Libri di arte, poesia e filosofia

La parola verso proviene dal verbo latino vertere, cioè «capovolgere», in particolare la terra con un aratro. Il verso è allora un solco, una linea dritta in cui l’uomo col proprio lavoro pone i suoi semi che germoglieranno: nel verso, così, convergono la linearità naturale degli eventi e l’impegno fruttifero del pensiero umano.

lunedì 19 dicembre 2011

questionario di poesia (25) Jacopo Ricciardi








Mario Fresa
     Questionario di poesia (25)





Jacopo Ricciardi












Qual è il segreto progetto a cui tende la tua scrittura?

Il suono, l’utilizzo della voce da parte del lettore. Credo si possa fare una poesia che permetta i diversi gradi del parlare e da questi risalire alla reale mappa di una coscienza. Poesia e neuroscienze. Andare oltre la dissoluzione della poesia conosciuta come dice Rimbaud nella Saison en Enfer. Credo che il Novecento – per la poesia in un senso per la prima volta globale – e la sua indagine di un individualismo autobiografico non siano da considerare la vera conquista ma la lenta elaborazione di una progressiva liberazione dall’Io da parte del poeta. Tra lo spirito lirico e quello epico credo che il secondo sia quello che descrive meglio la nostra epoca.


Come nasce, in te, una poesia?

Mai nello stesso modo, e sempre ogni poesia evoluta dalla precedente. Non mi piace far osservare alle poesie le stesse regole. Ho rifiutato da subito l’idea di acquisire uno stile. Mi piace che una condizione evolva, in questo modo si rispetta l’andamento umano della vita, l’andamento organico. Mai una condizione fissa, tutto è in movimento e trasmissione di identità. La nostra vita non trasmette forse nel suo evolversi la sua identità, pur misteriosa e inafferrabile che sia? Quindi fare di ogni poesia non un segnale davanti a cui fermarsi, ma un processo o un cammino nel quale entrare. Così ogni poesia; così tra ogni poesia. Tutto è movimento e sintesi. Il lettore risponde e queste domande: “Dove mi trovo?” “Che cosa accade?” Si gira, poi riprende il cammino. Niente è mai del tutto fermo; tutto si risponde. La mente si propaga e non ha sosta e oggi torna dal suo viaggio. Oggi la poesia risponde a questa necessità chiarendola.


Il poeta parla di ciò che realmente vive o di ciò che vorrebbe ricevere, e che sempre gli sfugge?

La poesia sceglie il luogo dove il poeta deve scrivere, ma il poeta deve riuscire a riconoscerlo. Gli improvvisi pieni d’orchestra di Campana fanno risuonare colori e atmosfere di porzioni di mondo. Egli scrive contornato di musica, stordente luce, attirante notte. Caproni scrive nella fiamma che abita la sua mente - lui stesso lo ammette all’inizio di una raccolta. Rilke nella bianca fitta nebbia dell’essere. Riconoscere i luoghi dove i poeti scrivono vuol dire risalire alle loro realtà, e farlo permette di constatare quanto varia e vasta sia la realtà. Altrimenti si resta alle cose. E tutto invece è intensa intelligenza. Ma il poeta non solo deve trovare la sua realtà, ma anche il suo oggi, altrimenti la voce non attraversa i tempi.


La poesia è salvazione?

Ci si può aspettare da una poetica che fondi la creatura del mondo. Sant’Agostino in Città di Dio riporta tra gli altri come fatti gli eventi raccontati da Virgilio nell’Eneide. Se la lettura resta prigioniera del libro uccide l’Umanità. A quale gioco della tua infanzia vorresti paragonare la tua poesia? Al lego. È un gioco autistico di montaggio e smontaggio di una immaginazione. Forse lì nella pausa infinitesimale di quel gioco un leggero suono, come un sibilo, si è intromesso, che voleva riuscire a parlare. Per anni sono stato costretto a modulare in parole quel sibilo latente nella mia mente senza riuscirvi, poi all’improvviso per me è riuscito a parlare in poesia. Che cosa ti ha insegnato la frequentazione della scrittura poetica? Mi sono stupito quando ho letto che Mario Luzi sosteneva di non avere i propri libri in casa perché non rileggeva praticamente mai le sue poesie. Al contrario ho desiderato scrivere poesie che io stesso come il lettore non mi fossi mai stancato di rileggere. Ho pensato che se fossero state inesauribili per me lo sarebbero state anche per il lettore. Questo per me vuol dire attivare la zona che divide le poesie, un’area viva, non scritta, che vuole essere scritta, ma che non è possibile finire di scrivere. Vorrei che in quello spazio potesse esistere il principio di un dialogo, che coinvolga gli stessi poeti non differentemente dalle persone. Non so se in una vita è possibile essere due poeti.


Qual è il grado di finzione e di mascheramento di un poeta?

In Microliti Paul Celan critica la metafora come se fosse il vero nemico della poesia, arrivando a citare anche Omero. C’è però un’immagine memorabile nell’Odissea che dice “risonante mare” quando Achille disperato cammina sul litorale. Il mare è risonante; la nostra percezione è quella di un semi-dio. Nella poesia Grata di parole Celan dice “Palpebra, sfarfallante animale”. Non è metafora perché in Celan la palpebra È uno sfarfallante animale. Ritengo le due immagini simili nella costruzione, ma quella di Omero eleva le mie facoltà, quella di Celan le chiude in un gorgo. Chi ha ragione? Dalle mie poesie ho voluto togliere ogni biografismo, fino al punto che non ci fosse niente del mio Io. Se Morandi ha fatto dei quadri dove il suo sguardo È quello dell’osservatore, perché una poesia che È del lettore non sarebbe possibile? Vorresti citare un poeta da ricordare e da rivalutare? Il mio amore va a tutti i poeti che ho letto. Tutti i poeti vanno rivalutati, continuamente.


Qual è il dono che augureresti a un poeta, oggi?

Che possa scrivere poesie convincenti per il lettore.


Puoi citare, spiegando perché, un verso che ti è particolarmente caro?

 Più di quindici anni fa ero in Sardegna in visita al nuraghe Arrubiu e Pietro Cascella che era in viaggio con noi e che conoscevo in quei giorni mi chiese di citargli un verso che amavo particolarmente. Io gli recitai un frammento di verso di Mallarmé che era per me allora così importante da smuovere l’intero cosmo al solo pronunciarlo. Con quella convinzione glielo dissi… Ora non ricordo più quale fosse; ricordo però il suo peso su me. Quel verso probabilmente si è andato trasmutando in altri versi che mi hanno colpito successivamente. “adorni legni ‘n mar forte correnti” di Cavalcanti; quel “forte correnti” si è poi perfezionato in “umane genti” di Leopardi e lì è rimasto, in me, solido, inamovibile. Poi il variare di una stessa poesia di Rimbaud: “l’eternité/c’est la mer melée/au soleil” (Poésies), che diviene in seguito “c’est la mer allée/avec le soleil” (Une saison en Enfer): due perfezioni in dialogo perpetuo, instancabile nella mia mente. Da lì all’espressione omerica che descrive la nave di Ulisse che naviga “sulla schiena del mare” facendo ogni volta incantare il lettore davanti a quelle profondità marine interamente percepite e vive. Non so dire se sia sempre lo stesso verso o tante distinte infinità inesauribili.





 
  © Edizioni L’Arca Felice 2011


In alto, una grafica laser di Jacopo Ricciardi.


                








Nessun commento:

Posta un commento

© RIPRODUZIONE RISERVATA