Libri di arte, poesia e filosofia

La parola verso proviene dal verbo latino vertere, cioè «capovolgere», in particolare la terra con un aratro. Il verso è allora un solco, una linea dritta in cui l’uomo col proprio lavoro pone i suoi semi che germoglieranno: nel verso, così, convergono la linearità naturale degli eventi e l’impegno fruttifero del pensiero umano.

domenica 27 novembre 2011

Oronzo Liuzzi alla Biennale di Venezia



Oronzo Liuzzi, nostro Autore ed Artista partecipa a questa bellissima iniziativa:

Tibet, il padiglione per un paese che non c'è


Progetto ideato e curato da Ruggero Maggi

(Venezia-Torino 26 novembre 2011) - La Biennale termina a Venezia, ma prosegue a Torino e nel padiglione Italia che il suo curatore Vittorio Sgarbi ha voluto come "finissage" della kermesse veneziana ci saranno gli artisti che sono rimasti fuori e una selezione accurata di idee interessanti. Come quella relativa al Tibet. Lo avevamo definito il padiglione per un paese che non c'è, e Ruggero Maggi che lo ha ideato coinvolgendo diversi artisti, ha fatto proprio lo slogan.
Ora Padiglione Tibet sarà presentato all'interno di Padiglione Italia a Torino. Padiglione Tibet ha presentato il connubio tra Arte Sacra Tibetana ed Arte Contemporanea Occidentale. Durante i tre mesi della rassegna si sono alternate performances di teatro e di danza contemporanea ad interventi di monaci tibetani.
"Un Paese oppresso, la cui stessa cultura, la propria lingua rischiano di essere perdute per sempre. Un paese schiacciato da un altro popolo vicino, anch'esso ricco di fascino e mistero va narrato per il tentativo in atto di annichilirlo sia fisicamente che culturalmente (oltre che psicologicamente)" spiega Ruggero Maggi che descrive l'operazione come un sogno, una chimera che se non potrà, almeno per ora, trovare una collocazione ufficiale nelle carte geografiche per la semplice ragione che il Tibet non può essere riconosciuto come Paese sovrano, l'ha almeno trovata all'interno della Biennale stessa.
"Tutto ciò naturalmente a livello ufficiale" afferma "Ma io credo che il sistema arte debba opporsi a tutto questo, usando i mezzi e le possibilità che la sua stessa struttura le offre, rompendo gli schemi ed il muro di silenzio che da troppo tempo sta rendendo vano ogni tentativo di aiuto al popolo tibetano. Mi piace definire questo progetto come un evento parallelo alla Biennale stessa in quanto entrambe le iniziative (scusate per questo abbinamento alla Davide e Golia!) viaggiano appunto su binari paralleli, senza mai potersi incontrare, naturalmente finché il Tibet non venga riconosciuto ufficialmente come nazione".
Durante la Biennale Veneziana sono state presentate installazioni multimediali site-specific dedicate al Tibet ed una grande rassegna di opere realizzate direttamente sulla KHATA, la tipica sciarpa che in Tibet i monaci usano come forma di saluto.
"Non mi illudo: so benissimo che questo mio progetto sarà solo una piccola goccia" aveva detto Maggi alla vigilia, ma si era detto ottimista. E ha fatto bene. La sua speranza che il padiglione potesse contribuire a qualcosa in termini di informazione, è stata ben riposta. "Volevo far traboccare il vaso colmo di indifferenza che, per ragioni inesplicabili, si è creato intorno alla tragedia di questo meraviglioso paese dalle metafisiche vette. Ogni padiglione nazionale è per sua stessa natura un grande contenitore d'arte.....mentre Padiglione Tibet è già Arte nella sua concezione".
Gli artisti che allo Spazio Art&fortE LAB c/o Palazzo Cà Zanardi in Cannaregio a Venezia, hanno concorso all'idea di Maggi sono stati: Dario Ballantini, Piergiorgio Baroldi, Donatella Baruzzi, Luisa Bergamini, Rosaspina B. Canosburi, Nirvana Bussadori, Capiluppi Silvia, Angela Maria Capozzi , Tamding Choephel , F. Romana Corradini, Marzia Corteggiani, G. Luca Cupisti, Teo De Palma, Anna Maria Di Ciommo, Laura Di Fazio, Marcello Diotallevi, Luigi Filograno, Roberto Franzoni, Fernando Garbellotto, Ferruccio Gard, Annamaria Gelmi, Luciano G. Gerini, Isa Gorini, Franca Lanni - Renata Petti, Bruno Larini, Pino Lia - Celina Spelta, Oronzo Liuzzi, Ruggero Maggi, Fabrizio Martinelli, Gianni Marussi - Alessandra Finzi, Renato Mertens, Simona Morani, Paolo Nutarelli, Clara Paci, Marisa Pezzoli, Benedetto Predazzi, Tiziana Priori, Antonella P. Giurleo, Dorjee Sangpo, Sergio Sansevrino, Roberto Scala, Gianni Sedda, Roberto Testori, topylabrys, Micaela Tornaghi, Monika Wolf.

