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La parola verso proviene dal verbo latino vertere, cioè «capovolgere», in particolare la terra con un aratro. Il verso è allora un solco, una linea dritta in cui l’uomo col proprio lavoro pone i suoi semi che germoglieranno: nel verso, così, convergono la linearità naturale degli eventi e l’impegno fruttifero del pensiero umano.

lunedì 29 aprile 2013

Luca Ariano su David Eloy Rodríguez






David Eloy Rodríguez 

Il desiderio è un ospite 

cura e traduzione di Lorenzo Mari 

con una litografia di Marco Vecchio 

(Edizioni L’Arca Felice)



Abbiamo conosciuto Lorenzo Mari come uno dei giovani poeti più promettenti del panorama italiano con la raccolta Minuta di silenzio (2009) ed ora lo vediamo nella veste di traduttore dallo spagnolo; Il desiderio è un ospite è una plaquette del poeta sivigliano (anch’egli giovane, nato nel 1976) David Eloy Rodríguez stampata per le Edizioni l’Arca Felice con una litografia di Marco Vecchio. In questa plaquettina troviamo quattro poesie che subito si segnalano per la loro originalità e per lo sguardo verso una realtà a tratti  surreale: “Il problema adesso  / è che ci sono molte guardie / e pochi matti. / Il problema adesso  / è che la gabbia si trova / nelle interiora dell’uccello, (El problema ahora / es que hay muchos vigilantes / y pocos locos. / El problema ahora / es que la jaula está  / en el interior del pájaro.)” Poesia che, pur con uno stile proprio e ben preciso, talvolta può ricordarci la poesia di Lorenzo Mari e qui ci si può chiedere se è solo un’affinità poetica o Mari penetra talmente dentro la poesia di Eloy Rodriguez un po’ come Fortini con Brecht. La prima poesia (Ospitalità, Hospitalidad) è forse la poesia più lirica della plaquette come si può notare nei primi versi: “La risata profuma di radice e di cielo sereno, / conosce tutto quello che conoscono le lucciole. [...] (La risa huele a raíz y a cielo despejado, / sabe todo lo que saben las luciérnagas [...]” ma il finale vibra spiazzando il lettore: “In quel momento tutti fummo legno / dello stesso albero che nessuno, / mai, sarebbe riuscito a potare. (Fuimos todos entonces madera del mismo árbol que nadie, / nunca, conseguiría talar.” L’ultima poesia, Patti infranti, promesse non mantenute, è un chiaro riferimento alla poesia di Kavafis rivista in chiave contemporanea con gli occhi del poeta andaluso: “Gli invasori ubriachi avanzavano / innaffiando i campi di sale. / Ci bruciavano gli occhi, / ci lasciavano ciechi. / Non erano questi i barbari / che chiedevamo. (Avanzaban los invasores borrachos / regando los campos con sal. / Nos quemaban los ojos, / nos dejaban ciegos. / No eran estos los bárbaros / que nosotros solicitábamos.)” Da queste poche poesie, sicuramente pensiamo di trovarci davanti ad un poeta molto interessante che aspettiamo di leggere in una raccolta intera, magari ancora tradotta con la bravura di Lorenzo Mari che attendiamo a nuove prove di traduttore e di poeta.


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