Libri di arte, poesia e filosofia

La parola verso proviene dal verbo latino vertere, cioè «capovolgere», in particolare la terra con un aratro. Il verso è allora un solco, una linea dritta in cui l’uomo col proprio lavoro pone i suoi semi che germoglieranno: nel verso, così, convergono la linearità naturale degli eventi e l’impegno fruttifero del pensiero umano.

martedì 12 febbraio 2013

su Adolescenza di Massimo Dagnino




Nell’ultimo lavoro di Massimo Dagnino, la plaquette Adolescenza uscita per le “Edizioni L’Arca Felice”, ci si può trovare davanti ad un’opera sfuggente, dalla doppia lettura; vera opera d’arte in tutto dai disegni che l’accompagnano fino alla rilegatura. Come scrive nell’introduzione Maurizio Cucchi, Dagnino muove il suo lavoro attraverso profonde ossessioni e la costante precisione e progettualità sia nel disegno che nella forma poetica. L’attività di Dagnino ha sempre viaggiato su due binari paralleli; lo stesso libro propone due varianti, due versioni previste di possibile Adolescenza. Quella dei disegni che riproducono in maniera perfetta dettagli e luoghi: campi da calcio, reti, vie cittadine, vegetazioni; e l’altra, la riproduzione più incostante, attraverso le parole, con la poesia, grande medium, che è portatrice anch’essa di immagini, di biografie altrui. La poesia come canale d’eccellenza per l’apertura verso il mondo, verso la vita, quindi passaggio obbligato, semplice traccia da non ricordare, come l’adolescenza stessa, il momento di intenso slancio verso l’età adulta, luogo di ribellione e seduzione: «Tuttavia soffriva di tendinite, di crampi./ Detestava l’educazione/ tecnica./ Gli ormoni, l’herpes,/ aumentavano i tic,/ non era neanche più/ anaffettivo./ Irretito dal giorno che involve fra binari/ in simbiosi con oleandri, osserva/ ombre proprie/ di corpi nell’agglomerato.»
La bravura di Dagnino consiste nel riuscire a riprodurre attraverso il disegno di poche foglie o rami un intero mondo, uno spazio riuscito. Come ogni buon disegnatore, sa costruire un universo di significati a partire dalla sola rappresentazione che l’occhio offre, dal continuo sprofondare dell’immagine attraverso la materia, i corpi, attraverso un paesaggio studiato, memorizzato, da riprodurre come continuo schermo di realtà scomposta in ossessioni, sentimenti e ansie. Le frazioni, gli sbalzi e la continua tensione dei frammenti in equilibrio audace rendono queste poesie testimonianza di precisione: «Alcune carte mentali/ corrispondono a quelle topografiche,/altre sono distorte (ma sempre utilizzabili)/ e alcune, infine, non hanno riscontro con la realtà.» Declinarsi in un passaggio così difficile come l’adolescenza, proiettare verso l’esterno sensazioni, regredire dallo status di adulto per ripiombare attraverso l’esperienza di altri nel proprio vissuto, è per Dagnino un isolarsi dal caso, dalla propria rappresentazione. Quindi nessuna maschera del quotidiano o teoria, in queste poesie il vissuto, il momento, vengono rintracciati e assimilati dall’esterno come spettatori eccessivi e convincenti. L’ispirazione viene dal soggetto, ma anche dall’oggetto guardato, spiato. Ogni poesia è spiare la realtà, renderla vera per pochi attimi: «Si chiedeva se l’avesse ancora/ pensato. Mi obbliga/ l’immagine eversiva in sogno./ Il volto inspessito dall’ombra./ Nella stessa notte, i giorni cerchiati/ sul calendario./ Aveva esitato.»
Nello stesso periodo Massimo Dagnino ha pubblicato, nell’ultimo numero di Nuovi Argomenti, Ipercinetismo, una parte di quello che dovrebbe essere l’intero progetto-libro di Adolescenza. In questa sezione i “protagonisti” vivono gli allenamenti, le partite di pallone, come stati d’ipnosi, in una confusione di riflessi e movimenti, come fossero immobilizzati nelle proprie visioni. Sicuramente tutto questo si può ricollegare ad una particolare poesia all’interno della plaquette: «La giornata si perde in mete./ Gli sarebbe piaciuto ricordarlo/ intatto il tiro a piattello / infossato nel verde./ Ma nella sua testa il “prato fierissimo”,/ la pressione del parlato/ lo distoglie.» La ricerca sia linguistica che formale del lavoro di Massimo Dagnino, tende alla compressione degli elementi, a particolari smossi, a realtà fuori scena che si sovrappongono: «Lo sciroppo/ di rose rappreso inutilmente sull’agenda/ compressa in conti/ che mi riguardano./ L’angolo della Bank of England si fa Tempio di Vesta;/ nelle sale d’aspetto immagini deformate/ dai vetri. Vivo all’interno/ di una separazione.»
Come non ricordare l’amore dell’autore per le “Architetture” fra metropoli e antichità o la realtà virtuale di cui era intriso il primo bellissimo libro di Dagnino Verso l’annichilirsi del disegno.

Vivere all’interno di una separazione non è la non comprensione di sé, la non unità e unicità ma l’essere fedeli a se stessi, vivere nella scomposizione, nelle diversità degli stili scelti, per esprimersi interamente fra disegni e poesie.



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