Li ritroveremo tutti a Torino al Padiglione Italia torinese dove il progetto multimediale di arte visiva a cura di Ruggero Maggi vedrà esposte anche le opere realizzate da artisti contemporanei direttamente sulle khata, le tipiche sciarpe che in tibet i monaci usano come forma di saluto. "La dignità di un popolo può essere evidenziata anche attraverso un progetto artistico. Ogni padiglione nazionale è per sua stessa natura un grande contenitore d'arte.....mentre padiglione Tibet è già arte nella sua concezione", commenta soddisfatto Maggi.
> 54^ Biennale Internazionale di Venezia  





giovedì 24 novembre 2011

S. Guglielmin su Marco Furia




Marco Furia

Pentagrammi 

Edizioni L'Arca Felice

Collana di arte-poesia "Coincidenze"

a cura di Mario Fresa

 



Recensione di Stefano Guglielmin apparsa 

su Blanc de ta nuque





La poesia di Marco Furia ha sempre fatto i conti con le potenzialità del significante e della metrica. Ad interessarlo, infatti, sono i meccanismi della comunicazione, le strutture della lingua, con particolare propensione per la nominazione, depurata tuttavia, e sempre più, degli elementi didascalici e decorativi. Se in Efelidi (1989) sino a Menzioni (2002) questa scelta si traduceva nella critica alla retorica perbenista del quotidiano e del conflitto, da Impressi stili (2005) sino a Pentagrammi (2009), il dettato pare mutuarsi dall'astrattismo geometrico e dalla musica seriale, da una tecnica insomma dove l'oggetto è la struttura del testo e la relazione fra le parti ne costituisce il ritmo. Tale impianto viene modulato attraverso l'endecasillabo – riconoscibile a posteriori in ciascun distico (es. «Cronometrico ritmo / nulla voce») – che, variando gli accenti, organizza un testo-sequenza la cui relazione con i testi successivi è marcata da costanti segniche: lessemi, sintagmi, proposizioni parentetiche e unità tematica. L'aspetto più caratterizzante è la cancellazione pressoché totale del verbo, la cui natura a-sostanziale viene tuttavia rimessa in gioco scegliendo, a tema, la pausa musicale, anch'essa lacuna, sospensione dalla concretezza sonora. Così come il succedersi dei sintagmi nominali, quasi gestalticamente, dà vita all'essenziale funzione del verbo (indicare azione o passione) quasi allo stesso modo, la pausa musicale è «silenzioso canto», presenza dell'assente che valorizza il discorrere della nota. Naturalmente, l'analogia non tiene sino in fondo e non solo per ragioni intrinseche. Il fatto è che, nelle ultime prove, l'astrazione cercata da Marco Furia è anzitutto visiva, retinica, slegata dalla dimensione esistenziale, affettiva (che pur si muove, fra le righe), e finalizzata al muto incanto. Si tratta di una meraviglia e di un gusto per l'effimero che qualcosa deve al barocco italiano, ma di questo non porta lo spirito elitario, lo scarto vanitoso, la radice presuntuosa; la poesia di Marco Furia, piuttosto, di meraviglia ed effimero sperimenta il limite, la curva di rottura, il punto in cui diventano interrogazione, problema.




