Mario
Fresa
Questionario
di poesia
(58)
Alessandro Canzian
Qual è il segreto progetto a cui tende
la tua scrittura?
Parlare di segreto progetto
forse è un po' eccessivo. Quello che posso confessare è un intento, più
o meno riuscito, nell'approcciarmi alla parola scritta e in quanto scritta
anche strutturata. Il mio intento è la definizione e la conseguente
trasmissione di una verità universale e condivisa, o almeno condivisibile, di
una sorta di archetipo similmente alla poesia epica col desiderio di avvisare,
ammonire, nel caso migliore aiutare il lettore in quanto uomo. In senso più
lato vorrei fosse una fotografia/testimonianza del tempo dove qua e là
appaiono piccoli spunti di riflessione, suggerimenti, minimi momenti attivi di
costruzione del mondo e della sua realtà oltre la passività naturale della
fotografia stessa.
Come nasce, in te, una poesia?
In questo devo ammettere che come
autore sono molto limitato. I miei versi nascono da un'esperienza vissuta ed
entro i termini di grandi esplosioni sporadiche di creatività. Inframezzate da
lunghissimi momenti di inattività. La vita vissuta è sempre il momento iniziale
e diventa verso nel momento in cui si collega a un'idea più ampia. Nel momento
in cui diventa metafora, o addirittura allegoria.
Un poeta parla di ciò che realmente
vive o di ciò che vorrebbe ricevere, e che sempre gli sfugge?
Qui
bisognerebbe ben definire cos'è un poeta. O perlomeno mettersi
d'accordo. Perchè oggi abbiamo una gran confusione sul termine e sulla sua
funzione. Io comunque mi sono fatta un'opinione abbastanza netta e vado a
dirla. Il poeta, come l'uomo, deve parlare di ciò che sa sulla base di ciò che
conosce. Poi in questa coscienza/conoscenza delle cose può tentare di dire ciò
che manca. Meglio se ciò che manca all'uomo in quanto tale e non solamente a
lui in quanto singola persona. Resta che il parlare di ciò che manca, di ciò
che sfugge, è un passo molto in là perchè implica la piena conoscenza di
ciò che c'è. E questa non è una cosa tanto banale in fondo.
A quale gioco della tua infanzia
vorresti paragonare la tua poesia?
Oddio
questa è una domanda alla quale temo di non saper rispondere. Più che a un
gioco dell'infanzia potrei appellarmi a due ricordi su tutti che ho vividi. Il
primo vede mia madre in uno scatto d'ira lanciare e rompere contro un muro un
giocattolo che mi aveva comprato pochi giorni prima, e che avevo molto
desiderato. Il secondo mi vede seduto in attesa per ore, nei pomeriggi estivi,
sulle scale esterne della nostra abitazione con una macchinina in mano. Ecco la
mia poesia ha sempre di fronte questo disfacimento di una cosa a cui tieni per
comprendere che tu sopravvivi a quella cosa, che il cerchio che tu credevi di
conoscere era racchiuso dentro un cerchio ben più ampio con tutto ciò che di
positivo e di negativo ne consegue. Ed è una lunga attesa, solitaria, vuota,
che ti pone a confronto con un oggetto, una realtà che hai in mano e che
dovrebbe non farti sentire così solo e vuoto. Ma non basta. E tu continui ad
esaminarla per cercare di capire perchè non basta.
Che cosa ti ha insegnato la
frequentazione della scrittura poetica?
Se
frequentare la scrittura poetica significa semplicemente scrivere,
allora devo dire che non mi ha insegnato nulla se non una certa consolazione
nel creare una cosa più o meno bella e/o riuscita. Quello che insegna è il
leggere, lo scrivere è solo l'ultimo gradino di una scala molto lunga.
Qual è il grado di finzione e di
mascheramento di un poeta?
Come
prima bisognerebbe definire il poeta. Ad ogni modo all'interno del mio
mondo (altri potrebbero essere ben diversi e con altre ragioni) la finzione non
è contemplabile. Per me la poesia è un atto di verità, di sua ricerca. Che poi
il poeta, sempre in quanto uomo, arrivi a fingere a se stesso è un altro
discorso. Fondamentalmente io considero la poesia un atto di onestà perchè solo
su questa base si può sperare di costruire qualcosa di utile al mondo.
Vorresti citare un poeta da ricordare e
da rivalutare?
C'è
un poeta poco letto ma che ho amato fin dal primo incontro: Ferruccio Benzoni.
Per me è stato un po' un padre poetico anche se nel tempo, e come sempre si fa
coi padri, ne ho preso le distanze. Ma versi come Resta una matita tra le
pagine. / Inchiostri interrotti a un capoverso. / Non cambierà il paesaggio, o
in peggio. / Forse è tempo di giungere al faro / struggere del suo baleno, /
rientrare prima che la notte / revochi la certezza di vederti / sfilate le
calze cercare / meno effimero un vuoto / nel vuoto tra le braccia secondo
me andrebbero letti e riletti ancora e per molte volte.
Qual è il dono che augureresti a un
poeta, oggi?
L'unica
cosa che onestamente augurerei a un poeta, quando vero, è l'imbecillità. Essere
poeti significa essere aperti al mondo, alle sue poche cose belle e alle sue
molte molte molte cose terribili. L'imbecillità ti mette al riparo da tutto
questo.
Puoi citare un verso che ti è
particolarmente caro?
Di
versi ce ne sono veramente molti. Dal succitato Benzoni che scrive il tempo
franava aizzando / un etilismo di rimpianti all'ormai inflazionato Montale
quando scrive occorrono troppe vite per farne una. Sicuramente passando
per un Quasimodo quando scrive ai piedi belli con dieci conchiglie. / Ma se
ti prendo, ecco:/ parola tu pure mi sei e tristezza. Ma la lista sarebbe
veramente lunghissima.