In alto: Washing hands, un disegno di Dante Gabriel
Rossetti [1828 –1882]
Mario Fresa
Questionario di poesia (18)
Federica Galetto
Qual è il segreto progetto a cui tende la tua scrittura?
Devo dire, in primis, che il segreto non fa parte della mia scrittura. Tendo a vedere il progetto-scrittura come un work in progress, un cammino esistenziale, un’esigenza di comprensione dell’attimo e dell’insieme. Il tema di una raccolta, per esempio, è in genere suggerito da un manifestarsi costante di pensieri tra loro affini, da eventi che segnano in un modo o in un altro la mia vita in un determinato momento. La mia poesia è ciclica, tanto quanto lo può essere l’esistenza e talvolta anche in maniera maggiore, seguendo io un codice intimamente riconosciuto al quale non posso sottrarmi. Non ho quindi segreti progetti verso cui far tendere la mia scrittura se non, forse, la scrittura stessa che non di rado si dona al mondo in una forma vagamente criptica e poco fruibile nell’immediato, come se ci volessero più letture per “risolvere” i vari strati di cui è fatta.
Come nasce, in te, una poesia?
In genere nasce da un moto interno improvviso e spontaneo. Scrivo senza mai pensare a ciò che scriverò e comporre versi è per me un percorso simile al trance. Scrivo con la percezione precisa di dover ad ogni costo esprimermi, con modalità quasi sempre automatiche e senza riflettere più di tanto. La poesia è già scritta dentro di me ed io devo solo metterla nero su bianco. Quando la voce tace, io taccio. Quando inizia a farsi sentire allora quell’urgenza (perché è sempre un’urgenza) mi obbliga a scrivere. E i versi non li lascio mai “decantare”. Solitamente, una volta scritto un testo quello rimane il testo definitivo e raramente ci ritorno su.
Il poeta parla di ciò che realmente vive o di ciò che vorrebbe ricevere, e che sempre gli sfugge?
Credo si possa dire che il poeta parla di tutte queste cose insieme. Ciò che realmente vive è la carta, ciò che vorrebbe ricevere la penna, ciò che sempre gli sfugge la Poesia. Il Poeta è Poeta sempre. Non ci sono spazi vuoti nella vita di chi scrive, perché ogni attimo è versato nella Poesia, nel continuo tentativo di spiegare il mondo e le sue mille facce. In un laborio incessante la Poesia agisce. Scolpendo, limando, modellando, scannerizzando. La voce poetica è incessante, anche quando pare taccia. Ad essere Poeti non ci s’annoia, semmai ci si stanca.
La poesia è salvazione?
Penso di poter rispondere con un sì pieno a questa domanda. La salvazione è direttamente proporzionale alla perdita. È un miracolo. E i miracoli sono tali in quanto non ce li si aspetta, non ci si ritiene meritevoli di riceverli. Non si chiede salvazione alla Poesia, ma semplicemente essa ce la dona sotto forma di miracoli quotidiani. In un attimo ci si guarda e ci si vede trasformati, pronti per un successivo viaggio, con più strumenti nella sacca, più occhi per vedere, più Bellezza da stringere. Senza preavviso la Poesia ci toglie dal buio e ci regala un posto nella luce intensa della consapevolezza e della Verità. Ogni volta è un salto doloroso ma è anche un approdo sicuro che ci incoraggia a proseguire.
A quale gioco della tua infanzia vorresti paragonare la tua poesia?
I giochi preferiti della mia infanzia sono facilmente riconducibili alla mia Poesia o, se non altro, alla mia attitudine a scriverla. Da bambina tendevo ad interiorizzare ogni cosa e il gioco era per me solo un modo per smetterla temporaneamente con quella pratica a senso unico che mi isolava troppo dal resto. Pur essendo nata e cresciuta in città, trascorrevo molto tempo in campagna, nella casa dei miei nonni e dove oggi vivo. Amavo la natura, i prati, la libertà. Mi piaceva catturare le libellule per poi infilarle in un barattolo di vetro e osservarle. Ma poi le liberavo sempre. Ricordo il pizzico della libellula sul polpastrello, una sensazione che mi riporta alla mente il mio modo di scrivere un verso. Quando non andavo in bicicletta e sui pattini a rotelle scorrazzando pericolosamente, il mio gioco preferito era il puzzle. I tasselli mancanti andavano trovati e posizionati per completare un insieme armonico che appagasse il mio occhio e la mia abilità di ricomporre una Bellezza smembrata. Vedevo poca Bellezza intorno a me e la ricercavo tentando di ricostruirla con i mezzi di cui disponevo. I libri erano un altro gioco a cui non rinunciavo. Leggere mi divertiva come null’altro. Danzare, cantare e inventare storie da raccontare alle amichette erano altri passatempi che amavo. Cosa mai sarebbe potuto venir fuori da una bambina così? Oggi lo so.
Che cosa ti ha insegnato la frequentazione della scrittura poetica?
Mi ha reso autentica. Scrivere per me è stato un atto di fede. Ogni giorno passato a scrivere aggiungeva un tassello in più alla completezza del mio essere. Mi sono scoperta scrivendo, ho capito chi si nascondeva dietro l’apparenza. Ho iniziato a vedere chiaro e a comprendere il perché avevo sempre cercato o prediletto certe cose piuttosto che altre. Per ritornare al quesito precedente, la salvazione è stata anche questa. Una luce che ha illuminato il mio cammino. Questo è stato, è, per me, la Poesia.
