Mario Fresa
Questionario di poesia (16)
Giacomo Cerrai
Qual
è il segreto progetto a cui tende la tua scrittura?
È cambiato nel tempo. Prima forse si trattava di
esplorare la realtà e farne una piccola meditazione, oggi mi piacerebbe fare
una poesia a più dimensioni. In cui, tanto per fare un esempio provocatorio, il
verso agisce come un anello di Moebius. O come una fuga prospettica.
Come
nasce, in te, una poesia?
Per molto tempo è nata da una scheggia, un
frammento, perfino una singola parola o frase che mi capitava di catturare
nella mente. Mi è successo parecchie volte di accendere la luce per appuntare
qualcosa che emergeva in quella zona grigia che si attraversa prima di
addormentarsi. Se al mattino ricordassi tutti i grumi di parole che “sogno”
sarei a posto. In tutto questo però non ho mai rinvenuto, pensandoci dopo,
niente di davvero casuale. Oggi quello che scrivo è molto più progettato, in un
certo senso concettuale. Parto da un’idea, come in Camera di condizionamento operante
o Sinossi dei licheni. E questo porta
quasi inevitabilmente al poemetto o alla sequenza, con qualche problema
collaterale, specie se chi legge è abituato a una poesia fatta di episodi
rapsodici.
Il
poeta parla di ciò che realmente vive o di ciò che vorrebbe ricevere, e che
sempre gli sfugge?
Direi che parla di tutte queste cose e di altro
ancora. Sarebbe già buono se il poeta parlasse di ciò che “vive” in senso lato,
non come mera proiezione dell’io ma come spirito del tempo. Purtroppo non ne
vedo molta in giro di poesia così, vedo, tanto per fare una sintesi del
problema, parecchio indicativo presente che ruota intorno all’io, poco ottativo.
Perché? Proprio perché si tenta di fissare in quello che ho chiamato “eterno
presente” ciò che sfugge. Lavoro inutile.
La
poesia è salvazione?
Direi di no, ci mancherebbe pure questa! Vorrebbe
dire che il poeta è un eletto, l’unico che ha la possibilità di trovare una
qualche “salvezza” nella scrittura. Posso dire però che completare un testo è
una delle cose che mi fanno stare meglio nella vita. E anche come lettore,
leggere una bella poesia mi concilia col mondo e mi rende grato all’autore.
Quindi serenità e amicizia. Che altro desiderare?
A
quale gioco della tua infanzia vorresti paragonare la tua poesia?
Ho passato l’infanzia in un piccolo paese, con le
sue piccole violenze (non quelle di oggi per fortuna). Bande di ragazzi, sassi
e pugni, qualche testa rotta per la conquista di un fosso o di una collinetta.
Poi tornavo a casa e leggevo, leggevo di tutto. La “salvazione” erano le
edizioni economiche Mondadori, Garzanti, Rizzoli. Ora che mi ci fai pensare il
gioco della poesia era (e potrebbe ancora essere) questo nascondino tra due o
più anime in ciascuno di noi, dove chi cerca e chi è cercato si confondono.
Che
cosa ti ha insegnato la frequentazione della scrittura poetica?
Soprattutto che la lingua è uno strumento
estremamente flessibile, lo puoi arricchire o impoverire (alleggerire)
all’estremo. Paradossalmente questo fa sì che non sempre chi ti legge capisca
ciò che “davvero” vuoi dire. E che può essere anche un labirinto senza uscita.
Qual
è il grado di finzione e di mascheramento di un poeta?
Un poeta in genere? Non so se ho capito la domanda,
ma se la intendiamo in senso narrativo direi che il grado è scarso. Almeno qui
in Italia non si pratica molto in poesia né l’immaginazione né la finzione,
entrambe nel senso che dava loro W. Stevens.
Ma può sempre capitare qualcuno che faccia finta di essere un (o si
mascheri da) poeta... Da un punto di vista degli strumenti invece, il grado
dipende da quanto il poeta è capace di utilizzare le peculiarità della lingua
poetica. Si va dalla mimesi lirica alla poesia in prosa al non codice della
asemic poetry. Se poi vogliamo fare una battuta: il grado è tanto più alto
quanto più il poeta riesce a rendere la vira difficile al critico.
Vorresti
citare un poeta da ricordare e da rivalutare?
Diciamo in generale tutti quelli che nel Novecento
l’asse Saba - Ungaretti - Montale - Sereni ha messo un po’ all’angolo. Che so,
Sinisgalli, Bigongiari, Cattafi. Solmi...E poi ripensavo l’altro giorno a
Pasolini, ormai un’icona di cui pochi ricordano un solo verso. Ma i nomi sono
tanti.
Qual
è il dono che augureresti a un poeta, oggi?
Di riuscire a stare all’erta. Perché, come diceva Celan,
«le poesie sono doni per chi sta all’erta. Doni che implicano destino».
Puoi
citare, spiegando perché, un verso che ti è particolarmente caro?
Un finale di Amelia Rosselli: «e se ora tu dicessi /
quel che non convenientemente si dice / in poesia?». Non particolarmente caro,
ma una buona indicazione sul da farsi, anche per le nuove generazioni.
Attenzione a quel “convenientemente”…
In alto, La Carte Amoureuse di François Clouet [1510 –1572]
Bellissimo e fulmineo, solo perché dice il vero?!
RispondiEliminaMPQuintavalla
g.c. resta tra i miei poeti di preferenza..
RispondiEliminaringrazio Mariapia e Roberto per i commenti che non avevo visto.
RispondiEliminaG.