Qual ribelle silenzio
pur sonori
leggeri tratti, effimera
sì lieve
musica (subitanea
armonia muta
mai acustico cenno?
Forse stile
forestiero, difforme?)
nulla voce
zitta, assorta sembianza
repentina
inerzia, solitarie
integre frasi
tacite, discontinue
linee opache
pentagrammi, riverberi
baleni
lustri, pallidi impulsi
(ignoto idioma
non sondabile indugio?)
incerte tregue
ritmi d’eco, barbagli
attimi fiochi
fulgidi, poi dissolte
gemme, gioie
caducità melodiche
improvvisi
statici dinamismi,
lampi bui.



**


Turgidi globi minimi
caduche
non cromatiche stille
(qual colore
d’acquea ed aerea pioggia?)
dense nubi
enfi, plumbei coaguli
sì bui
atmosferici tratti
foschi, grevi
(solare ormai bisbiglio
fioco), tetro
iconico presagio
di boato
fratto segmento, lampo
sobrio, schiva
fulgida freccia, effimero
fugace
elettrico riverbero
baleno
oltraggio, squarcio, ingiuria
poi già tregua
lucenti veli, garbo
repentino
ricurva grazia, sprazzi
armonia chiara
policroma lucerna
iride, assolo
incanto, meraviglia
tenue gioia.



**


Insolita, consueta
dolce frase
aspra, fattezze labili
caduche
pur tenaci, discorde
avversa guisa
meraviglia benevola
(canzone
acustico silenzio?)
repentini
istantanei, perpetui
luminosi
dardi, lampi, riflessi
fluido dire
anche fulgida, buia
scossa tregua
sì solerte pigrizia
alacri, ignave
temerarie ma pavide
loquele
mimiche, lineamenti
gesti muti
aromatiche scaglie
(musicali
dissolti pentagrammi?)
ritmi, stili
intatti desideri
attimi, indugio
ribelle mansuetudine
d’idioma.




**


Limpidi nembi, insolite
consuete
burrascose fattezze
tersi, cupi
atmosferici tratti
(forse buia
nitida, lustra tenebra?
Baleno
eterno sprazzo?), labili
tenaci
dissolti, umidi ritmi
passeggere
subitanee, perenni
aeree squame
silenti melodie
giammai idioma
d’arida, secca pioggia
sciolta, lieve
inodore fragranza
avverso, amico
lento, perpetuo lampo
ignavo, pigra
flemmatica tempesta
fosca, chiara
scintilla, squarcio, traccia
algido lume
ferita, crepa, graffio
poi effuso
qual tacito boato,
zitto tuono.



**


Intenso, tenue assolo
impronta lieve
aeree scaglie labili
d’opaco
policromo barbaglio
zitto intrico
pur nitide fattezze
melodiosa
non acustica musica
colore
fosco, ma terso, curvi
tratti schivi
euritmici, silenti
umidi lumi
effimere, tenaci
stille appena
coese, subitaneo
impulso mite
leggiadro cenno, insolita
sì tregua
fulgida, fioco garbo
delicati
sfolgorii, lampi d’iride
velami
taciti contrappunti
fluide gioie
sciolte, liquide perle
repentina
meraviglia impalpabile,
caduca.



**


Quali caduche gemme
aeree, schive
gonfie, gravide stille
(pioggia: voce
atmosferica, liquida?)
bagliori
labili perle (umido
parlare
nullo, ma assiduo?), fitti
zuppi indugi
melodia gocciolante
non canzone
pur ritmo, squarcio brusco
sprazzo, tregua
infranto, plumbeo nembo
scaglia muta
effimera, turchese
già baleni
dardi, fulmini taciti
poi cupo
boato (momentaneo
fosco idioma
di tempesta?), riflesso
fluido assolo
aromatico attimo
improvviso
effluvio, meraviglia
tenue frase
fuggevole fragranza,
sciolta eco.