Qual è il grado di finzione e di mascheramento di un poeta?
La vera Poesia, secondo me, non si maschera e non finge. Sebbene ogni essere umano prima di essere poeta sia tentato dal mascheramento di se stesso, dalla negazione di ciò che è, ha detto, ha fatto, dalla finzione per vizio, vezzo o difesa, ciò non preclude l’onestà del verso, al quale tendo sempre dare il beneficio del dubbio, perchè credo possa esser scritto anche in funzione di una finalità puramente ermetica o interpretativa. Quando incontro testi del genere non mi fermo alla superficie e tento sempre di guardare meglio. Ma in genere mi accorgo quasi subito se c’è finzione o mascheramento. Poi, gli esteti integralisti, coloro che scrivono unicamente per godere delle evoluzioni della lingua in cui scrivono privilegiando ciò ai contenuti sono i peggiori mentitori. Scrivere Poesia è un’arte, un dono, un talento, ma anche sudore, una fatica che può durare anche una vita intera.
Vorresti citare un poeta da ricordare e da rivalutare?
Vorrei ricordare Roberto Sanesi (1930-2001), poeta e traduttore straordinario. Lo amo molto, anche perché la sua attività di traduttore lo avvicina a me particolarmente, vista la mia passione per la traduzione e la letteratura inglese. Sanesi ha tradotto grandi autori come Eliot, Yeats, Crane, Shelley, Blake, Milton, Donne e molti altri. La sua poesia, per quanto sia stato egli un autore intenso, sperimentale, valido e prolifico, non viene ricordata come meriterebbe. Le sue traduzioni pare invece abbiano lasciato un marchio a fuoco, ed è citato spesso, e a ragione, nei contesti in cui una traduzione poetica cerca giustizia, essendo diventato nel corso della sua vita uno fra i massimi anglisti italiani del secondo dopoguerra. La sua capacità di scrivere Poesia, traducendo, per mano dei grandi interiorizzandola e facendola propria per poi donarla al mondo, ha in se qualcosa di commovente, di eroico. La sua convinzione che si imparasse a scrivere solo scrivendo, l’ampiezza di collegamenti che la sua mente amava dare alle Arti tutte, l’idea che non esistesse ponte che non potesse collegare pittura, poesia, musica e teatro, facevano di lui un moderno e raffinato uomo cinquecentesco.
Qual è il dono che augureresti a un poeta, oggi?
Indubbiamente l’autenticità. Il miracolo della Verità e dell’essere coscienti del proprio arduo compito. Scrivere Poesia è una missione, una vocazione, una responsabilità. E come farlo senza autenticità? Credo si debba scrivere scavando e che ad ogni scavo una buona porzione di terra debba venir gettata via lontano. Ogni giorno, tutti i giorni, per tutta la vita. Con pazienza, fatica, sudore, silenzio e umiltà. Ci vuole forza, ci vuole coraggio. Non importa se ci si impiega un’esistenza intera, e non importa essere bambini prodigio o fiori tardivi. Importa trovare il proprio centro, per quanto profondo esso sia e per quanto duro sia il raggiungerlo.
Puoi citare, spiegando perché, un verso che ti è particolarmente caro?
Dovendo scegliere vorrei ricordare Francesco Marotta e T. S. Eliot. Il primo perché è riuscito più di altri ad entrare nel mio scavo poetico, riuscendo a stabilire un contatto quasi tangibile con la mia idea di scrittura. Il secondo perché rappresenta il rapporto fortemente emotivo che ho con la Natura. In Poesia, spesso mi immergo nei suoi anfratti. Sentendomi io stessa albero e foglia. O Terra desolata.
scrivere è un’ora covata dal destino
la spina che costringe il corpo in reticoli d’albe in piena notte
e punge fruga ricuce orli slabbrati lacera la carne
fino a che sanguinano anche i sogni,
fino a che l’immagine fiorisce in echi di sorgente
gli alfabeti rappresi dentro un grido
Da Fino all’ultima sillaba dei giorni – Hairesis, 2007 di Francesco Marotta
April is the cruellest month, breeding
Lilacs out of the dead land, mixing
Memory and desire, stirring
Dull roots with spring rain.
[T. S. Eliot, The Waste Land – New York, 1922]
Aprile è il mese più crudele, genera
Lillà da terra morta, confondendo
Memoria e desiderio, risvegliando
Le radici sopite con la pioggia di primavera
[La terra desolata - Bompiani, traduzione e cura di Roberto Sanesi]
Una gran bella intervista, con apprezzabili e condivisibili riflessioni sul fare poetico. Splendido il richiamo a Sanesi, un grande troppo in fretta dimenticato. E grazie, Federica, per la citazione: un onore (e un onere) grandissimo.
RispondiEliminaUn caro saluto a te e al nostro eccellente ospite.
Francesco Marotta
Ringrazio Francesco Marotta, l'onore è mio. E il mio gentile ospite Mario Fresa.
RispondiEliminaFederica Galetto