Massimo Dagnino
Adolescenza
Di
Massimo Dagnino ho sempre apprezzato alcune precise caratteristiche, quasi
ossessive, e soprattutto in grado di determinarne e muoverne efficacemente il
carattere. Due in particolare, presenti nel suo lavoro poetico come nei suoi
disegni: la precisione del segno e la progettualità, sotterranea quanto
decisiva, che dà valore di unitarietà alle sue composizioni, pur realizzate per
frammenti. Tutto questo si ritrova perfettamente anche nei nuovi sviluppi del
suo operare, dove la concretezza fisica dei luoghi e delle immagini risponde a
quel tanto di sottilmente enigmatico disegno che li percorre. Il lettore non
può, allora, non essere affascinato dal vivo attrito con la materia – ma la
materia, anche, inerte o sporca – che si manifesta in ognuna di queste
composizioni, quasi in ogni testo, e che sembra come fotografata in luoghi al
tempo stesso marginali quanto emblematici della “fatica”, dall’utile disagio
dell’uomo nel suo rapporto con le cose, con la resistenza del mondo esterno.
L’adolescenza - che è, dopo tutto, ambigua condizione di passaggio e dunque
ancora carica di virtualità nella nostra esperienza – ci viene suggerita come
momento chiave di questa suite; e il senso del passaggio, dell’inoltrarsi verso
qualcosa che è sempre, almeno in parte, ignoto, viene introdotto qui dal
poeta-artista attraverso alcuni precisi elementi, come il binario, il treno che
va, la sala d’aspetto. E insieme il vivo squallore del paesaggio e il senso di
inadeguatezza o di ferita sempre misteriosamente aperta di chi vive
“all’interno / di una separazione”.
Poeta solido, Massimo Dagnino, per
motivazioni profonde e forma. Poeta tra i più originali e maturi della generazione
degli oggi quarantenni.
Maurizio Cucchi