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La parola verso proviene dal verbo latino vertere, cioè «capovolgere», in particolare la terra con un aratro. Il verso è allora un solco, una linea dritta in cui l’uomo col proprio lavoro pone i suoi semi che germoglieranno: nel verso, così, convergono la linearità naturale degli eventi e l’impegno fruttifero del pensiero umano.

sabato 4 gennaio 2014



CRISTINA ANNINO


 Poco prima di notte










Maurizio Cucchi su Cristina Annino



Già al primo approccio, queste nuove poesie di Cristina Annino sorprendono e coinvolgono per la loro viva concretezza, per la fisicità umorale che le attraversa dando loro un’energia davvero insolita. È davvero difficile, nel panorama attuale della nostra poesia, trovare esiti testuali di questa felicemente ruvida originalità: un’originalità, tra l'altro, del tutto priva di ricercatezze o di astuzie letterarie, che emerge con naturalezza perché frutto di un modo alquanto singolare di leggere il reale, di porsi in utile attrito con le cose.
Cristina Annino, in un certo senso, compone poesie che appaiono come particolari eventi, testi che si offrono al lettore come vicende aperte e chiuse, come episodi autonomi nei quali soffermarsi e muoversi in perlustrazione attiva nel dettaglio, non tanto in cerca di una ricostruzione logica e lineare dei dati referenziali, naturalmente, quanto per abitarli godendo della loro consistenza pressoché oggettuale, dell'incisività anche aggressiva della parola.
Esseri umani e animali popolano questi versi con uguale diritto; si agitano, in sofferenza o gioia, in paesaggi vari; balbettano maldestri la loro vita e la loro condizione; sono personaggi mossi dal poeta che non si manifesta. E infatti, tra i requisiti tipici della poesia di Annino, fin dal suo primo apparire, è proprio la presenza nascosta dell’io, la sua discrezione, la sua capacità di celarsi, di mettersi in disparte o camuffarsi per lasciare più libertà ai personaggi stessi sulla scena. La scena, appunto. Dove la poesia diviene uno spazio come teatrale in cui il poeta allestisce la complessa dinamica dei suoi episodi.
Non voglio dilungarmi oltre, proprio perché i testi di Annino possiedono un corpo vivo, il quale, più che descritto o commentato, esige di essere conosciuto in presa diretta, creando con l’interlocutore un rapporto personale ogni volta irripetibile.
Una sola cosa voglio aggiungere, necessaria: Cristina Annino è una voce rilevante della nostra poesia, e dunque ricominciamo a leggerla con interesse e ne saremo sicuramente ripagati.

                                                                        






Cristina Annino, nata ad Arezzo, vive e lavora a Roma. La sua prima raccolta poetica, uscita con il nome Fratini, è Non me lo dire, non posso crederci (Tèchne, Firenze, 1969). Tra i suoi libri: Ritratto di un amico paziente (Gabrieli, Roma, 1977), il romanzo Boiter (Forum, Forlì, 1979), Il cane dei miracoli (Bastoni, Foggia, 1980), la prima edizione di Madrid (Corpo 10, Milano, 1987), Gemello carnivoro (Faenza, 2001), Casa d’Aquila (Levante ed., Bari, 2008), Magnificat (Puntoacapo, 2009), Chanson turca (LietoColle, 2012), Madrid (seconda edizione, Stampa2009, Azzate, Varese, 2013). È presente nell’antologia Nuovi poeti italiani n. 3 (Einaudi, 1984) a cura di Walter Siti. Da qualche anno si dedica anche alla pittura con apprezzamenti notevoli e personali in Italia e all’estero.




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