Mario Fresa
Questionario di poesia (47)
Antonio Melillo
Qual è
il segreto progetto a cui tende la tua scrittura?
Cercare un’opera limite, nella quale riporre non solo il
segreto della creazione dell’opera, ma di tutta l’esistenza umana; una siffatta
opera porta con sé qualcosa di mitico, di primitivo e generativo. Ciò conduce
al desiderio di creare un’opera aberrante, che non sia mai stata scritta e che
tutti hanno desiderato di scrivere; tale tensione desiderativa si rifà
all’etimologia latina della parola desiderio: sentir la mancanza delle stelle;
la poesia è questo: una ‘protensione’ verso le stelle che descriva e spieghi
l’esilio dell’uomo sulla terra. La mia scrittura quindi è positiva, poiché è
umanistica, nel senso che non scompare l’uomo dietro al fatto creativo o dietro
al tentativo d’essere avanguardistica; inoltre trattiene un rapporto profondo
col mondo; ciò porta alla creazione di opere che, in quanto mitiche, hanno una
struttura narrativa: si descrive la vicenda umana dell’homo viator che spesso
si percepisce deerratus.
Come
nasce, in te, una poesia?
La mia poesia nasce dall’osservazione della realtà e da un
sentimento di nostalgia; è un pensiero che diventa carne nelle parole, che
parte da una tradizione e che viene come un’illuminazione, ma prima di prender
forma nel linguaggio poetico subisce un labor limae, un lavoro artigianale
lungo ed estenuante che ha come fine la creazione artistica.
Il
poeta parla di ciò che realmente vive o di ciò che vorrebbe ricevere, e che
sempre gli sfugge?
Il poeta, attraverso quello che vive, parla di ciò che
vorrebbe raggiungere, ma spesso gli sfugge, quindi riesce a dire soltanto per
frammenti, per epifanie, poiché ogni poesia si slancia verso un futuro ignoto:
è un conflitto immanente tra razionale e irrazionale che tende alla
trascendenza.
La
poesia è salvazione?
È un tentativo di salvazione; le poesie possono essere dei
messaggi di salvezza; ma lo sono soltanto in potenza, perché vi è la libertà
del lettore nel recepirli, ma vi è anche l’impossibilità del poeta di esprimere
per intero il messaggio che risulta espresso solo frantumato.
A quale
gioco della tua infanzia vorresti paragonare la tua poesia?
Ad una giostra che ruota su se stessa, che si ripete nel
tentativo di fare uno scarto rettilineo, possibilmente verticale.
Che
cosa ti ha insegnato la frequentazione della scrittura poetica?
Mi ha insegnato ad avere un fermo punto di osservazione
sulla realtà, mi ha insegnato che la ricerca dell’uomo deve essere strutturata
tra le mura del mondo se si vuole trascendere, quindi mi ha insegnato che il
raggiungimento del quid che si ritrova aldilà dell’esistenza terrena non è da
ricercare attraverso un’ascesi o un puro ed esclusivo desiderio di trascendenza
che rifiuti la terrestrità.
Qual è
il grado di finzione e di mascheramento di un poeta?
Il grado di finzione o mascheramento di un poeta è pari a
zero: il romanziere può assumere diverse maschere, il poeta no, poiché la
poesia, essendo una supplica rivolta al mondo a Dio e al lettore, diviene un
coeur mis a nu.
Vorresti
citare un poeta da ricordare e da rivalutare?
Carlo Betocchi, perché ha quell’apertura profondamente razionale
all’essere che scaturisce da un amore alla vita per nulla artificioso e del
tutto naturale; egli è stato capace di plasmare un linguaggio
ontologico-creaturale ed etico.
Qual è
il dono che augureresti a un poeta, oggi?
Di avere dei lettori che abbiano la pazienza e la lentezza
per leggere i suoi versi.
Puoi
citare, spiegando perché, un verso che ti è particolarmente caro?
Solo e penso i più deserti campi, perché vi è quel
soliloquio del pensiero e della parola che descrive al meglio la situazione
dell’uomo moderno: disperatamente cerca una solitudine estremista fatta di
silenzio e deserto, di non-parole e non-luogo per fuggire il caos della vita
quotidiana e la pressione che viene dalla mancanza di senso di una vita così
portata avanti.
In alto, un dipinto di Bartolomé
Esteban Pérez Murillo (1618-1682)
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