Libri di arte, poesia e filosofia

La parola verso proviene dal verbo latino vertere, cioè «capovolgere», in particolare la terra con un aratro. Il verso è allora un solco, una linea dritta in cui l’uomo col proprio lavoro pone i suoi semi che germoglieranno: nel verso, così, convergono la linearità naturale degli eventi e l’impegno fruttifero del pensiero umano.

domenica 10 marzo 2013



Una felice eredità

di Marco Ercolani




Vivere un’immagine affinché altri, anche a distanza di secoli, la vivano a loro volta: ecco un dono che non ha prezzo”. In questa frase di Marco Furia, tratta dalla sua plaquette La parola dell’occhio (Edizioni L’Arca Felice, collana “In Limine”, Salerno 2012), è racchiuso il senso di questo prezioso libriccino, dove l’autore commenta dodici dipinti di pittori classici e contemporanei, viaggiatore innamorato di immagini lasciate a noi in eredità da artisti amici e affini. “Se la conoscenza è il destino dell’uomo, l’arte sarà sempre sua preziosa alleata”. Furia elenca ponti, passi, castelli, vedute, nature morte, come fossero appena visti e subito ricreati dall’innocenza della sua parola, che li descrive e li evoca con elegante stupore: “la parola dell’occhio”. Ripercorre un mondo composito e multiforme dove inventare immagini è atto vitale fertile e inesauribile, che non smette mai di creare, nel presente e nel futuro, gli spettatori di quei dipinti. “Il suo scopo non è quello di approntare una ‘valutazione’ delle loro qualità stilistiche o della loro costituzione formale; il proponimento mira invece a far da coro, potremmo dire, alle medesime vibrazioni avvertite dai pittori nel momento della stessa creazione artistica” (Mario Fresa). Ormai lontano dalle prose acuminate e lancinanti degli esordi, Furia inventa, per sé e per noi, un piacevole e consolante illuminismo che lo rende wanderer, a suo modo walseriano, di capolavori dell’arte visiva, descrivendo la densità dei colori, la percezione dei chiaroscuri, i ritmi delle immagini. “È spesso compito degli artisti” – scrive il poeta genovese – “illuminare aspetti di cui con difficoltà si ammette l’esistenza, rendere palesi lineamenti che di solito si preferisce tenere nell’ombra”. Da Natura morta con stearica rosa di Henri Rousseau a Passo del S. Gottardo dal centro del Ponte del Diavolo di William Turner, da Casa in Provenza di Paul Cézanne al Ponte di Charing Cross di André Derain, da Veduta di Delft di Johannes Vermeer a Scampagnata di Maurice Vlaminck, il poeta descrive con dolcezza assorta le cose dipinte ma scava dentro ogni opera l’”ineludibile esigenza di un’ininterrotta tensione etica ed estetica”. La plaquette si chiude infatti così: “Il grido, talvolta, esprime più della grammatica”.
La verità di questa frase illumina a ritroso l’intero testo. Ci insegna che le immagini del pittore, se sono la gioia che ci nutre, gli “stati di coscienza, nuovi eppure antichi” profondamente radicati dentro di noi anche durante i secoli, sono anche la forma che ci commuove ogni volta come qualcosa di intenso e di nuovo, evento “sublime” ma disponibile, offerto ai nostri occhi attenti e alla nostra coscienza poetica. Furia sfida, in questa breve plaquette, l’egoismo e l’opportunismo dell’artista contemporaneo, e afferma: “L’arte, quella vera, non si dimentica degli altri”. L’arte, infatti, ci percorre sempre, come un vento di cui siamo alleati. E il poeta, il pittore, “ringraziano” chi li ha preceduti e chi li seguirà, in un’ideale comunità di esseri che non appartengono a nessuna legge stabilita, a nessuna ideologia prefissata, e si fanno cenni, con dipinti e parole, da mondi lontani nel tempo ma vicini nell’emozione (“gli artisti sanno guardare lontano”): cenni di amicizia, intimi e universali, che hanno come scopo soltanto la bellezza comune delle opere e del loro crearle: “La coscienza di un uomo può raggiungere dimensioni davvero immense e il gesto cosciente non soltanto rappresenta, soprattutto è”.    




La parola dell'occhio



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