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La parola verso proviene dal verbo latino vertere, cioè «capovolgere», in particolare la terra con un aratro. Il verso è allora un solco, una linea dritta in cui l’uomo col proprio lavoro pone i suoi semi che germoglieranno: nel verso, così, convergono la linearità naturale degli eventi e l’impegno fruttifero del pensiero umano.

lunedì 26 dicembre 2011

Un poema di Rossetti a cura di Mario Fresa






Gabriele Rossetti 


Il Tempo, 
ovvero Dio e l’Uomo
 

Edizione critica, introduzione,
commento e apparato delle varianti
a cura di Mario Fresa





Lanciano, 2012
pp. 348 




Collana «I Classici», 
diretta da Gianni Oliva






Il Tempo, ovvero Dio e l’Uomo, Salterio del 1843 di Gabriele Rossetti, illustra e rappresenta, con l’acuta e bruciante lingua della metafora, la situazione politica italiana dell’epoca, traducendo in immagini di ascendenza biblica l’atmosfera e le vicende di quell’infuocato periodo della nostra Storia. I versi melodiosi e vibranti del poeta di Vasto disegnano una trama drammatica e movimentata, in cui la malvagia, ma transitoria vittoria degli empi sui giusti perseguitati sembra sfaldare e addirittura rompere l’amorosa Alleanza stipulata tra Dio e l’uomo: di qui, il canto appassionato e dolente del poeta-profeta, che aspira, con tutte le sue forze, al finale ristabilimento di una ideale, universale concordia. La presente edizione critica del testo ricostruisce, sulla base del fortunoso ritrovamento del manoscritto autografo dell’opera, l’esatta fisionomia del poema, offrendo anche, in appendice, le varianti della sua prima redazione, risalente al 1833.







Gabriele Rossetti, nato a Vasto nel 1783, fu poeta, critico letterario e patriota italiano della corrente neoghibellina del Risorgimento. Per il suo appoggio agli insorti dei moti liberali del 1820, fu costretto all'esilio. Si rifugiò prima a Malta, nel 1821, e da qui si spostò a Londra (1824), dove trascorse il resto della sua vita. Divenne professore di lingua e letteratura italiana presso il King’s College di Londra (1831) e mantenne l’incarico fino al 1847. Pubblicò numerose raccolte di poesie:  Odi cittadine (1820), Iddio e l'uomo (1833, seconda redazione 1843), Il veggente in solitudine (1846) e L'arpa evangelica (1852); fu anche autore di alcune opere di critica letteraria, soprattutto sulla Divina Commedia, letta in chiave massonica ed antipapale: Commento analitico alla “Divina Commedia” (1826-27); Ragionamenti sulla Beatrice di Dante (1842). A questa linea storico-interpretativa appartiene anche il saggio Sullo spirito antipapale che produsse la riforma e sull’influenza segreta che esercitò sulla letteratura d’Europa e particolarmente su quella d’Italia; mentre, nel 1840, riuscì a pubblicare i cinque volumi de Il mistero dell’amor platonico del medio evo derivata da misteri antichi. Sposò Francesca Maria Lavinia Polidori, figlia di un altro esule italiano, Gaetano Polidori, segretario particolare dell’Alfieri, dalla quale ebbe quattro figli: Maria Francesca, Dante Gabriel, William Michael e Christina. Alle tribolate e continue difficoltà economiche dopo il 1845 s’aggiunsero gravi infermità come la progressiva cecità. Morì il 26 aprile del 1854: il suo corpo è seppellito nel cimitero londinese di Highgate.

 

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