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La parola verso proviene dal verbo latino vertere, cioè «capovolgere», in particolare la terra con un aratro. Il verso è allora un solco, una linea dritta in cui l’uomo col proprio lavoro pone i suoi semi che germoglieranno: nel verso, così, convergono la linearità naturale degli eventi e l’impegno fruttifero del pensiero umano.

martedì 4 ottobre 2011

questionario di poesia (19)






Mario Fresa
Questionario di poesia (19)



 Mauro Germani









Qual è il segreto progetto a cui tende la tua scrittura?
Ho sempre pensato che si scrive ciò che non si può dire. Credo che nella scrittura ci sia una tensione verso l’indicibile, che poi significa l’esistenza stessa, in quanto sfugge alla parola. C’è sempre uno scarto tra parola ed esistenza e tuttavia il mio tentativo è di ridurlo al minimo, tenendo sempre presente ciò che sosteneva Edmond Jabès: dietro ad ogni parola ce n’è sempre un’altra ed è proprio verso quest’ultima a cui tende la poesia. Non credo ci sia un  progetto nella mia scrittura all’infuori di questo, oppure se c’è è davvero segreto ed io non posso scoprirlo. Forse potrà rivelarsi alla fine, quando non scriverò più, perché in fondo non è mai completamente nostro il progetto di scrivere …

Come nasce, in te, una poesia?
Direi che nasce da un’attesa, da un silenzio e da un ascolto. Attendo che giunga a me la parola da custodire, da mettere sulla pagina. Ed è proprio facendo silenzio che riesco ad ascoltarla. So che verrà dopo un’esperienza, una riflessione, un dolore, oppure un desiderio. È la volontà di scrivere la vita ed il suo mistero, di coglierne l’essenza, la sua parte nascosta, quella che è in noi, nella nostra carne.

Il poeta parla di ciò che realmente vive o di ciò che vorrebbe ricevere, e che sempre gli sfugge?
Entrambe le cose. Ciò che si vive è anche ciò che ci manca, che non c’è. Per me non c’è mai pienezza. E la realtà - la mia stessa realtà - è drammaticamente anche scissione e a volte vuoto. Artaud  affermava che la poesia nasce non da ciò che c’è, ma da ciò che ci manca. Io aggiungo che ciò che c’è è comunque mancanza. L’esistenza è conquista e perdita insieme, come il corpo.

La poesia è salvazione?
No, credo proprio di no, anzi … Non si può pensare di salvarsi scrivendo. Scrivere non ha mai salvato nessuno. Dirò di più: spesso chi scrive non sa vivere e si affida alla scrittura per accorgersi poi che anche questa è comunque un fallimento, anche quando tocca vertici altissimi.

A quale gioco della tua infanzia vorresti paragonare la tua poesia?
Più che a un gioco, la paragonerei ad uno stato d’animo della mia infanzia. Ricordo che mi svegliavo in piena notte e fissavo il buio intorno a me, nel silenzio, rimanendo immobile nel mio letto. Quel buio mi affascinava e mi intimoriva allo stesso tempo. Nascondeva un’altra realtà, forse più vera, ma ignota. Ecco, credo che la mia poesia aspiri ad essere un corpo notturno, che sappia stare con la notte, con il buio, ad occhi asciutti.

Che cosa ti ha insegnato la frequentazione della scrittura poetica?
Forse una certa umiltà, la consapevolezza di un esercizio lungo, che ha tempi tutti suoi. Una specie di compito da eseguire, una forma di obbedienza all’ignoto che è in me, che è nel mondo.

Qual è il grado di finzione e di mascheramento di un poeta?
Prima di tutto nei versi si deve sentire l’esistenza, il suo dramma, si deve sentire la verità di una parola che tenta di incarnare tutto questo, altrimenti è solo un gioco verbale, magari abile, ma fine a se stesso. Il poeta c’è e non c’è, ma deve restare la parola, quella sì, a testimoniare quella spinta, quello slancio, quella lacerazione da cui nasce. La cosa straordinaria è che anche la finzione, anche il mascheramento possono assolvere questo compito. Anche la finzione può essere dramma. Per quanto mi riguarda non so dire il grado di mascheramento in ciò che scrivo. Dovrei sapere bene cosa c’è dietro l’eventuale maschera …

Vorresti citare un poeta da ricordare e da rivalutare?
Da ricordare direi Giorgio Caproni, da rivalutare Bartolo Cattafi. Tra gli stranieri vorrei citare Georg Trakl e poi Georges Bataille, pensatore e poeta estremo.

Qual è il dono che augureresti a un poeta, oggi?
Che le sue parole siano capaci di restare, al di là di quanto di effimero è presente nella nostra società, al di là delle letture pubbliche, delle presentazioni, delle iniziative editoriali. Che le sue parole diventino importanti per qualcuno oggi e nel futuro.

Puoi citare, spiegando perché, un verso che ti è particolarmente caro?
L’inizio della poesia La vertigine di Pascoli: “Uomini, se in voi guardo, il mio spavento/ cresce nel cuore. Io senza voce e moto/ voi vedo immersi nell’eterno vento”. Mi ha sempre colpito questo spavento nei confronti degli uomini e della vita stessa. I pronomi personali “voi” ed “io” rivelano tutta la solitudine del poeta, che vive una sorta di sdoppiamento, in quanto è al contempo osservatore ed osservato: il destino degli uomini barcollanti sull’ “aerea terra” è infatti anche il suo. È una poesia che parla dell’assenza di gravità, di questo mancare dell’uomo a se stesso. Per questo mi è molto cara.










In alto, Orange Outline di Franz Kline [1910 – 1962]





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