Mario Fresa
Questionario di poesia
(59)
Mariano Menna
Qual è il segreto progetto a cui tende
la tua scrittura?
“Il singolare non è particolare, è
universale”
[Miguel
de Unamuno]
La
mia scrittura ricerca con estrema umiltà l’universale nel singolare, il
paradigma esistenziale nell’occasione, cercando – sempre invano – di
armonizzare questi due elementi: per me, la poesia è una continua tensione tra
l’esperienza e la categoria. Ritengo che sia necessario studiare e – nei limiti
del possibile – rappresentare lo scarto irriducibile che emerge dal loro
rapportarsi, fra somiglianze e differenze irriducibili, per poter seppur
minimamente rappresentare l’autenticità dell’esistenza in poesia.
Come nasce,
in te, una poesia?
Non credo
che via sia un processo chiaro e, dunque, pienamente esplicabile a mo’ di paradigma.
Premettendo dunque come sia complesso dare una risposta esaustiva a questa
domanda – poiché subentrano vari fattori, alcuni forse inconsci -, una mia
poesia nasce solitamente da una certa ‘musicalità’ di fondo che avverto in una
frase e che mi spinge a cercarne il prosieguo: di solito, quella frase resta
sola per giorni o settimane prima di svilupparsi oltre se stessa; è abbastanza
raro che una mia poesia nasca in modo impetuoso, salvo situazioni particolari.
Paragonerei – senza che il paragone possa essere scambiato per un pretenzioso
giudizio di valore – il mio processo creativo all’attività dell’archeologo che
intravede un reperto, ma che deve continuare pazientemente a scavare senza
farsi prendere dalla foga, per evitare che lo stesso reperto possa danneggiarsi.
Un poeta
parla di ciò che realmente vive o di ciò che vorrebbe ricevere, e che sempre
gli sfugge?
Un
poeta può parlare di tutto e non sarò certo io a dire quasi dogmaticamente di
cosa un poeta debba parlare; penso che sia soprattutto il ‘come’ a renderlo poeta. Indubbiamente si è portati spesso – ma non
posso dire se accada o meno a tutti! – al confronto col proprio orizzonte
esistenziale, più o meno liricamente, e dunque ad un dialogo con se stessi e
con ciò che ci riguarda intimamente. Ciò non significa che la poesia non possa tendere
all’ideale o che non possa riferirsi ad un contenuto, per così dire,
‘teleologico’.
A quale gioco della tua infanzia
vorresti paragonare la tua poesia?
Potrei
paragonare la mia poesia semplicemente a se stessa, ma osservata con occhi
diversi, più piccoli e forse più curiosi, visto che ho iniziato a scrivere
‘versi’ per gioco da bambino, senza avere la minima consapevolezza di cosa
fosse la Poesia – se davvero se ne può avere consapevolezza da adulti, in fin
dei conti – e di cosa fossero i poeti, quelle ‘strane creature’ (come li chiama
De Andrè); mi sforzavo di trovare la rima come se fosse una prelibatezza agognata
(del resto, non ho mai perso il mio ‘primo
amore’ per la rima).
Che cosa ti ha insegnato la
frequentazione della scrittura poetica?
Potrà
sembrare scontato e forse anche banale, ma la frequentazione della scrittura
poetica mi ha fatto acquisire una maggiore consapevolezza dell’importanza e del
‘peso’ delle parole, mi ha fatto comprendere come un’attività creatrice come
quella poetica possa portare ad una depénse
dei possibili in grado di colmare di senso il reale, troppo spesso scarno e
frustrante: la poesia è come l’avventura, avrebbe potuto scrivere Simmel, ed io
sarei d’accordo lui.
Qual è il grado di finzione e di
mascheramento di un poeta?
Ritengo
anche in questo caso che si stia parlando di un elemento piuttosto relativo: ci
sono infatti poeti i cui versi rappresentano una pura finzione – che sia una
scelta volontaria o meno –, mentre altri
sono riusciti (o riescono) ad esprimere tutta la propria realtà attraverso la
poesia e a mostrare limpidamente il proprio cœur mis à nu.
Vorresti citare un poeta da ricordare e
da rivalutare?
Cito
tre versi di un grandissimo poeta italiano – campano, aggiungerei – che, pur
essendo famoso, meriterebbe più risonanza (non sta a me dire se debba essere
rivalutato o semplicemente ricordato maggiormente, visto che le due cose
talvolta sono correlate); sto parlando di Alfonso Gatto e la poesia da cui
estrapolo questi versi è “Pianura”:
[…]
Non sapremo mai se lunga, remota
la morte avrà quest’amore
del vento sulla pianura.
Qual è il dono
che augureresti a un poeta, oggi?
Ad
un poeta, oggi, augurerei di non cambiare e di non tradire se stesso a causa
dei giudizi – mai del tutto oggettivi, il che è umano – degli altri, specialmente
dei critici, che sono, appunto, prima di tutto uomini e, in quanto uomini, influenzabili
dall’esterno e soggetti all’errore; la poesia dovrebbe essere soprattutto
espressione di libertà e infarcirla di dogmi o di santoni che propagandano la
propria ‘parola’ come se fosse Vangelo non credo che possa aiutarla.
Puoi citare un verso che ti è particolarmente
caro?
Una
poesia (fin troppo nota) a me molto cara – e citarne un verso non basterebbe:
andrebbe riportata integralmente – è
“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” di Cesare Pavese; se proprio
dovessi estrapolarne un verso, sceglierei:
“Per tutti la morte ha uno sguardo”
“Per tutti la morte ha uno sguardo”
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