**


Illese, tenui luci
delicate
forse musica, cenni
silenziosi
lustri, aerei barbagli
sciolte gioie
tremiti, tersi veli
zitti, schive
disperse, fluide perle
gemme mute
cromatico dissolversi
sonoro
tacito, persistente
non baleni
né turbini, leggiadra
brezza lieve
vaghi, incerti riverberi
sì aroma
effimero rimando
d’assopita
rosea ed azzurra volta
scaglie (frasi?)
atmosferici arpeggi
inconscia tregua
soave umida alba
(qual misura
sì nullo pentagramma?)
mattutino
desto sonno, risveglio,
canto quieto.



Marco Furia e' nato nel 1952 a Genova, dove si e' laureato in giurisprudenza. Ha pubblicato:
Effemeride (Tam Tam,1984); Mappaluna (Tam Tam,1985), nota critica di Adriano Spatola; Arrivano i nostri (in Fermenti letterari' Napoli, Oceania Edizioni, 1988); Efelidi (Anterem Edizioni, 1989), nota critica di Stefano Lanuzza; Bouquet (Anterem Edizioni,1992), nota critica di Roberto Bugliani; Minime topografie (Anterem Edizioni, 1997), nota critica di Stefano Strazzabosco; Forma di vita (Anterem Edizioni, 1998), nota critica di Gilberto Finzi; Menzioni (Anterem Edizioni, 2002), nota critica di Stefano Guglielmin; Impressi stili (Anterem Edizioni, 2005), nota critica di Carla De Bellis); Pentagrammi (Edizioni L'Arca Felice, 2009), disegni di Bruno Conte, nota critica di Mario Fresa. Sue poesie sono apparse su riviste italiane e straniere. Suoi testi sono raccolti nelle antologie: Poeti nati dopo il 1950, a cura di Adriano Spatola, in 'Cervo volante', 15/16, 1983; italie ( ), a cura di Adriano Spatola, in 'Doc(k)s', 71; Ante Rem, a cura di Flavio Ermini, Anterem Edizioni, 1998; Verso l'inizio, a cura di Andrea Cortellessa, Flavio Ermini, Gio Ferri, Anterem Edizioni, 2000 (l'antologia contiene due note critiche sull'autore di Ugo Fracassa e Gio Ferri); Paesaggio mutevole, a cura di Giorgia Cassini, Liberodiscrivere, 2006.
Tiene, sul sito http://www.anteremedizioni.it/  una rubrica di note critiche che hanno trovato accoglienza anche su svariati periodici. Sue poesie visive eseguite al computer sono apparse sui siti http://www.tellusfolio.it/ e di "Anterem" - altre sono state inserite in rassegne internazionali. Suoi testi sono stati tradotti in francese, inglese, spagnolo e giapponese. E' redattore di 'Anterem'.

lunedì 14 novembre 2011

 

 

 

