Una lettera di Silvia Comoglio dedicata
al libro La parola dell'occhio di Marco Furia (Edizioni L'Arca Felice)
al libro La parola dell'occhio di Marco Furia (Edizioni L'Arca Felice)
Marco carissimo,
splendido
La parola dell’occhio. O meglio,
lasciamelo dire, la tua parola del tuo occhio. Una parola che abita profondità
intime e feconde e che tu sai far affiorare con gradualità, perché tutta,
interamente, possa dirsi. Un movimento che comincia da un ponte, due donne o
una luce nebbiosa, da un’esperienza contemplativa, e che alimenta la coscienza,
e l’esserci e la memoria, per farsi atto del conoscere e sapere. La tua
sensibilità e la tua interiorità, con la loro ricchezza e la ricchezza delle
impronte lasciate dal ricordo e dall’apprendimento, guidano questo movimento. Nel luogo dove
forse meno la si attendeva si coglie e accoglie la conoscenza. Un’epifania, o
un piccolo miracolo se vuoi, possibile soltanto per la tua capacità di
interiorizzare e elaborare, per la tua disponibilità e forza di guardare in te
stesso e di accogliere tutte le potenzialità del tuo essere e esserci, e di
saperle tradurre in atti conoscitivi dicibili e condivisibili. Vivi e
respirabili.
Ho amato molto,
Marco, seguirti nelle tue riflessioni. Vedere come tutte le gradazioni del
colore e delle forme, e poi della parola e della conoscenza si dispiegano. Dato
oggettivo, dubbio sul dato oggettivo ( Questa non è una pipa), fiaba ( è da lei
che bambini cominciamo un viaggio che ci condurrà verso sistemi scientifici e
filosofici decisamente molto più complessi), coscienza, essere e memoria. E
naturalmente linguaggio. Gli oggetti sulla tela ci vengono restituiti, tu ce li
restituisci, come parole e ne cerchi il loro valore e senso primario, la loro
etica, la tensione che si fa grido, quel grido che, come tu giustamente dici,
talvolta esprime più della grammatica. E
poi non voglio dimenticare un’altra conoscenza di cui ci parli, una conoscenza
direi non intellettiva ma biologica e
della natura. Quel tipo di conoscenza che ci insegna la quiete, l’armonia, il pericolo, lo stare
all’erta.
La parola
dell’occhio, posso dirlo Marco?, uguale a La parola dell’anima. Perché se il
tuo occhio non si identificasse con la tua anima non saprebbe certo interiorizzare così
intensamente un dipinto. Poi ci sono le elaborazioni, le riflessioni, la
trasmutazione di cui parla Mario Fresa, ma la dimensione di quanto contemplando
hai interiorizzato e da cui ti sei mosso per guardare e far guardare lontano
questa è solo intimamente tua. Tua, di te uomo e poeta.
Sai, avrei
dovuto aspettarmelo questo tuo lavoro. E’ la naturale continuazione del tuo
percorso. Poesia, poesia visiva, la parola dell’occhio. Un percorso che
continuerà ancora, probabilmente tu sai già come, e che io sono qui in attesa
di scoprire.
Marco, grazie
per La parola dell’occhio, ora aspetto il nuovo lavoro che verrà, intanto un
caro abbraccio sperando di poterci vedere presto.
(lettera del 10 - 2- 2013)
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