Mario Fresa
Questionario di poesia
(54)
Gianluca D'Andrea
Qual è il segreto progetto a cui tende la tua
scrittura?
Non c’è un
progetto, figuriamoci un segreto.
Come nasce, in te, una poesia?
Non posso
esprimermi in termini di nascita perché la vita è più forte di ogni scrittura,
ne sovrasta la possibilità di senso e individuazione. Non si ferma un flusso,
si prendono appunti sul tempo per accumulo e scandaglio.
Un poeta parla di ciò che realmente
vive o di ciò che vorrebbe ricevere, e che sempre gli sfugge?
Parla di sfuggita
di una realtà vissuta, nel vincolo del desiderio, al limite – o al limine – di
un’apertura potenziale.
A quale gioco della tua infanzia vorresti paragonare
la tua poesia?
Costruivo,
manipolavo, creavo ambienti. La parte dirompente, veramente critica, è la
conclusione. I mondi dovevano conflagrare e spegnersi. Riflettevo sul vuoto e
non ne ero consapevole.
Che cosa ti ha insegnato la frequentazione della
scrittura poetica?
Il ritmo della nostra
esistenza non fissabile e a stento percepibile.
Qual è il grado di finzione e di mascheramento di un
poeta?
Non afferriamo
il limite, la soglia di finzione che è costitutiva del nostro essere.
Vorresti citare un poeta da ricordare e da
rivalutare?
Bartolo Cattafi,
non da ricordare ma da rivalutare di certo.
Qual è il dono che augureresti a un poeta, oggi?
Riuscire a
mantenere un contatto con la parola o distruggerlo definitivamente.
Puoi citare un verso che ti è particolarmente caro?
“Nothing that is not there and the nothing that is” di
Wallace Stevens.
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