Du Fu: Paese in pezzi? I monti e i fiumi reggono

a cura di Alessandro Ramberti, Edizioni L’Arca Felice, Salerno


recensione di Vincenzo D'
Alessio apparsa su Farapoesia




La formazione letteraria del poeta ed editore Alessandro Ramberti di Rimini si è avvalsa della conoscenza dei luoghi e della lingua della Repubblica Popolare Cinese, a quella fonte sono ispirati i suoi primi componimenti poetici e il logo della propria Casa Editrice “Fara”.
A settembre di quest’anno ha visto la luce una splendida plaquette presso l’editore L’Arca Felice di Salerno, diretta dalla dottoressa Ida Borrasi, nella collana Hermes, dal titolo  Paese in pezzi? I monti e i fiumi reggono, ispirato ai versi del poeta cinese DU FU,  vissuto dal 712 al 770 della nostra era cristiana. Il poeta fu amatissimo e riconosciuto ai suoi tempi quale fonte di saggezza e di testimonianza, in una terra che affrontava conflitti interni ed invasioni barbariche.
Ramberti ha curato, del poeta DU FU, la traduzione letteraria e la versione contemporanea in endecasillabi di alcune poesie tratte dalle  diverse raccolte pubblicate, dal poeta, tra le quali il poema Bei Zheng (Viaggio al nord).
Qual è  l’apporto che questi versi, antichi di più di mille anni, adducono al lettore contemporaneo?
In primo luogo la vicinanza ad una Cina che fino ad ora era rimasta, con la sua cultura, privilegio di pochi. Basti pensare che la gran parte dei lettori italiani ha preferito la letteratura europea ed americana a quella asiatica. Che pochi sono  gli antesignani che hanno avvicinato il nostro Paese a quella cultura: a cominciare da Marco Polo nel XIII secolo, a  seguire  i gesuiti tra cui San Francesco Saverio (XVI secolo), Pier Paolo Pasolini (1966) ed Enzo Biagi a metà degli anni novanta del trascorso secolo. Proprio a Biagi si deve la definizione, in uno dei suoi servizi giornalistici in Cina, la frase: “Il nuovo millennio è definito il secolo cinese perché la Cina si è svegliata dal suo isolamento secolare rispetto all’Europa.”
In secondo luogo la Poesia cinese ha molto da trasmettere alla cultura italiana per canoni filosofici e religiosi, mitigando in qualche modo la supremazia di entrambi i pensieri nell’esistenza contemporanea avvizzita dall’uso sfrenato del “fare denaro”.
Per finire la bellezza della poetica dei versi: “La traduzione di una lingua così sintetica e densa come il cinese classico è sempre impegnativa”, così scrive nella nota alla plaquette lo stesso Ramberti.
Il titolo della raccolta riprende il primo verso della poesia Veduta primaverile: e ditemi se non è attinente a tutti i movimenti popolari sorti in questi anni nelle diverse aree del nostro pianeta definiti “primavere”? Infatti l’uomo che scrive, e l’uomo che oggi ascolta, hanno  due occhi e due orecchie per condividere, e  la mano che scriveva, quella di DU FU, è la stessa mano che riporta, oggi, il dolore del genere umano di fronte all’avanzata dei “barbari”, antichi e nuovi, a caccia dell’ unica risorsa terrena: il possesso!
Scriveva il poeta cinese: “Fuochi di guerra duran da tre mesi / lettere da casa valgon più che oro”. Ancora una volta di fronte all’aggressione dovuta all’ignoranza umana, l’unica salvezza restano le Lettere, la Cultura, la comunione della conoscenza, più del prezioso metallo che il genere umano ambisce possedere e che lascia inesorabilmente ai piedi della propria cenere. La Parola: precaria, facilmente distruggibile, difficile da tramandare, scavalca la falce del Tempo, e giunge a distanza di millenni a confortare l’anima, e un poco il corpo, del nuovo lettore.
L’insegnamento che promana da questi lapidari versi del poeta cinese DU FU, ancora oggi, a noi, affaticati continuatori della sete di stabilità del genere umano, è semplice, come tutti gli insegnamenti che questa cultura possiede:
 “Paese in pezzi? I monti e i fiumi reggono.”
 Nazioni nel delirio dell’onnipotenza umana? La Natura, violentata dall’Umanità, regge (ma si ribella!).
 

questionario di poesia (23) Giuseppe Carracchia




Mario Fresa
Questionario di poesia (23)


Giuseppe Carracchia








Qual è il segreto progetto a cui tende la tua scrittura?


“Sto semplicemente sottolineando il paradosso costituito
dal chiedere a un uomo mascherato chi egli sia.” *

Se è segreto …

Comunque … ad esempio mi piace molto la parola kalokagathia.
Convertire/maturare le cose in belle e giuste. Maturare e coltivare (credendo che le cose abbiano “già in sé il proprio meglio”), non mascherare. Tendere all’essere, direbbe Jonas.
Sviscerare la bellezza perché possa rinforzarsi e moltiplicarsi, attualizzandosi. Proteggerla.



Come nasce, in te, una poesia?


