Libri di arte, poesia e filosofia

La parola verso proviene dal verbo latino vertere, cioè «capovolgere», in particolare la terra con un aratro. Il verso è allora un solco, una linea dritta in cui l’uomo col proprio lavoro pone i suoi semi che germoglieranno: nel verso, così, convergono la linearità naturale degli eventi e l’impegno fruttifero del pensiero umano.

venerdì 8 marzo 2013

Una lettera di Giovanni Infelíse





Pubblichiamo questa lettera di  Giovanni Infelíse dedicata a Marco Furia e a La parola dell'occhio.






Caro Marco,

ho letto La parola dell'occhio col piacere di chi ha sperimentato per conto proprio la vicinanza quasi intima tra pittura e poesia, tra il linguaggio delle immagini e quello delle passioni. Una vicinanza destinata a rimanere viva negli "scritti" di chi non ha resistito al richiamo di un "canto" che è anche un "colore".
I tuoi scritti sono volti a riscoprire il valore della parola "dipinta" attraverso l'interrogazione, il cui obiettivo è cogliere l'essenziale e tutto ciò a cui esso rimanda, unendo in un delicato sincronismo sguardo-pensiero-parola.
Una sorta di esplicitazione dell'atto artistico (pittorico) attraverso l'immediatezza del vedere (del visibile), il cui campo trascende il limite puramente fisico di ciò che è osservato attirando l'attenzione del lettore con una minuziosa e fedele introspezione/osservazione che incanta e fa rivivere l'opera medesima quasi fosse poesia.
Si tratta di una ricostruzione a posteriori che parte sì da un significato generalmente accertato, storicamente noto, ma che si arricchisce di continuo con l'aggiunta di un significato ulteriore e del tutto paradigmatico che riguarda non tanto la valenza di un giudizio artistico in sé sufficientemente condiviso, quanto il risultato di una riflessione itinerante affidata interamente all'"occhio poetico".
Un'esperienza in cui sintesi e conoscenza costituiscono il cardine di una coesistenza nell'arte di poesia e pittura. Cosa non nuova, certo, ma di cui sei ben consapevole. Ne consegue, pur nella sua essenzialità, un esercizio critico di tutto riguardo.
Ciò che in particolare colpisce, in questi tuoi "quadri poetico-pittorici" è, insomma, la loro capacità di condurre lo sguardo alla ricerca attenta di particolari, il cui insieme rende quasi trasparente la natura più intima dell'opera di volta in volta considerata.
Ne viene fuori, quasi, un allestimento di "scenografie concettuali", il cui filo conduttore è il frangersi della luce, il suo ritrarsi in prossimità di oscurità incombenti, il suo confondersi, il suo modularsi, il suo oltrepassare i confini stessi di forme e cose proprie di una realtà silenziosa e immanente, di una sostanza cioè nascosta che non è dato cogliere al di là della sua più profonda qualità o "anima": tutto è visibile dall'esterno, ma non ciò che presiede all'esistenza dell'opera medesima (dell'oggetto rappresentato) che a questo proposito acquista un valenza primaria rispetto all'oggetto in quanto tale.
Da un punto di vista teleologico, credo che il tuo tentativo, peraltro riuscito, sia stato quello di ritagliarti un posto d'osservazione privilegiato in quel teatro nascosto che è l'essenza stessa delle opere da te scelte. Parlando con lo "sguardo" più che con la "parola", di cui ti servi, a conti fatti, più per rendicontare ciò che è percepibile che per rivelare volutamente e pienamente ciò che, tu sai, non può avere residenza in un luogo diverso da quello in cui naturalmente dimora, fosse anche la parola di un poeta il quale resta per ciò stesso fedele al suo mandato di osservatore discreto, privilegiato sì, ma pur sempre ospite.
Grazie per questa lettura "improvvisa".

Un affettuoso saluto
Giovanni Infelíse




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