celan le chiude in un gorgo.
Chi ha ragione? Dalle mie poesie ho voluto togliere ogni biografismo, fino al
punto che non ci fosse niente del mio Io. Se Morandi ha fatto dei quadri dove
il suo sguardo È quello dell’osservatore, perché una poesia che È del lettore
non sarebbe possibile? Vorresti citare un poeta da ricordare e da rivalutare?
Il mio amore va a tutti i poeti che ho letto. Tutti i poeti vanno rivalutati,
continuamente.
Qual è il dono che augureresti a un
poeta, oggi?
Che
possa scrivere poesie convincenti per il lettore.
Puoi citare, spiegando perché, un verso
che ti è particolarmente caro?
Più di quindici anni fa ero in Sardegna in
visita al nuraghe Arrubiu e Pietro Cascella che era in viaggio con noi e che conoscevo
in quei giorni mi chiese di citargli un verso che amavo particolarmente. Io gli
recitai un frammento
di verso di Mallarmé che era per me allora così importante da smuovere l’intero
cosmo al solo pronunciarlo. Con quella convinzione glielo dissi… Ora non
ricordo più quale fosse; ricordo però il suo peso su me. Quel verso
probabilmente si è andato trasmutando in altri versi che mi hanno colpito
successivamente. “adorni legni ‘n mar forte correnti” di Cavalcanti; quel
“forte correnti” si è poi perfezionato in “umane genti” di Leopardi e lì è
rimasto, in me, solido, inamovibile. Poi il variare di una stessa poesia di
Rimbaud: “l’eternité/c’est la mer melée/au soleil” (Poésies), che diviene in seguito “c’est la mer allée/avec le
soleil” (Une saison en Enfer): due
perfezioni in dialogo perpetuo, instancabile nella mia mente. Da lì
all’espressione omerica che descrive la nave di Ulisse che naviga “sulla
schiena del mare” facendo ogni volta incantare il lettore davanti a quelle
profondità marine interamente percepite e vive. Non so dire se sia sempre lo
stesso verso o tante distinte infinità inesauribili.
© Edizioni L’Arca
Felice 2011
In alto, una grafica laser di Jacopo Ricciardi.
In alto, una grafica laser di Jacopo Ricciardi.
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