“Esistere; ex-sistere:
porsi fuori dalla stasi”
Esistendo.



Il poeta parla di ciò che realmente vive o di ciò che vorrebbe ricevere, e che sempre gli sfugge?


Racconta/sensifica ciò che ha vissuto o vive, tendendo/creando ciò che vorrebbe.



La poesia è salvazione?


È salvazione in potenza. Tanto più la si mantiene pura, quanto più diviene (salvazione).



A quale gioco della tua infanzia vorresti paragonare la tua poesia?


Sartoria.



Che cosa ti ha insegnato la frequentazione della scrittura poetica?


La pazienza e la misura, per vivere e per nominare le cose nel modo adeguato a sentirne e raccontarne la verità. E il coraggio di distruggerle (“le cose”), se necessario.

A “sviscerare la bellezza perché possa rinforzarsi e moltiplicarsi, attualizzandosi. Proteggerla.”        A viverla.


*   Tratto dal film “V per vendetta” dei fratelli Wachowski



Qual è il grado di finzione e di mascheramento di un poeta?


È direttamente proporzionale al suo desiderio di verità, e al suo modo di intenderla.



Vorresti citare un poeta da ricordare e da rivalutare? 


Antonino Uccello (1922- 1979)

Qual è il dono che augureresti a un poeta, oggi?


Non diverso da quello che augurerei a qualsiasi altro uomo: la virtù della bellezza, che in senso antico racchiude tutte le altre. E non meno il privilegio della semplicità.



Puoi citare, spiegando perché, un verso che ti è particolarmente caro?


Non la perla, ma lo schiudersi dell’ostrica
sia ciò che ci conduce.



Tratto dalla poesia Lo splendido grido del gufo, nella raccolta Folla sommersa di Fabio Pusterla (ed. Marcos Y marcos, 2004; e poi in Terre emerse, ed. Einaudi, 2009, pag. 169).




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In alto: La Fortuna di Guido Reni [1575-1642]










martedì 8 novembre 2011

questionario di poesia (22) Daniela Monreale




Mario Fresa

Questionario di poesia (22)


Daniela Monreale







Qual è il segreto progetto a cui tende la tua scrittura?

“Segreto” in quanto “intimo”: un progetto di apertura alla Bellezza, misteriosa verità abbozzolata tra sofferenze, dubbi e caos.

Come nasce, in te, una poesia?
Nasce da un improvviso scatto di luce interiore, che fa diventare lucida un’ombra, una sensazione riposta. Allora l’opaco diventa leggibile, il disordinato si distende e prende forma.

Il poeta parla di ciò che realmente vive o di ciò che vorrebbe ricevere, e che sempre gli sfugge?
Per quanto mi riguarda, parlo di ciò che vorrei ricevere, ma impastando questo sogno con la materia del vissuto.

La poesia è salvazione?
La poesia è per me soprattutto libertà. Libertà dagli schemi, dalla logica, dal fatto compiuto, libertà dal dolore e dalla confusione. L’elenco potrebbe prendere chissà quante pagine... E dunque la poesia salva, in quanto cammino di libertà.

A quale gioco della tua infanzia vorresti paragonare la tua poesia?
“O regina del castello…”, un gioco in cui si recitava un filastrocca e si facevano dei passettini per avvicinarsi al castello della regina. La mia poesia corteggia il mistero esistenziale, in ciò mimando questi piccoli passi diretti al castello.

Che cosa ti ha insegnato la frequentazione della scrittura poetica?
Mi ha insegnato che al di là del recinto della logica e del quotidiano c’è una profonda struttura della Bellezza, che si rivela nelle piccole cose, sorprendendoci sempre.

Qual è il grado di finzione e di mascheramento di un poeta?
Quello che permette il giusto equilibrio tra il detto e il non detto della sua poesia e che evita  dunque di farla scadere nella retorica più artefatta o, al contrario, nel sentimentalismo più solipsistico.

Vorresti citare un poeta da ricordare e da rivalutare?
Helle Busacca, straordinaria poetessa siciliana del Novecento, tragica e lieve nel suo oscillare tra severe sofferenze e umili commozioni. Ho curato una sua antologia poetica, alcuni anni fa.

