Recensione di GIUSEPPE MANITTA
Mario Fresa |
Siri Nergaard nell’introduzione al volume
miscellaneo “Teorie contemporanee della traduzione”, uscito per Bompiani in
ristampa nel 2014, sostiene che sia opinione di molti considerare la traduzione
alla stregua di una riproduzione identica dell’originale. Leggendo le
traduzioni di Mario Fresa confluite nel suo recente libro “In viaggio con
Apollinaire” (con disegni di Massimo Dagnino, edizioni d’arte L’Arca Felice),
ci viene in mente per contrasto il passo appena citato e, in contemporanea,
un’operetta un po’ più antica: il “De interpretazione recta” di Leonardo Bruni.
A distanza di oltre cinquecento anni (l’opera bruniana è databile tra il 1420 e
il decennio successivo), il problema-traduzione come fedeltà e interpretazione
permane e, in alcuni casi, con i medesimi termini. I testi di Mario Fresa,
dunque, prima ancora che essere letti come semplici traduzioni debbono essere
considerati secondo il loro valore letterario, individuando il “senso” che
l’autore ne vuole dare. Sarei molto cauto nel definire “tra-ductio” quanto
Mario Fresa ci offre, ma mi riferirei ai suoi testi nel termine di imitazioni,
come riappropriazione di Apollinaire, perché non possiamo sottovalutarne la
correlazione con altri testi e il ripensamento in un contesto altro (Bachtin).
I versi vanno oltre, dunque, il “trans-ducere”, ma vivono di una luce propria,
potremmo dire cogliendo l’anima del loro archetipo. Questo è il valore che
Mario Fresa ci permette di cogliere, a mio avviso.
Continua a leggere l'articolo qui