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La parola verso proviene dal verbo latino vertere, cioè «capovolgere», in particolare la terra con un aratro. Il verso è allora un solco, una linea dritta in cui l’uomo col proprio lavoro pone i suoi semi che germoglieranno: nel verso, così, convergono la linearità naturale degli eventi e l’impegno fruttifero del pensiero umano.

domenica 18 settembre 2011

Questionario di poesia (17)






Mario Fresa
Questionario di poesia (17)



Eugenio Lucrezi





Qual è il segreto progetto a cui tende la tua scrittura?

L’immediato di Kierkegaard e l’inaspettato di Kafka.


Come nasce, in te, una poesia?
Nasce come un essere vivente, dalla memoria genetica e attraversando un’embriogenesi sorprendentemente rapida.


Il poeta parla di ciò che realmente vive o di ciò che vorrebbe ricevere, e che sempre gli sfugge?
A me la poesia sfugge sempre; direi anzi che se il linguaggio non scappa via da me non gli riconosco uno status poetico.  La vita è il pabulum, ciò che inguaribilmente affratella gli uomini e le donne e gli animali e tutto il vivente  nel comune linguaggio della percezione e del sentimento. La vita è dunque veramente tutto, ma la poesia non è vitalistica; ha a che fare con la visione, con il lessico, con gli strumenti linguistici nel loro complesso. Alla visione  ci arrivi –le volte che ci arrivi–  dopo esserti abituato a pensare poeticamente, e cioè molto liberamente: ci arrivi leggendo, ovviamente, e anche attraverso i meravigliosi esercizi di straniamento codificati dai formalisti russi, che sono da sempre familiari ai bambini e agli scrittori ingenui come Poe e come Zanzotto. Per quanto riguarda ciò che vorrei ricevere, torno a dire, con il Kafka dei Diari: l’inaspettato, in forma di figura.


La poesia è salvazione?
No.


A quale gioco della tua infanzia vorresti paragonare la tua poesia?
La mia infanzia mi sembra coincidere con l’infanzia del mondo, tanto è lontana. E dunque: schierare i soldatini di piombo per la battaglia, e subito scompaginarli nella furia dello scontro (la poesia infatti è memoria della forma conchiusa e della figura perfetta, subito contraddetta dalla libera aggregazione delle particelle vive che la costituiscono, per fortuna nel più grande disordine).


Che cosa ti ha insegnato la frequentazione della scrittura poetica?
A cercare, e trovare con sorpresa sempre nuova, le corrispondenze tra i fenomeni biologici e le strutture organizzate e artificiose del linguaggio. Ci sono arrivato piano piano, leggendo i classici e gli antichi.


Qual è il grado di finzione e di mascheramento di un poeta?
La poesia è tutta artificiosa. Se non lo è, non è poesia. Essendo un processo di traduzione da figura percettiva e sentimentale a figura linguistica, esiste nella trasmutazione da vero a vero. Il vero poetico è sempre figura nuova.


Vorresti citare un poeta da ricordare e da rivalutare?
Franco Cavallo.


Qual è il dono che augureresti a un poeta, oggi?


Salvarsi dall’impero della chiacchiera, per approdare al paesino del disegno.


Puoi citare, spiegando perché, un verso che ti è particolarmente caro?
«Nec tu sperne piis venientia somnia portis. Cum pia venerunt, pondus habent» (Properzio). Mi accompagna dal liceo, mi dice l’importanza del buio, e della luce che irrompe.









In alto: To Beauty di Otto Dix [1891-1969]













1 commento:

  1. Grazie Mario per le stupende meditazioni che ci offri sulla poesia per mezzo delle voci che di tanto in tanto proponi, e grazie a Eugenio Lucrezi; in particolare mi colpisce la semplicità e, oso dire, l'immediatezza che emerge dalla profondità culturale che denota il panorama umano del poeta. Molto bella questa affermazione e augurio: "...approdare al paesino del disegno".
    Un caro saluto da Roberto Maggiani

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