Qual è il dono che augureresti a un poeta, oggi?
Di essere letto e gustato con calma.

Puoi citare, spiegando perché, un verso che ti è particolarmente caro?
“Mi chiederai tu, morto disadorno,/ d'abbandonare questa disperata/ passione di essere nel mondo?” di Pier Paolo Pasolini, da Le ceneri di Gramsci. Mi aiuta a resistere, nei momenti più bui.






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In alto: Il suonatore di liuto di Orazio Gentileschi [1563-1639]








mercoledì 2 novembre 2011

questionario di poesia (21)





Mario Fresa

Questionario di poesia (21)



Stefano Guglielmin










Qual è il segreto progetto a cui tende la tua scrittura?



L'etologo inglese Desmond Morris, nel 1962, scrisse che non c'è grande differenza fra le motivazioni alla pittura di un uomo e di uno scimpanzé. Entrambi sono mossi dal piacere e dalla ricerca dei ritmi che regolano la nostra sopravvivenza, fra i quali è incluso quello comunicativo, relazionale. Credo che la scrittura creativa sia l'espressione logica che più si avvicina a queste dimensioni fisiche, laddove l'educazione tecnica ci ha sempre più obbligati ad accumulare informazioni, a catalogarle, esasperando il bisogno naturale di muoversi nel mondo con ordine, potenziando così sino al parossismo le capacità di astrazione, che sono anche astrazione-alienazione da sé, dai propri ritmi interiori. La scrittura creativa (poesia, saggistica, narrativa), non soltanto per me, ricuce la relazione originaria fra parola e gestualità riportandoci al gioco infantile, nel quale inventiamo il mondo riorganizzandolo anche sotto il profilo regolativo, senza tuttavia rompere del tutto con i principi di partenza. Quando uno scrittore ribadisce la valenza etica del proprio lavoro altro non fa, se è onesto, che riordinare sotto il profilo simbolico e immaginativo il gioco della polis, riconoscendone le lacune. Riportare ad una pluridimensionalità l'uomo ad una dimensione marcusiano è, in altre parole, il "segreto progetto" etico di tutta l'arte, progetto al quale è strettamente connesso l'elemento ludico e poliritmico, considerati i due untori della modernità, reclusi, castrati, al fine di modellare "Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non libertà" sempre sotto la minaccia della guerra, come appunto scrisse il filosofo tedesco alla vigilia del neocapitalismo.



Come nasce, in te, una poesia?



Devo anzitutto avere molto tempo a disposizione per rivitalizzare quei meccanismi inconsci che la vita ordinaria sopisce. Lo faccio, scrivendo qualche verso mediocre, sino a quando riconosco d'essere finalmente allineato con me stesso, con la mia voce. Allora seguo il flusso, ma con molta disciplina, per non farmi sopraffare da esso. Non credo infatti nella "prima parola", nella forza esclusiva dell'automatismo beat, ma nemmeno la mortifico completamente. Cerco piuttosto un dialogo con essa e dunque con me stesso, in modo da uscirne in un rispecchiamento critico, dove pulsione e ragione hanno giocato con la vita e con la morte del senso, e con i limiti delle mie forze.


Il poeta parla di ciò che realmente vive o di ciò che vorrebbe ricevere, e che sempre gli sfugge?

Il poeta è parlato, per dirla con Rimbaud, dalle cose le quali sono campi energetici, non semplici strumenti. In quello stato, il tempo è sempre una triade in tensione, dove nessuna delle dimensioni tace. A tenerle insieme è il desiderio, fontana aperta che non ci dà tregua e che la scrittura mette in forma, anche nel senso che lo fa star bene, lo salva dalla chiusura ossessiva, dalla fissazione. La parola poetica mantiene allerta il desiderio, pronto per la scelta non omologata. L'etica, senza desiderio, è moralismo.



La poesia è salvazione?



Come detto, la poesia mantiene in forma. È la vita sociale che fa di tutto per toglierla.



A quale gioco della tua infanzia vorresti paragonare la tua poesia?



Al lego e al dottore. La poesia ha bisogno di un montaggio, usando i pezzi che hai a disposizione (ossia tutto ciò che, in quel preciso momento, riesci a mettere sul tavolo: parole, emozioni, saperi, sapori), ma nulla sorgerebbe se non ci fosse il desiderio, appunto, la curiosità, il sentimento di trasgressione, l'incontro con il corpo dell'altro, con il corpo della scrittura anzitutto.



Che cosa ti ha insegnato la frequentazione della scrittura poetica?



Da giovane facevo molto sport e ho studiato musica. In entrambe le esperienze ho imparato la disciplina. La poesia mi ha confermato che niente di buono nasce spontaneo, senza sforzo. La scrittura poetica degli altri, invece, mi ha insegnato a rispettare voci differenti dalla mia, a riconoscerle autentiche proprio nella loro differenza irriducibile.



Qual è il grado di finzione e di mascheramento di un poeta?



Tutto conoscono i versi di Pessoa sul poeta fingitore, "che arriva a fingere che è dolore / il dolore che davvero sente". Nessuno oserebbe negare il contrario, pur sapendo che le cose sono più complesse, a partire dal fatto, come ho già indicato, che il poeta non sceglie le parole, ma soltanto le riordina (il lego), secondo un principio (il desiderio) di cui egli non dispone. E poi, dopo tutta la cultura otto-novecentesca relativa all'identità, all'ideologia, alla reificazione, alla crisi del fondamento, solo un ingenuo potrebbe credere di avere un'autenticità da preservare. La finzione agisce solamente a livello psicologico, consolando chi crede d'essersi salvato dallo smascheramento. In verità, è proprio nella superficie della lingua che si legge la profondità, quanto si vorrebbe celare. I poeti veri lo sanno benissimo anche se magari, in quanto persone, se ne dispiacciono o ne provano imbarazzo.



Vorresti citare un poeta da ricordare e da rivalutare?



Vorrei stare alla larga dalla moda dalle riscoperte autoriali. La fama va e viene, seguendo ragioni spesso lontane dall'estetica. In rete, poi, i paladini degli ingiustamente dimenticati sono un vero esercito. Salvo che spesso li si cita solo per nome, senza leggere niente di loro. E comunque, come direbbe Andy Warhol, i dieci minuti di celebrità, oggi, non li si nega a nessuno. Io dico: leggi a fondo qualsiasi grande poeta (e non dirmi che non sai chi sono perché tutte le grandi antologie ne parlano) e ne avrai abbastanza per nutrirti, senza bisogno di minori da salvare. Chiaro che i minori vanno letti e, se possibile, riscattati dall'oblio, ma senza pensare che la tradizione critica sia in malafede o miope. Il dialogo ermeneutico serve appunto a rimettere in gioco i valori o, meglio, la verità mossa da ciascun autore, per quanto sconosciuto sia.



Qual è il dono che augureresti a un poeta, oggi?



Di capire che il senso della vita sta nel piede che gli si muove davanti e non nell'immortalità del nome. In altre parole: di imparare a dialogare con la propria ambizione, prima di esserne divorato.



Puoi citare, spiegando perché, un verso che ti è particolarmente caro?



Dovrei pensarci a lungo perché molti versi mi sono cari. Anche in relazione allo stato d'animo o al momento. La chiusa del primo sonetto del Canzoniere petrarchesco, comunque, mi tiene in riga sempre: "quanto piace al mondo è breve sogno", così come certi mottetti montaliani rinvigoriscono la mia visione sull'amore o, ancora, certe laborintiche escursioni sanguinetiane mi riportano al nocciolo della questione, alle "quattro tonsille in fermentazione" che è il nostro mondo, per poi, ribaltandolo in Terra, come scrive il maestro finalmente Urano, "aprire le mie sorgenti / dentro il tuo antichissimo atlante".






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In alto, Study for Self-Portrait di Francis Bacon [1909-1992]








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